Negli ultimi mesi la casa editrice Giulio Perrone ha dato vita alla collana Mosche d’oro. Ciascuna pubblicazione si presenta come un dialogo tutto al femminile: vi è una donna che racconta e una che viene raccontata. In questo nuovo spazio letterario, diverse autrici italiane contemporanee si confrontano con intellettuali del passato, che sono state modelli, punti d’ispirazione e guide spirituali.
Beatrice Masini, giornalista e traduttrice milanese, sceglie di dialogare con una personalità decisa e irruente, che amava definirsi «una testa audace»: l’autrice americana Louisa May Alcott.
«Una testa audace»
Louisa May Alcott cresce in un ambiente culturale vivace, animato dalla curiosità intellettuale del padre Amos Bronson, un uomo «sconsideratamente pubblico e distrattamente privato». Gli amici di famiglia, gli scrittori Ralph Waldo Emerson e Henry David Thoreau, la avvicinano al pensiero trascendentalista: una filosofia radicata nella necessità di ricostruire un rapporto puro con l’universo, a partire dalla presa di coscienza dei limiti della società del tempo, eccessivamente conformista e incollata alla rigidità dei costumi.
Sin da giovane, la scrittrice professa il principio della libertà: è un’abolizionista convinta e un’attivista impegnata a lottare per i diritti di tutti. Assieme alla famiglia offre protezione ad alcuni schiavi in fuga dalle piantagioni e, durante la Guerra Civile, entra nell’esercito come infermiera nella cruda realtà degli ospedali da campo. Lotta per l’emancipazione femminile e il suffragio universale, nel tentativo di affrancarsi da quel ruolo troppo limitante che la società assegnava alle donne della sua epoca:
Sono stufa, dopo tutti questi anni, di sorbirmi fandonie su querce vigorose e fiorellini di campo, la cavalleria maschile e il dovere di proteggerci. Lasciamo la donna libera di scoprire i propri limiti. Se davvero – come sembrano convinti questi signori – la Natura ha concepito per lei una sfera specifica, vorrà dire che finirà per adattarvisi spontaneamente. Ma per la miseria, diamole una possibilità!
«La testa come un ariete da guerra»
Per troppo tempo legata all’idea di «umile scribacchina» destinata all’insegnamento, Alcott comincia a farsi largo tra gli asfissianti pregiudizi della società.
Non sono abile nei lavori manuali, dunque userò la mia testa come un ariete da guerra e mi farò strada nella mischia di questo pazzo mondo.
Donna tenace e concreta, Alcott sfida il mondo con la sua personalità «wild and queer», «selvaggia e strana». La scrittura diviene la sua cassa di risonanza. Ma anche «rifugio, confronto, riflessione, pace, distacco, ritorno». Una dimensione tutta sua, in cui vorrebbe alienarsi come un «topo scrivano». Eppure, il peso di una famiglia ingombrante irrompe anche nel suo spazio d’evasione. La giovane autrice si trova costretta a mediare tra passione e necessità. Trasforma il suo talento in fonte di sostentamento e addolcisce «l’acido della verità» delle sue storie con lo zucchero richiesto dai lettori:
Che bello sarebbe poter finalmente scrivere quello che vuole e basta, senza dover rimestare le zuppette moralistiche richieste a gran voce dagli editori e dal pubblico. Forse potrebbe anche azzardarsi a farlo, se fosse sola al mondo, se dovesse provvedere solo a sé stessa: ma ancora e ancora la famiglia è più forte. Ci sarà sempre una sorella vedova da sostenere, una sorella promettente a cui pagare gli studi, una sorella morta da sostituire.
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Louisa May Alcott torna alla luce
In Louisa May Alcott (acquista) Masini riporta alla luce l’inaspettato profilo della scrittrice americana, privandolo della tradizionale etichetta di autrice “zuccherina” e “per ragazze”. Per la prima volta viene tratteggiata con autenticità e valorizzata nei diversi aspetti biografici di figlia, sorella, instancabile scrittrice ed agguerrita attivista. Un libro che non si limita a ricostruire la storia di un’esistenza, ma si spinge alla riflessione sulle contraddizioni del talento, le difficoltà del mondo editoriale e il compromesso con le necessità. Dalle pagine emerge non solo un’autrice di successo, ma una figura poliedrica, ostinata e vorace di interessi. Tuttavia, tra le svariate ambizioni che Alcott insegue con fermezza, solo a una, la più importante, rimane fedele: la scrittura.
Certo possedeva uno dei doni più utili a uno scrittore: la capacità di scrivere ovunque, dalla soffitta di un cottage di legno alla cabina di una nave, da uno specchio di scrittoio in una stanza tutta sua al tavolino di una pensione per sole donne o donne sole, che qualche volta è la stessa cosa. “I plod away”, scrive di sé nel maggio del 1868 mentre è impegnata a comporre il libro che finalmente le porterà fama e denaro, dando una definizione precisa del suo modo di lavorare: fatico e sgobbo.
Anche a costo di creare su «una crosta in soffitta», Alcott scrive, scrive incessantemente, perché solo con una penna tra le mani avrebbe potuto inseguire la libertà che ha continuato a professare, strenuamente, per tutta la vita.
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