«Come sta la 194, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza?» Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere (Fandango, 2022) inizia proprio da questa domanda.
Immaginate di voler sapere se in un ospedale si eseguono le interruzioni volontarie della gravidanza, perché non in tutti gli ospedali si può abortire, quanti ginecologi ci sono e quanti di questi sono obiettori di coscienza. È possibile? Non proprio. Che fare?
A 44 (troppi) anni dalla legge 194, Chiara Lalli, docente di Storia della medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, danno il via a un’indagine su 180 strutture sanitarie italiane. Non è stato facile ottenere dei risultati, i numeri delle singole strutture non si trovano. Per ottenere delle risposte (a volte mai date) le due ricercatrici hanno dovuto inviare centinaia di Pec, chiamare altrettante persone non sempre disposte a parlare, armate di una pazienza non necessaria.
Stanza 194, non pervenuta
L’ultima relazione sull’Ivg del Ministero della Salute è stata diffusa nel 2021 e riporta i dati del 2019. Tre anni fa, sì, ma adesso? Servono dati regolarmente aggiornati, meglio una mappa che fornisca più informazioni possibili: in quanti (e quali) strutture sanitarie è possibile abortire? Quanti sono i medici obiettori e non? Ma – domanda per nulla scontata – quanti di questi medici non obiettori praticano davvero l’aborto? Ultima domanda – che lascia ancora più sbalorditi – quali sono i tempi di attesa?
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Leggere l’indagine di Mai dati è un continuo invito alla riflessione. Sì, protestiamo affinché l’aborto sia legale e accessibile a tutti; ma qualora fosse accessibile, chi assicura a una donna di riuscire a trovare una struttura, e quante di queste sono realmente in grado di permetterle di abortire entro i 90 giorni dal concepimento? Ma, soprattutto, in quale reparto?
Perché nel reparto dove abortisci magari accanto a te ci sono anche le donne che partoriscono?
Perché spesso ti mettono nelle condizioni in cui nessuno considera le tue motivazioni e il tuo stato d’animo (penso soprattutto alle interruzioni nel secondo trimestre)?
Alla fine sono stati raccolti dati ufficiali dal 60% delle strutture interpellate, e ciò che l’indagine ha evidenziato non corrisponde alla Relazione ministeriale. Ma le donne, anzi, ogni persona deve avere tutte le informazioni necessarie per poter scegliere avvalendosi, oltretutto, di ciò che in modo chiaro prevede la legge, articolo 9: non è ammessa l’obiezione di struttura e il personale medico è in ogni caso tenuto a seguire la donna fornendole un percorso che le permetta di accedere alla Ivg, assistenza sanitaria «antecedente e conseguente all’intervento».
«Mai dati» e la Ru 486
Chiara Lalli e Sonia Montegiove prima di mettere un punto alla loro ricerca (consultabile nella sua versione aggiornata sul sito maidati.it) si sono soffermate anche sulle pratiche di utilizzo della pillola abortiva, la RU 486.
Stando a quanto stabilito dalle linee guida del Ministero della salute, la pillola può essere fornita in regime ambulatoriale ma, ancora una volta, la situazione varia di regione in regione e in modo poco chiaro. Alcune impongono il Day Hospital, altre non si sa. Nessuna risposta.
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Il problema dell’aborto è tanto politico quanto sanitario, ma è un tema che va affrontato con molta più consapevolezza e tanta cura. Serve più informazione, serve abbattere i tabù nascosti dietro il cieco attivismo. Anche per questo servono più dati, informazioni chiare e risposte alle numerose domande sopra citate. L’amara verità, purtroppo, è una sola: «Una domanda su quattrocento non ce la fa». Servono quegli agognati dati, serve più informazione e un dialogo sempre aperto tra cultura, politica e medicina. Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere, appunto.
Un libro consigliato a chi ha bisogno di una mappa per comprendere i dati sull’aborto e sull’attuale situazione sanitaria al riguardo. Mai dati (acquista) è un’indagine dove non si troveranno risposte o mappe definitive e ben delineate – questo no – ma una gratuita base e un primo esempio d’impegno ancora in corso.
«La giusta battaglia», l’aborto nel 2022
Il dibattito è stato riaperto anche in Italia da quando, nei giorni scorsi, il Parlamento europeo, convocato in riunione plenaria a Strasburgo, ha dato il via libera all’inserimento del diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Una prima reazione a quanto è avvenuto in America, dove la Corte Suprema ha abolito la sentenza Roe v. Wade con cui, nel 1973, aveva legalizzato l’aborto negli Usa. Questo vuol dire che i singoli Stati saranno liberi di applicare o vietare il diritto all’aborto.
Esempio opposto in Spagna, dove si discute sulla riforma della legge sull’aborto. Ecco che il Governo ha approvato un nuovo disegno di legge «sui diritti sessuali e riproduttivi delle donne». Interruzione volontaria della gravidanza consentita alle ragazze di 16 e 17 anni senza l’obbligo del permesso dei genitori, aborti garantiti nel sistema sanitario pubblico, congedi per malattia per mestruazioni dolorose. Inoltre lo scorso aprile il Senato ha approvato una modifica del Codice penale, secondo cui è reato ostacolare o intimidire le donne che vogliono abortire.
«La maternità è felicità e maledizione» scrive Dacia Maraini nel suo articolo La giusta battaglia per l’aborto (Corriere della Sera). Mai come adesso l’aborto è una questione di vita o di morte. Non solo, si è rivelato essere una questione di libertà di poter gestire e decidere del proprio corpo, del proprio utero che non appartiene più alla donna ma allo Stato.
Non siamo un corpo in prestito, non siamo un recipiente passivo che contiene il seme vitale dell’uomo, come scrive Eschilo nell’Orestiade riportando la decisione del divino Apollo.
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