Etichettato come classico sin dalla sua uscita, le Memorie di un cacciatore di Ivan Turgenev spopolarono all’epoca dello zar Nicola I: anni asfittici non solo per gli intellettuali, ma per tutta la popolazione, che si sentiva schiacciata dal “Gendarme d’Europa” e dalla sua intransigente politica. E difatti le Memorie di un cacciatore saranno fonte di problemi per Turgenev, poiché vi espresse la sua opposizione alla servitù della gleba, ancora praticata in tutto l’impero. Eppure questi racconti, prima usciti separatamente in rivista e solo nel 1852 radunati in una raccolta, si guadagnarono il plauso di critica e pubblico per la loro piacevolezza, accompagnata dall’estrema eleganza della narrazione, che pare lambire le vette della poesia.
Ivan Turgenev il nobile
Nato e cresciuto a Orël, nella proprietà di Spasskoe, Turgenev proveniva da una famiglia aristocratica che aveva al suo servizio numerosi servi della gleba. Sin dalla sua infanzia, dunque, Turgenev entrò in contatto con due realtà che si sarebbero rivelate delle costanti nella sua opera: da un lato, la natura e, dall’altro, la condizione ben più cupa della servitù della gleba. Familiarizzando, più tardi, con il gruppo degli intellettuali occidentalisti (che, come suggerisce il nome, puntavano a un’europeizzazione della Russia) e le loro idee liberali, il giovane scrittore si trasferì in Europa, spostandosi tra la Germania e la Francia. Da quel momento in avanti, la sua vita sarebbe stata irta di contraddizioni: un proprietario terriero, figlio di proprietari, che si batteva per l’affrancamento dei servi; un veneratore della terra russa residente all’estero; un amico di scrittori stranieri come Flaubert e Zola, ma promotore della penna dei suoi compatrioti.
Storie di contadini e proprietari terrieri
Turgenev, influenzato dalla lettura di Émile Zola, compose i suoi racconti nella forma del bozzetto fisiologico – uno studio veritiero della realtà, con l’obiettivo di fornire uno spaccato di vita delle classi sociali più umili. L’intreccio, dunque, è quasi del tutto assente in ogni racconto. Il protagonista e narratore vaga per la campagna russa a caccia, talvolta assieme al suo compagno Ermolaj. È osservatore di eventi (o ascoltatore, come nei racconti Il medico del distretto e L’ufficio) per caso, ma con un’ostinata meticolosità nel riportare dettagli e sensazioni. Nel suo cammino incontra mužiki, mugnaie, cacciatori, pastori e proprietari terrieri: l’intero ecosistema della campagna russa è qui studiato e classificato. Tuttavia, lo sguardo del narratore non si macchia mai di superiorità, e anzi dimostra compassione e rispetto verso i meno fortunati. Così osserva nel racconto Birjuk:
L’isba del guardaboschi era costituita da un’unica stanza annerita dal fumo, bassa e vuota, senza soppalco né tramezzo. Un pellicciotto sbrindellato era attaccato alla parete. […] Mi guardai intorno e il cuore mi si strinse: non è allegro entrare di notte in un’isba di contadini.
La semplicità poetica delle Memorie di un cacciatore
Le Memorie di un cacciatore sono il distillato dell’efficacia della prosa tersa di Turgenev. Ricamati con aggettivi precisi e denominazioni accurate, inframmezzati da dialoghi risonanti d’autenticità, formulati in una sintassi agevole e impacchettati nella forma del bozzetto, i racconti rilucono di una poeticità difficilmente riscontrabile nella prosa di quel tempo. Scorrendo le pagine, riscontriamo un’attenzione minuziosa verso i fenomeni della natura, i suoi ritmi e le sue creature, descritti sempre con sentimenti di meraviglia. È una prospettiva ruderale perfettamente visibile in questo estratto dal racconto Kas’jan di Krasivyj Meč:
È un’occupazione estremamente piacevole quella di starsene sdraiati nel bosco a guardare in alto! Vi sembra di guardare in un mare senza fondo che si stende immenso sotto di voi; vi sembra che gli alberi non sorgano da terra, ma, al contrario, come radici di piante gigantesche, scendano, affondino a piombo in quelle acque limpide come specchio. […] Bianche nuvole tondeggianti galleggiano e passano lente, simili a fantastiche isole sottomarine; ma ecco che all’improvviso tutto questo mare, quest’aria radiosa, questi rami e queste foglie imbevute di sole, tutto si mette a fremere e a tremare di fugaci bagliori e si leva un sussurrio fresco, trepidante, simile allo sciabordio minuto e infinito di un improvviso incresparsi dell’acqua. Voi restate immobile a guardare, e non è possibile esprimere a parole la gioia, la calma, e la dolcezza che vi scende nell’anima.
Anche i ritratti fisici dei personaggi ricoprono un ruolo importante nella narrazione. Quando il protagonista s’imbatte in una nuova conoscenza, subito si premura di descriverci il suo viso, il suo portamento, i suoi indumenti, quasi fossero il portale d’accesso alla sua interiorità. Non possiamo infine dimenticare il sottotesto folkloristico che tinge gran parte dei racconti che, come bruma sui campi, enfatizza l’arcano della Terra. A questo proposito, il racconto Il prato di Bež ne è una perfetta dimostrazione: un gruppo di ragazzini, seduti attorno a un fuoco notturno, si raccontano delle storie per passare il tempo. Per incutersi timore l’un l’altro, iniziano a nominare creature della mitologia slava, come il domovoj (un’entità maschile protettrice della casa), la rusalka (una ninfa acquatica dai poteri ammalianti) e il lešij (un guardiano dei boschi che conduce i viaggiatori fuori strada).
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Un racconto emblematico
Il dodicesimo racconto delle Memorie di un cacciatore, Birjuk, può essere preso a campione per illustrare l’avventura tipo dei racconti. L’intreccio è esile: un temporale costringe il protagonista a interrompere la sua battuta di caccia per cercare riparo. Il guardaboschi della zona, che appare sotto il bagliore di un lampo, gli offre ospitalità nella sua isba. Lì incontra la figlia, una bimba gracile e triste, e un neonato nella culla. Un rumore improvviso porta i due uomini nella foresta, dove un contadino ha illegalmente abbattuto un albero per racimolare del legname. Lo catturano e lo conducono a casa, dove segue un interrogatorio. Proprio quando sembra volerlo punire severamente, il guardaboschi lascia andare il contadino, dimostrando compassione sotto la sua corazza.
Birjuk ci fornisce dunque un personaggio screziato, all’apparenza tetro e incattivito col mondo (la parola birjuk indica proprio un uomo solitario), ma in realtà più umano di quanto ci si aspetti; tutt’attorno a lui, arranca quella campagna immiserita, ma sempre bellissima, che stava tanto a cuore a Turgenev.
Le Memorie di un cacciatore e l’abolizione della servitù
Nel febbraio 1861, lo zar Alessandro II aboliva la servitù della gleba. Si racconta che, in parte, questa epocale decisione fosse stata influenzata proprio dalla lettura delle Memorie di un cacciatore di Turgenev, che dipingevano con grande umanità la condizione di quella classe sociale. Secondo il grande critico Dmitrij Mirskij, «il deliberato abbandono di tutto ciò che può apparire artificiale e artefatto» è il punto di forza dell’opera; e infatti i quadri rustici di cui è composta riuniscono in sé l’atmosfera di quella Russia agreste, depositaria dei valori rustici e genuini, magnifica e sconfinata così come la vedevano gli occhi incantati di Turgenev.
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