Dall’antichità fino ai giorni nostri, la hybris più grande che l’uomo abbia mai commesso è stata quella di sostituirsi a Dio. La torre di Babele, i miti di Prometeo e Icaro fino al dottor Frankenstein e a Jean-Baptiste Grenouille de Il profumo di Patrick Süskind. Questi sono tutti esempi di una certa tensione dell’umanità nel porsi sopra ogni regola per esprimere il proprio desiderio di controllare il mondo.
Questa tensione nel superare i limiti dell’umano la racconta causticamente anche Roque Larraquy, scrittore, sceneggiatore e professore di design audiovisivo argentino. Alter Ego propone ora il suo romanzo d’esordio La madrivora con traduzione di Carlo Alberto Montalto, la cui edizione inglese è stata semifinalista del National Book Award for Translated Literature nel 2018.
La trama de «La madrivora»
La madrivora narra due storie parallele, una ambientata nel 1907 e l’altra nel 2009. Da un lato vi è il Dottor Quintana del sanatorio di Temperley, in Argentina, che assieme ai suoi colleghi intenta degli esperimenti macabri per scoprire cosa vede una persona appena muore. Dall’altro un artista omosessuale e obeso che racconta a una studentessa la sua vita fino al suo macabro esperimento, ovvero la creazione di un “mostro” perfetto attraverso anche parti del suo corpo.
Due storie molto lontane nel tempo, ma legate da un elemento, ovvero la madrivora del titolo, una pianta dalle foglie aghiformi:
La cui linfa produce (in un salto tassonomico poco approfondito) microscopiche larve animali. Le larve hanno il compito di divorare il vegetale fino a inaridirlo completamente. I resti si disperdono e fecondano il terreno, riavviando così il processo.
La madrivora in natura non esiste. Come dichiarato da Larraquy in alcune sue interviste, l’ha inventata lui stesso per dare una metafora dell’anelito logorante dei protagonisti disposti a sacrificarsi per realizzare il proprio desiderio di porsi al di sopra della morte, di Dio e del creato. La parola “madrivora”, infatti, dà l’idea di persone che si nutrono delle proprie idee e che a causa di queste giungono in rovina.
«La madrivora»: racconto di corpi e potere fra arte e scienza
La madrivora percorre quello che Larraquy farà in Rapporto sugli ectoplasmi animali di Buenos Aires (Gallucci, 2016): raccontare i tentativi dell’uomo di travalicare il confine fra la vita e la morte cercando di penetrare quest’ultima. Nel libro del 2016, il protagonista Severo Solpe riesce a dare forma agli ectoplasmi degli animali che fotografa trasformando una semplice burla in una professione vera e propria. Qui, invece, i personaggi coinvolti sono destinati al fallimento.
L’autore argentino ha spiegato in una sua intervista il motivo di collegare fra loro arte e scienza:
Negli ultimi decenni il settore dell’arte aveva messo in primo piano il modo in cui i corpi si ritrovano governati da forze che li regolano, plasmano e trasformano, e ha provato strategie estetiche e politiche di sovversione che stabiliscono un dialogo con le attuali riflessioni della biopolitica, una disciplina che ha un legame tendenzialmente conflittuale con la scienza. Ero interessato a esplorare entrambi i campi, scienza e arte, cucite assieme dal rapporto fra i corpi e la trasmissione del potere.
Traduzione a cura dell’autore dell’articolo
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Nelle intenzioni dell’autore, la prima parte vuole mettere in discussione l’idea positivista della scienza alla fine del XVIII secolo, incentrata sulla superiorità del progresso dell’uomo sulla natura. La seconda parte è incentrata invece su un’idea di arte contemporanea, che mette la corporeità al centro e vuole dimostrare come il proprio corpo possa superare i confini fra finzione e realtà. Due facce, dunque, della stessa medaglia e della stessa problematica: il tentativo di realizzare un’opera d’arte totale, in cui il corpo diventa strumento stesso di controllo della natura.
I limiti della scienza
La prima parte nasce dalla scoperta da parte di Larraquy di un numero del 1907 della rivista argentina «Cartas y Caretas». Qui si racconta di una cura contro il cancro sperimentata al sanatorio di Temperley (e riportata fedelmente dall’autore), per indagare un tema molto caro alla religione: l’aldilà. L’idea del Dottor Quintana, del direttore Ledesma e di altri colleghi come il Dottor Papini e l’inglese Mr. Allomby, è quella di scoprire cosa succede nei nove secondi che precedono la morte:
Lei si aspetta che le dica che la scienza dovrebbe sempre venire prima di ogni altra cosa, o che nell’esperimento si cela un’intenzione che ci redime. Ma non lo farò, e sa perché? Perché tale intenzione non esiste, o almeno, non come serenità morale. L’obiettivo è indagare su ciò che avviene al momento della morte? Benissimo, lo faremo perché abbiamo i mezzi e perché siamo stati i primi a pensarci. Se poi i risultati aiuteranno l’uomo a essere più umano, tanto di guadagnato.
Gli scienziati di questa prima parte cercano in tutti i modi di scoprire e controllare l’aldilà. Ci sono tuttavia elementi che lasciano presagire il fallimento dei loro esperimenti. Innanzitutto, il modo bislacco attraverso cui Ledesma vuole dimostrare questa teoria, ovvero decapitando un’anatra che schiamazza cose incomprensibili agli uomini fino a morire, ma anche il modo di parlare del dottor Papini. Il suo «parlare in senso figurato», rimarcato più volte da Ledesma e Quintana, è segno, infatti, della vera incapacità della scienza di dare forma alle proprie teorie e di spiegare tutto ciò che va all’infuori della comprensione umana.
Dare corpo al fallimento
A questa parte del 1907, narrata con tono caustico e irriverente, segue la seconda parte, in cui la protagonista è l’arte. Questa parte segue fedelmente gli stilemi della Künstlererzählung, il racconto d’artista nato in Germania con l’affiorarsi delle teorie del genio e il suo dare le regole all’arte come teorizzato da Immanuel Kant.
Il protagonista vive sin da piccolo in solitudine, emarginato dagli altri per il suo talento: la capacità di riprodurre fedelmente su carta il corpo umano e i suoi movimenti. «Il bambino prodigio», afferma il protagonista, «è un’entità ripugnante. Può essere misurato in gradi di anomalia, il recinto della sua emarginazione: il suo cosiddetto talento».
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L’artista, però, si rende conto che «non esistono prodigi eterni», ma questo non lo ferma dal suo tentativo di riprodurre la perfezione del corpo. In preda alla stessa ossessione del già citato Grenouille nella produzione del profumo perfetto oppure di Elias Alder de Le voci del mondo di Robert Schneider di riprodurre tutti i suoni del mondo, l’artista senza nome prova a creare un’installazione artistica in cui parti del suo corpo sono protagoniste per dimostrare il suo controllo non solo sui sentimenti, ma anche sui movimenti del corpo.
Anche qui, però, il lettore più attento noterà una spia del fallimento del protagonista: la metanarrazione. Infatti, nel commentare e suggerire modifiche alla tesi della studentessa Linda Carter, l’artista intenta scrivere la biografia di un genio che ha sacrificato il suo corpo per realizzare un’opera d’arte perfetta. In realtà, sta semplicemente documentando il suo fallimento mascherandolo attraverso i suggerimenti da dare alla ragazza per la stesura del suo lavoro.
«La madrivora»: il fallimento del progresso
La madrivora (acquista) di Roque Larraquy unisce il fantastico sudamericano con riflessioni sulla scienza e la creatività artistica, raccontate e condotte in maniera caustica, irriverente e grottesca. Raccontando due storie parallele al limite del paradossale, Larraquy denuncia l’arroganza del progresso scientifico e artistico nel voler controllare a tutti i costi la natura e tutto ciò che sta oltre di essa – la morte, soprattutto – dimostrando come ogni nostro anelito alla perfezione ci conduca irrimediabilmente al fallimento.
L’ipotesi è che siamo ciò che siamo perché non siamo tutto quel che potremmo essere. In altre parole, signor direttore, l’essere si fonda sulla sua mancanza di varianti, il che sostanzialmente vuol dire che esistiamo nell’errore e per errore.
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