Luigi Pirandello, nato ad Agrigento il 28 giugno 1867, non ha bisogno di grosse presentazioni. Premio Nobel per la Letteratura nel 1934, si spense due anni dopo proprio in questa data: il 10 dicembre 1936. È noto per aver rivoluzionato in particolare il mondo del teatro e aver descritto la realtà siciliana (e non solo) componendo opere di ampio respiro. Le sue commedie sono ancora oggi replicate e amatissime, godono di un pubblico affezionato. Tuttavia, essendo considerato un autore “scolastico”, sovente Pirandello viene frainteso o non apprezzato appieno da molti.
È davvero complicato spiegare perché ci si dovrebbe innamorare delle sue parole e della sua magnifica analisi della società e esistenza umana. Tuttavia, proveremo a compiere questa ardua impresa.
Per iniziare: il kaos e le novelle
Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”.
Per iniziare ad amare Luigi Pirandello non si deve cominciare da un’opera, come facciamo di solito. Sì deve cominciare dal Kaos. Questo è il nome della casa dove è nato, che ora è diventata una Casa-Museo, anche se poi non ci visse poi tanto. Conoscere questi luoghi è il primo elemento per innamorarsi di questo autore, che di Girgenti, ora Agrigento, parlerà a lungo. La dipingerà nei modi più disparati senza tuttavia focalizzarsi sul semplice luogo, in quanto la Sicilia diventa simbolo di universo.
L’analisi della società siciliana e della mentalità dell’epoca è profondamente radicata nello stile e negli obiettivi dell’autore, ovviamente, ma si presta sempre di più a costituire un grimaldello per attingere alla verità dell’esistenza. Le sue Novelle per un anno, impossibili da sintetizzare in un solo articolo anche totalmente a esse dedicato, offrono uno spaccato della società e delle sue contraddizioni. La novella in mano a Pirandello diventa qualcosa di nuovo e unico, un medium per mostrare e narrare in modo differente.
Influenzato dagli studi di grandi psicologi come Alfred Binet (e anche di Freud pur non avendolo mai letto, a differenza ad esempio di Italo Svevo), Pirandello saprà costruire teorie ancora oggi considerare rivoluzionarie per il modo di concepire il teatro e la commedia in particolare, per questo il relativismo e l’umorismo sono tematiche anche al centro delle stesse commedie. La pluralità dell’io, l’impossibilità di una serenità di vita quotidiana concepita invece come continuo dramma (cui contribuiscono la famiglia e le persone in generale) sono solo alcuni dei temi trattati.
Per proseguire: «L’Umorismo» e «Sei personaggi in cerca d’autore»
Scrive nel 1908 un saggio fondamentale per comprendere il suo pensiero: L’umorismo. L’esempio della vecchia signora è ancora oggi citato e famosissimo per la teoria sulla differenza tra comicità e umorismo.
Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. “Avverto” che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un “avvertimento del contrario”. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s’inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico.
Un primo momento di valutazione “superficiale” ci fa ridere della signora che vediamo, mentre riflettendo ulteriormente si va oltre un velo di Maya che ci consente di passare da avvertimento del contrario a sentimento. Ciò ci consente di avere pietas del prossimo, comprendendone le fragilità e provando empatia. Una sensazione che con le sue opere teatrali l’autore ha sempre fatto provare a lettori e spettatori.
Questa prima rivoluzione dell’ambito del comico si declina anche con il concetto di destrutturazione degli schemi teatrali “comuni”. Grazie al teatro nel teatro, che ritroviamo in opere come Sei personaggi in cerca d’autore. In questa commedia sono i personaggi stessi spogliati da dalla loro essenza che cerca di diventare forma e il pubblico stesso non ha più funzione di semplice spettatore. Grazie a un geniale uso della rottura della quarta parete viene direttamente coinvolto. Essa veniva utilizzata anche da grandi autori classici, come Plauto, ma Pirandello la rende in modo unico.
Al centro della commedia anche la ricerca di identità, la mancanza di linearità del tempo e l’impossibilità di comprendersi.
E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo.
Innamorati di Luigi Pirandello: «Uno, nessuno e centomila»
La tematica centrale del pensiero di Luigi Pirandello è sicuramente il concetto di pluralità dell’io. Questa si declina in diverse opere. Si traduce in tema del doppio ne Il Fu Mattia Pascal, ma soprattutto la ritroviamo in Uno, nessuno e centomila. Tutto parte quando Vitangelo Moscarda è di fronte allo specchio e la moglie Dida gli fa notare che gli pende il naso a destra. Questa piccola considerazione lo mette in crisi. Si rende conto, infatti, che lui agli occhi degli altri non è come ai suoi occhi. Ognuno è appunto uno, nessuno e centomila. Non esiste quindi solo la forma che l’io dà a sé, esistono tutte le maschere che assume e tutti i punti di vista altrui.
Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile.
Così, Vitangelo non riconosce più se stesso, né i suoi amici, né la moglie, né la sua condizione. Arriverà alla follia in un ospizio, dove finisce in seguito ad un consiglio da parte di un vescovo di donare tutto ai poveri. Nell’ospisizio, però, si sentirà libero da ogni regola e felice perché può vedere il mondo con occhi diversi. Il romanzo rappresenta il culmine della concezione pirandelliana di follia come liberazione dai condizionamenti della società. Cosa che si ritrova anche in opere teatrali come Il berretto a sonagli. Altro punto focale dell’opera è l’impossibilità di conoscere se stessi: «Quando uno vive, vive e non si vede. Conoscersi è morire».
Rievoca anche il concetto di maschera profondamente radicato già nelle novelle, dalle quali Pirandello trae ispirazione anche per le opere teatrali. Celeberrima la sua massima: «Nella vita imparerai a tue spese che incontrerai sempre tantissime maschere e pochissimi volti».
Nella sua etimologia latina persona significa “maschera”, mai cosa fu più vera per la poetica di Pirandello. In quanto nelle storie di Pirandello e bella vita ognuno di noi porta una maschera, è destinato a ricoprire un ruolo nella società, un ruolo dentro casa, in famiglia, con gli altri. Il paradosso, a cui ricorre spesso nelle sue opere, consiste nel fatto che nemmeno noi possiamo conoscerci davvero. E così Pirandello sventra e indaga le nostre incertezze e fragilità, dimostrandosi illuminante demistificatore della condizione umana.
In copertina:
Artwork by Madalina Antal
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