Forse uno dei libri più intesi del secondo Novecento italiano è Malacqua di Nicola Pugliese (acquista), un testo soggetto ad andamento carsico, pubblicato nel 1977 da Einaudi e poi sparito dai radar, prima di tornare nella bella edizione Tullio Pironti del 2013. Ora è Bompiani a ristampare meritoriamente questo “capolavoro minimo”, denso di umori e dettagli sensoriali, capace di sintetizzare il meglio della narrativa meridionale guardando al thriller d’atmosfera, in un impasto perturbante di cronaca e suspense.
Una profezia sul cambiamento climatico
Scritto d’un fiato, senza correzioni o modifiche (Pugliese rifiutò gli interventi di Italo Calvino), quest’opera fluviale è forse la prima testimonianza letteraria sui cambiamenti climatici, un referto impietoso del riscaldamento globale. Quattro giorni di pioggia nella città di Napoli è il sottotitolo incompleto che funge da porta d’accesso, svelando la malia di uno stile in costante equilibrio tra forma e contenuto, capace di rendere mediante la voce lo scroscio incessante della pioggia, le frane, i crolli di una città che diventa acqua.
Via Tasso e via Aniello Falcone cominciano a sprofondare nelle prime pagine di Malacqua, intrise dello sguardo acuto, disincantato del cronista Pugliese, in quegli anni impiegato al quotidiano “Roma” e costretto a confrontarsi con l’incuria dell’amministrazione napoletana. Tutto, nella sua opera, risuona di una tensione cronachistica, della vocazione dello scrittore che ha scelto il lavoro artigiano ma sa che la denuncia presuppone ‘visioni’, l’estensione fantasmatica del racconto su colonne.
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L’attesa dell’evento in «Malacqua»
Ecco allora che Malacqua è un romanzo cupo, un’inquietante vicenda che si consuma nella sospensione, richiamando da un lato le atmosfere di Raffaele La Capria dall’altra il timbro umorale di Domenico Rea. Eppure il libro è un unicuum, così lontano dal panorama napoletano almeno nella non-rievocazione tattile, laddove l’odore del cibo, delle strade è piuttosto sommerso dalla cappa di morte, dagli eventi inusitati che riempiono le pagine. Mentre piove, piove – «ma quando smetterà?» – presagi e “voci” squassano il clima d’attesa, come stesse per compiersi «un accadimento straordinario», il miracolo improvviso che ribalta la situazione.
Ti veniva da pensare che non saresti morto, forse, ma non avresti mai più vissuto, non come prima almeno. Ecco, questa lenta interminabile pioggia aveva mutato la prospettiva delle cose: la tua esistenza non sarebbe stata più uguale, mai più, perché adesso la vita emergente era condizionata dall’acqua che scendeva, che scendeva, dall’acqua che fermava le auto nelle strade, che le fogne rivomitavano giù per la collina e verso il mare, e dal mare acqua cresceva a premere, e onde si gonfiavano ad urtare contro gli ormeggi, e anche occorre dire che al secondo giorno ci si rese conto, o meglio s’incominciò a comprendere: forse non era la pioggia degli altri anni, e degli altri mesi, forse questa di adesso veniva da molto lontano.
Così, dunque, da molto lontano. Come il climate change che per anni ha evocato “solo” desertificazione e foche spiaggiate. Quattro giorni di pioggia, oggi, piegano una città, divorano l’asfalto e provocano i morti di mille via Tasso e via Aniello Falcone. Devastano territori, orizzonti, e non basta la consapevolezza per invertire la rotta, fiacche dichiarazioni di intenti per contenere ogni danno.
«Malacqua» come grido di dolore
In questa prospettiva, Malacqua di Nicola Pugliese è un grido d’allarme, un modo di affrontare – in forma visionaria e deformante – le implicazioni di un certo sistema di potere, anni di introiezione di uno sviluppo senza progresso.
Non basta la denuncia di un consigliere d’opposizione.
Signor Sindaco […], io credo che il consiglio abbia innanzitutto il dovere di occuparsi del luttuoso evento di via Aniello Falcone e del luttuoso evento di via Tasso […] Non è di certo la priva volta che la nostra disgraziata città deve registrare eventi così luttuosi eventi, così come non è la prima volta che avverse condizioni atmosferiche determinano situazioni di allarme o quantomeno di preallarme ma resta ovviamente da chiedersi, signori consiglieri, quali siano state, tecnicamente parlando, le cause dei dissesti, e se queste cause siano imputabili al caso, all’accidente, alla mera fatalità, o non siano piuttosto da imputarsi all’incuria, all’ignavia ed all’incompetenza, oltre che all’intempestività con cui non sono stati compiuti lavori di riparazione e di rifacimento delle condotte fognarie […].
Rendere visibile l’invisibile
Non basta perché Malacqua è un testo che cerca di rendere visibile la colpa – l’ignavia, appunto – in tutte le sue forme, e nel farlo traduce le analisi di Pugliese in un’opera ai limiti del visionario, interamente giocata sul senso di attesa anche perché in bilico fra realtà e sogno, storia e visione. Da qui le «voci» che infestano Castel dell’Ovo, l’enigma delle tre bambole, il mare di via Caracciolo che insegue gli scugnizzi e il suono “infernale” delle monetine da cinque lire. Ogni stratagemma elaborato da Nicola Pugliese è sempre finalizzato al disvelamento di un “mistero”, all’acquisizione di una nuova consapevolezza.
«Malacqua»: viaggio al termine della notte
In questo Malacqua è in parte simile a Petrolio di Pasolini, a cominciare dal nome del protagonista, Carlo, che inizia un viaggio al termine della mutazione, una scoperta continua – come alter ego dell’autore – del proprio sé e della frattura col mondo.
Ecco perché l’opera, come dichiara Giuseppe Pesce, il più illustre studioso di Pugliese, mostra attraverso presagi come «all’improvviso, nella vita ordinaria di uomini qualunque, possa manifestarsi un’irreparabile perdita di contatto con la realtà». È un dato attualissimo, il potere sconcertante della letteratura.
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