Polemiche, dibattiti, nostalgia, critiche, applausi. La parabola di Evita Perón è un lungo corso di contraddizioni, l’epitome di un paese che si erge miracoloso e poi sprofonda nel dramma, a mostrare come la Storia sia fatta di tante storie, di percorsi individuali che compendiano moltitudini. Nessuna personalità ha saputo tanto incarnare l’identità di una nazione. Nessuno ne ha conservato i segni, come a svelare col corpo lo splendore posticcio dell’Argentina anni Trenta, già pronta, dietro le fanfare, a spianare la strada alla dittatura di Videla.
Il mito di Evita
Santa e puttana Eva Duarte, maritata Perón e poi Evita a furor di popolo, diva di un tempo incerto, galleggiante come il destino di Buenos Aires, tra il serio e il grottesco, eroina dei Descamisados e nemica delle oligarchie, vergine vistosa invisa ai conformisti. C’è da restare ammaliati a sfiorarne l’aura, a sondarne la complessità.
Capire Evita: ci sono intellettuali che hanno dedicato pezzi non esili della propria vita a tentare l’impresa. Il risultato non sempre è stato soddisfacente, essendo la Primera Dama un enigma esorbitante, un complesso di lacerazioni e slanci, oggetto di odi e furori, consegnati alla storia per mezzo di immagini studiate, costruite attorno a un sorriso accogliente, allo chignon sempre in ordine.
Biografia di una Nazione
A insinuarsi in questo nucleo complesso, nel prisma del suo fascino indiscreto e malinconico, arriva ora Iaia Caputo, scrittrice, giornalista e traduttrice che ha rintracciato, con precisione mista a malia, i fili della storia di Evita che, come in uno specchio andato in pezzi, si compone di schegge sfrangiate, frammenti di un puzzle difficilmente componibile.
Tessendo, attualizzando e in parte ri-vivendo i molti ritratti della lady argentina, Caputo costruisce un ritratto che, nell’echeggiare il titolo del romanzo di Mordecai Richler (Barney’s Version – La versione di Barney, 1997), si pone come biografia di un nazione altrettanto controversa, densa di luci e ombre eppure viva, più o meno spinosa, più o meno spontanea.
«La versione di Eva», tra testimonianze e ricordi
La versione di Eva (Mondadori, 2022), (acquista) cui l’autrice ha lavorato per dieci anni, presenta un carattere visivo e quasi cinematografico, forse in omaggio al passato di attrice della presidentessa, e senz’altro in linea con un’arte che consente cambi di prospettiva e inquadrature in dettaglio, ciascuna in grado di porsi come implacabile tentativo di diffrazione.
Così la storia di Evita, che morì a 33 anni di tumore all’utero, viene riattraversata con occhio critico, dopo aver visionato filmati d’epoca e raccolto testimonianze di rilievo, dal parrucchiere che la fece bionda – rendendola icona – alle amiche-nemiche con cui divise il privato.
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I mille volti di Eva
La prospettiva che ogni “ritaglio” restituisce è quella, sempre manchevole e rivedibile, di una protagonista approcciata mediante gli occhi di un personaggio altro, capace di illuminare un tratto di Eva ponendosi come tessera imprescindibile – e mai cronologicamente ordinata – del suo mosaico esistenziale.
Così Juan Domingo Perón, che dal romanzo esce infinitamente più “piccolo” della moglie, un individuo bidimensionale tutto uniforme e prestanza, «intuì subito quanto Eva fosse strategica per il suo disegno», lei sola in grado di aizzare le masse, di garantirgli un consenso che credeva «spettasse a lui».
Niente di più sbagliato, ribadisce Caputo, che in quella giovane figlia del niente vede un vulcano incontenibile, un big bang generativo non più delimitabile dagli steccati dei ruoli, dalle mura della stessa pagina scritta.
Dentro l’universo Evita
Nell’alternanza di voci, nella polifonia che rompe il silenzio e al tempo stesso restituisce il caos, l’irriducibile complessità dell’universo Evita, Iaia Caputo dà vita a un racconto intenso e fluviale. Una testimonianza di vita che mostra come, oltre una determinata soglia, la parola non possa più spingersi. La versione di Eva è tutta qui: irripetibile e inaccessibile.
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