Rabbia blk, amore blk

«La Tradizione» di Jericho Brown

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«La Tradizione» di Jericho Brown

«Questo paese innocente ti ha confinato in un ghetto, e in questo ghetto è stabilito che tu marcisca. […] tu sei nato dove sei nato e hai di fronte a te il futuro che hai perché sei nero, per questa e nessun’altra ragione». Così scriveva James Baldwin al nipote James in La prossima volta il fuoco. Nonostante movimenti come il Black Lives Matter, le parole di Baldwin sono ancora attuali. Il razzismo sistemico negli Stati Uniti è ancora presente e lungi dall’essere risolto. Non solo la violenza fisica, ma persiste ancora quella culturale, propagata soprattutto dai media, che contribuiscono a fomentare il costrutto della blackness.

Nel 2020, alla sua terza raccolta poetica, Jericho Brown ha vinto il Premio Pulitzer per la Poesia con La Tradizione (Donzelli, 2022) in un’edizione del premio che ha visto vincere per la narrativa Colson Whitehead con I ragazzi della Nickel dando un messaggio chiaro all’America dell’allora presidente Donald Trump, sotto il quale la violenza razziale è stata molto presente. La silloge poetica dell’autore di Shreveport, in Lousiana, unisce dentro di sé vari generi poetici e che fonde passato e presente per illustrare la continuità della violenza razziale sistemica negli Stati Uniti d’America.

Le poesie di «La Tradizione» e la violenza culturale

La Tradizione inizia proprio in maniera sincretica, ovvero con una poesia che fonde passato e presente: Ganimede, dedicato al ragazzo rapito da Zeus per fare da coppiere agli dèi, che nella versione del mito di Brown diventa merce di scambio per dei cavalli. Gli ultimi due versi della poesia recitano così: «La gente del mio paese crede che/Non ci faranno del male se ci possono comprare». Questi versi intrecciano la violenza razziale con un altro tipo di violenza più sottile, ovvero quella culturale, legata in particolare al capitalismo.

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Se, infatti, agli afroamericani viene fatto credere di essersi integrati in America relegandoli in «stalle in Paradiso, quella terra lontana/Fra Promessa e Apologia», il vero e proprio razzismo si cela così dietro delle comode bugie fomentate dai media. Jericho Brown spiega, dunque, come la cultura stessa legittimi l’odio razziale e, anzi, nasconda e protegga la discriminazione attraverso la narrazione ufficiale dicendo che, se gli afroamericani ormai sono integrati, non ha più senso parlare di razzismo.

Nel solco di James Baldwin

Questa poesia è, dunque, il punto di partenza per Jericho Brown per illustrare i problemi sociali che ancora attanagliano l’America: le sparatorie nelle scuole, il razzismo, la violenza delle forze dell’ordine e la ancora difficile integrazione degli afroamericani. Questo è ciò che si cela veramente dietro il falso Paradiso regalato agli eredi degli schiavi d’America.

In tutto questo, l’io lirico dedica spazio anche al corpo e all’amore, soprattutto quello omosessuale, ciò che permette all’io di avere un libero spazio di espressione e che permette, come per James Baldwin nel già citato La prossima volta il fuoco, di privarsi e privare gli altri del colore della pelle in quanto «noi, bianchi e neri, abbiamo bisogno gli uni degli altri […] se davvero vogliamo conquistare la nostra identità e la nostra maturità, come uomini e come donne».

«La Tradizione»: fra schiavitù e letteratura

Per comprendere al meglio La Tradizione, si legga il seguente brano tratto dalla postfazione di Antonella Francini:

Ci sono dunque tradizioni da abbandonare e tradizioni da recuperare. Alla prima categoria appartiene il perdurare della violenza suprematista bianca ancorata all’esperienza fondativa della schiavitù per cui i neri sono stati fin dall’origine ridotti a oggetto di scambio ed esclusi dalla storia nazionale. I versi di Brown denunciano questo razzismo di sistema aggredendo linguisticamente i luoghi comuni, gli stereotipi, le abitudini del pensiero, la storia ufficiale degli Stati Uniti.

L’esempio più lampante di quanto scritto da Francini è proprio Ganimede, che fa da fil rouge della tradizione a cui allude il titolo della silloge. Brown non solo unisce la tradizione della schiavitù dei neri del passato alla violenza sistemica ancora oggi presente nei confronti degli afroamericani, ma unisce anche la tradizione letteraria, che fa propria per scardinare gli stereotipi degli afroamericani e la loro narrazione da parte della cultura bianca americana.

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Il sonetto, il bop, il golden shovel, il blues, per non parlare di poeti come Walt Whitman oppure di autori della Harlem Renaissance come Claude McKay, Gwendolyn Brooks o James Baldwin. Tutto ciò converge in La Tradizione per contrastare la violenza sistemica razziale attraverso la bellezza della letteratura e dell’arte, che sublima il dolore per creare uno spazio d’espressione altrimenti inaccessibile.

«Blk non è un paese»

Brown inizia la sua silloge poetica illustrando i problemi generali relativi al razzismo in America. La poesia Eroe, per esempio, racconta come l’io lirico e i fratelli fossero, avendo la pelle nera, «pretendenti color del sole in un mito greco», e di conseguenza «disposti/Al male». L’io lirico percepisce un certo determinismo nei confronti degli afroamericani, al punto che sente «il timer impostato sulla mia vita per scrivere», e invita a «lasciare verdi le cose». Per l’io, è destino che i neri d’America non riusciranno mai a realizzarsi in un paese che promette prosperità solo ai bianchi.

Oltre a illustrare il determinismo degli afroamericani, l’io lirico smaschera, però, la retorica della whiteness in poesie come Caro bianco, un invito sarcastico alla whiteness per raccontare «dolci piccole bugie» per non ammettere la necessità dell’esistenza del nero per giustificare quella del bianco, e Bianchi brava gente, dove l’io lirico, ricordando la nonna, inscena la seguente riflessione:

Cosa sappiamo noi. In America
Oggi chiunque può accendere
Una TV o guardare fuori dalla finestra
Per vedere diversi tipi di uccelli
Nell’aria mentre la faccia che guarda
Sorride e sputa, bestemmia e canta
Un unico inno di sangue –
Tutto è insanguinato. Lei era brutta.
Io sono brutto. Siete brutti anche voi.
Non esiste brava gente bianca.

Attraverso questi versi, Jericho Brown non solo smaschera la retorica dei bianchi come persone perbene, come fa per tutta la silloge citando casi di violenza razziale come quelli di Emmett Till o John Crawford III oppure ribadendo come la terra in cui vivono sia in realtà un Eden perduto negatogli dal Dio bianco, ma fa luce anche sul disprezzo del sé a cui i neri sono condannati. La questione del disprezzo del sé degli afroamericani è stata già trattata, ad esempio, da Ibram X. Kendi in Stamped from the Beginning, di cui è uscito recentemente un adattamento Netflix. In quest’ultimo, infatti, si mette in luce come il razzismo sistemico comporti automaticamente il disprezzo di sé da parte dei neri, un modo anche questo per nascondere la discriminazione e farla passare per una semplice incapacità degli afroamericani di apprezzare se stessi e il colore della propria pelle.

«Sono stufo di te»

Ed è proprio da quest’ultimo punto che Jericho Brown parte per giungere a una eventuale soluzione della violenza razziale. Verso la fine della terza sezione della raccolta, l’io lirico rivolge le seguenti parole all’autore nella poesia dal titolo emblematico Scuro:

[…]Sono stufo
Del tuo dolore. Vedo che
Sei triste. Forse sei brutto.
Ma non è una novità.
Chiunque tu conosca è
Svitato come te. Chiunque tu ami è
Altrettanto scuro, o almeno altrettanto nero.

L’io lirico riconosce che non è una novità il fatto di essere brutti o di essere svitati: queste idee ci sono sempre state e continueranno a esistere. Quello che, però, può fare è sfruttare la diversità e il disprezzo che gli altri provano per essa per continuare ad amare. Il discorso qui si fa più ampio, non solo a livello razziale, ma anche a livello sessuale. Toccando questi punti, l’io può trovare nell’amore e nel suo corpo un modo per continuare a esistere e a superare gli stereotipi razziali che lo condannano al determinismo della cultura bianca.

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Se la cultura bianca vuole il disprezzo del sé e la violenza nei confronti del diverso, l’io lirico diverso compie un atto politico importante: abbracciare la persona amata mentre fuori imperversa la violenza. Come scrive in Salvezza, «per ogni tipo di distruzione c’è salvezza»: la salvezza della memoria, l’unica cosa che fa rumore, che ricorda all’io la sua capacità di essere umano nonostante il dolore, di essere ancora corpo nonostante le ferite, e di essere ancora vivo nonostante qualcuno sia morto per lui. L’io impara a non disprezzare se stesso, in quanto, nonostante il male, qualcuno è stato capace di dargli amore.

«I sintomi eravamo noi, la strada la nostra malattia»

«Per amore dei nostri figli […] dobbiamo cercare di non rifugiarci in nessuna illusione». Così concludeva James Baldwin in La prossima volta il fuoco e Jericho Brown in La Tradizione (acquista) riprende alla fine questo discorso. Bianco e nero alla fine sono solo costrutti sociali alimentati da falsi miti e «dolci bugie» che Jericho Brown cerca di smascherare fondendo diversi generi letterari fra loro e unendo passato e presente. Per Brown, la chiave di volta è l’amore per la moltitudine, e per amore si intende empatia e capacità di riconoscere nell’altro le stesse fragilità e la condizione di vittima imposta dai costrutti sociali. Solo l’amore può sfatare i falsi miti e dare umanità e voce a chi non ne ha.

Un’idea di me. Una bugia. Un nanetto
Nero da giardino. Il mito d’un borgo
Selvaggio in America, un boschetto,
L’inferno, una chiazza d’erba assolata
Dove ognuno di noi irrompe in
Un qualcuno integro come noi.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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