A due anni dall’imponente Solenoide, Mircea Cărtărescu ritorna in Italia con Melancolia, raccolta di racconti sui generis edita da La Nave di Teseo. Cărtărescu ha abituato il suo pubblico a opere monumentali che solo per formato e stile ricordano autori inconfondibili del post-moderno, fra tutti – ad esempio – Thomas Pynchon.
La trilogia Abbacinante e Solenoide sono l’esempio eclatante di una prosa fantastica e incontenibile, difficilmente arginabile e per questo non catalogabile. Melancolia – sempre tradotto dal puntuale Bruno Mazzoni –, tuttavia, sorprende per la propria intimità. Innanzitutto non siamo di fronte a un romanzo, bensì a tre racconti incorniciati da un prologo e un epilogo. Il collante è suggerito dal titolo proposto che sotto certi aspetti, seppure con intenti differenti, richiama uno dei primi lavori dello scrittore rumeno, Nostalgia.
«Tutto è magia, o niente»
Con Melancolia Cărtărescu rinuncia dichiaratamente a una struttura complessa, granitica, per abbandonarsi ai ricordi più lievi e labili – ma per questo non meno incisivi – dell’infanzia e dell’adolescenza. Intrisi di una forte malinconia, i racconti qui proposti consegnano al lettore un Cărtărescu inedito.
L’ambientazione è dichiaratamente quella del fantastico, dove l’immaginazione ha un ruolo fondamentale e irrinunciabile. Per riprendere l’idealismo magico di Novalis: «Tutto è magia, o niente». Eppure il magico in Cărtărescu è foriero anche di inquietudine, terrore. Ispirato da autori capisaldi del Novecento, lo scrittore questa volta – forse ancora di più che nei suoi lavori precedenti – decide di rendere omaggio a Kafka. Il prologo – intitolato La danza – riprende le atmosfere di Davanti alla legge, racconto che sarà poi riadattato ne Il processo.
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Ne La danza, il protagonista s’imbatte nel suo continuo peregrinare in un’isola su cui è eretto un palazzo dalla forma geometrica precisa, tanto perfetta quanto assurda – come a ricalcare certe strutture archetipe di Borges. Al centro del palazzo vi è l’Uscita, sorvegliata da un temibile e invincibile guardiano:
Cosa ci fosse al di là dell’uscita nessuno lo sapeva, però gli angeli che scendevano di tanto in tanto su una delle isole […] parlavano di un abisso simile al fondo del mare, dove erano adagiate tartane sfasciate, con le chiglie piene di tesori, e pesci dai musi appuntiti, e piovre, e vecchissime statue con la pelle di marmo.
Nello stesso spazio, nello stesso tempo
Cărtărescu riesce così a introdurci nelle ambientazioni magiche, in cui è appunto il magico – in tutte le sue connotazioni – a stravolgere la quotidianità. Un’opera dai tratti biografici, ambientata ancora una volta a Bucarest, città nativa e prediletta dall’autore. Una città che di per sé non porta attrattive paragonabili ad altre capitali dell’Est Europa e che, però, riesce ad avere una propria personalità e un fascino incontrastato tramite il suo cantore per eccellenza.
È così che Melancolia prosegue il suo percorso in maniera naturale, spontanea. Come se non vi fosse nessun salto cronologico o temporale, si passa da un’isola incantevole e tremenda – che sembra sognata da un surrealista mistico – a I ponti, racconto su un bimbo richiuso in un appartamento – punto di congiunzione spazio-temporale – in attesa della madre.
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Come precisa Mazzoni in un’intervista rilasciata quest’anno a Le parole e le cose, nella prosa di Cărtărescu «si mescolano realtà, allucinazione e sogno. E naturalmente è proprio l’assenza dei confini tra realtà e allucinazione a rendere il sogno strumento e marchio di fabbrica di questa scrittura ponderosa, in cui non si ha mai una percezione netta dei limiti».
Questa sensazione, sempre per citare I ponti, è resa perfettamente nell’episodio della libreria, in cui il bambino – nella sua perenne attesa – finisce nella stanza straripante di libri:
Erano libri per gli adulti. D’ora in avanti aveva a disposizione l’eternità, però, qualsiasi cosa ciò significasse, sapeva che non avrebbe mai letto la maggior parte dei volumi di quella libreria […] Il loro contenuto non cambiava mai. Potevi aprire un libro centinaia di volte alla prima pagina: le parole erano le stesse, sempre le stesse, sempre le stesse parole. E questo accadeva a ogni pagina.
Tutto ciò che si è imparato
Il volume prosegue con gli altri due racconti: Le volpi e Le pelli. In Le volpi un gioco fra bambini assume delle reali fattezze, capace di terrorizzare tanto la mente dei piccoli quanto quella degli adulti.
In Melancolia Cărtărescu traspone, come giustamente riporta La Repubblica, tutto quello che ha imparato sulla letteratura. L’ambientazione montana circondata dalla neve e la violenza innocente di un gioco infantile diventano degli elementi tipici di una potenziale storia dell’orrore; tuttavia è proprio in questo che lo scrittore di Solenoide sorprende. Non si tratta di una prosa di genere, anzi. Grazie a una narrazione – sempre per citare Mazzoni – così simile a un nastro di Moebius, riesce nella difficile impresa di imbastire una storia allucinata, senza che essa si perda in pindariche e astruse riflessioni o immagini.
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Ed è proprio questa connotazione che caratterizza anche l’ultimo racconto, forse il più strutturato e complesso dell’intero volume. Le pelli, infatti, fin dal suo incipit è capace di catalizzare l’attenzione del lettore e definire in maniera eclettica il senso della malinconia:
A volte, soprattutto di sera, quando lo coglieva la melancolia, il ragazzo apriva il vecchio armadio per vedere le sue pelli. Accadeva di rado, è vero, non perché non fosse uno spettacolo degno di essere visto, ma perché non gli veniva in mente: la sua vita, solitaria, era comunque piena, di ogni sorta di obblighi e faccende, alcune fantasiose e inutili […] Solo la sera tardi, quando non riusciva quasi più a vedere nella stanza solcata da strisce rosso sangue provenienti dalla finestra, era più libero e sentiva appieno il peso della solitudine.
Il processo e la condanna
Ancora una volta Cărtărescu immerge il lettore in un’altra storia, con tutta la sua originalità e voglia di raccontare. Sarebbe riduttivo ricondurre l’intera opera a una morale; piuttosto l’autore sembra disvelare, man mano che si procede nella narrazione, un insegnamento. Tuttavia, nonostante le immagini di speranza e redenzione che possano emergere durante tutto l’arco del libro, si decide di concluderlo con una nota senz’altro più dolente, di incontrastabile giudizio e agonia.
È proprio così che l’epilogo, La prigione, sembra prefigurare una possibile conclusione de Il processo di Kafka:
Che io sia per caso solo questo, una fila di solitudine incastonata in una montagna sconfinata? […] Quanto grave dovrà essere il mio peccato, quanto mostruoso il crimine che ora espio! […] Contando, sono arrivato alla fine dei numeri. Parlando, sono arrivato alla fine delle parole. Non ho più nulla da dire ora a me stesso. Simile ai dannati eterni dell’inferno, sono diventato tutt’uno con il mio grido.
Una scena apocalittica sviluppatasi nell’intimità. Cărtărescu permette di entrare al lettore nel proprio microcosmo. Permette di cogliere forse per la prima volta nella sua produzione una verità personale, dolorosa e consapevole.
Melancolia (acquista) è un libro difficilmente catalogabile. Non si tratta certamente di un romanzo, ma anche definirlo raccolta di racconti sarebbe riduttivo. Melancolia sembra essere una summa della produzione letteraria dell’autore. Un libro irrinunciabile per gli appassionati, ma anche un primo ottimo approccio all’universo allucinante di uno dei più grandi scrittori moderni.
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Complimenti, lettura davvero acuta e insieme affascinante. Grazie, Lorenzo!
Nel primo racconto I ponti si ha l’impressione che mamma e bambino siano morti è così?
Buonasera Serena, sicuramente – a mio parere – è un’impressione che può senz’altro emergere durante la lettura. Tuttavia, mi permetto di dire che non la trovo un elemento fondamentale per la comprensione del racconto e, più in generale, del libro in sé. Sicuramente ragionare su concetti quali vita/morte, realtà/sogno ecc. può facilitare la lettura, ma l’autore in questo caso pensa in maniera più sottile. La priorità è raccontare come la nostra sensibilità sia condizionata dal mondo esterno e come quest’ultimo, a sua volta, connoti il nostro modo d’essere. In questo continuo gioco di specchi, rimandi, non ci resta che – parafrasando Jodorowsky – vivere abbracciando l’illusione.