Le sue pagine brulicano di riflessioni sulla natura umana, si interrogano senza posa sull’esistenza di Dio e il Diavolo, osservano con sguardo critico la contemporaneità, celano un autobiografismo ispirato. Il 10 marzo 1940 – ottantatré anni fa – moriva Michail Bulgakov, uno scrittore che, seppure intrappolato nella Russia staliniana, riuscì a sprigionare una forza creativa prodigiosa. Celebriamolo con una rassegna delle sue opere più riuscite.
Chi era Michail Bulgakov
Michail Afanas’evič Bulgakov, una delle penne più famose della letteratura russa, era in realtà ucraino – ma al tempo la città e i suoi dintorni facevano parte dell’impero zarista. Nacque a Kyiv nel 1891 in una famiglia benestante e profondamente religiosa. L’iniziale serenità dell’infanzia si interruppe con la morte improvvisa del padre, un evento così doloroso da far perdere al giovane Bulgakov la propria fede. Dopo essersi laureato in medicina nel 1916, venne trasferito in campagna in qualità di medico condotto. La medicina, e in particolare la figura del medico, saranno un motivo ricorrente in molte sue opere.
Con lo scoppio della rivoluzione del 1917, e la conseguente guerra civile, Bulgakov abbandonò la carriera sanitaria per la scrittura, da sempre una sua passione malcelata. Mosca, ambiente ricco di sollecitazioni culturali, era la dimora perfetta per un aspirante scrittore: fu la sua casa fino alla morte, sopraggiunta nel 1940. Frequentando i salotti letterari arrivarono le prime opere (La guardia bianca, Uova fatali, Cuore di cane) e con esse i primi problemi con la censura – anche questa sarà una costante nella vita di Bulgakov. Il suo capolavoro, Il Maestro e Margherita, uscì soltanto alla fine degli anni Sessanta. Persino i suoi testi teatrali, nonché di critica letteraria, furono boicottati dalla censura e videro la luce dopo la morte dell’autore. Bisognò attendere gli anni Ottanta per scoprire – o riscoprire – il lascito di Michail Bulgakov.
Per cominciare: «La guardia bianca»
Pubblicato parzialmente in rivista nel 1925, La guardia bianca uscirà integralmente solo nel 1966. Il romanzo è ambientato in Ucraina (a Kyiv, presumibilmente) durante gli anni dell’occupazione tedesca e dei tumulti della guerra civile tra i Rossi e i Bianchi. Protagonisti sono i tre fratelli Turbin – Aleksej, Elena e Nikolaj – che tentano di restare uniti e preservare la loro umanità nel mezzo di un conflitto caotico e che vede agire molteplici fazioni. Una di queste è composta da quelli che sarebbero diventati eroi nazionali ucraini, come Symon Petljura e Pavlo Skoropads’kyj, e ai quali Aleksej e Nikolaj si alleano. Elena, intanto, ospita in casa ex ufficiali russi in fuga dal governo bolscevico. E proprio la casa dei Turbin si rivela essere unico porto sicuro della città, un vero e proprio “nido” che Bulgakov ha ricostruito dalla sua memoria, descrivendo quella che in effetti era la sua casa d’infanzia a Kyiv. La guardia bianca mette a nudo un’umanità screziata: c’è chi fugge dalla guerra, e chi resta per proteggere ciò che più ama.
Bulgakov trasformò La guardia bianca in una pièce teatrale intitolata I giorni dei Turbin. L’autenticità dei fratelli Turbin, dipinti con maestria come forti e fragili allo stesso tempo, colpì più di tutti una figura a dir poco importante ai tempi di Bulgakov: il segretario generale del partito, Stalin. È l’inizio di quello che vedremo essere un rapporto misterioso e ambiguo tra i due.
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Per proseguire: «Cuore di cane»
Arriviamo al 1925, quando Bulgakov completò la stesura del racconto lungo (povest’, nella tradizione russa) intitolato Cuore di cane. Se, come abbiamo visto, La guardia bianca si domanda come si può rimanere uomini in un mondo disumano, Cuore di cane invece si chiede: “Può un uomo trasformarsi in belva?”. Lo sfondo è la Mosca degli anni Venti: lo scienziato Preobraženskij trapianta l’ipofisi e le ghiandole seminali di un criminale su un cane randagio, con la speranza di poterne studiare il ringiovanimento cellulare. Non poteva prevedere che l’animale avrebbe iniziato a parlare, fumare e cantare come un uomo, e per giunta il più spregevole e disgustoso degli uomini, data la sua natura da delinquente. Poligraf Poligrafovič Šarikov – così l’uomo-cane decide di farsi chiamare – inizia a insidiare l’esistenza del suo creatore, accusandolo di attività controrivoluzionaria. Quando il presidente di caseggiato pretende di perquisire le sue stanze, Preobraženskij comprende che è arrivato il momento di fare retromarcia: cattura Šarikov e lo opera per riportarlo alla sua origine canina. L’esperimento, dunque, non è servito a niente; si è rivelato un mero esercizio di onnipotenza, un capriccio presuntuoso di chi vuole giocare a essere Dio.
Cuore di cane è una satira affilata della società sovietica, nel pieno periodo della NEP, intrisa di ideali pseudo-scientifici come quello della creazione di “uomini nuovi”. Senonché, questi perfetti e immortali organismi vagheggiati dai bolscevichi non si rivelano essere altro che homunculi. Alla fine, il vero mostro del racconto è proprio il professor Preobraženskij, che ha voluto manipolare la vita per suo piacere personale. Šarikov non è che una vittima sacrificata sull’altare della sua ambizione. Proprio qui, nel personaggio dello scienziato onnipotente, vediamo le prime tracce del motivo diabolico che sarà approfondito ne Il Maestro e Margherita.
Dulcis in fundo: «Il Maestro e Margherita»
Nacque nel 1926, cambiò diversi titoli, subì svariati tagli, venne persino bruciato in preda alla disperazione: Il Maestro e Margherita, il portentoso e multiforme capolavoro di Michail Bulgakov, vide la luce in edizione integrale soltanto nel 1969, a Francoforte. Ammirato ancora oggi per la sua originalità, il romanzo si articola su tre linee narrative: quella satirica, ambientata nella Mosca degli anni Trenta, contemporanea all’autore; quella evangelica, incentrata su Gesù e Ponzio Pilato nel 27 d.C.; e infine quella amorosa, che segue l’evoluzione del rapporto tra il Maestro e Margherita, la sua amante.
A fare da ponte tra Mosca e Gerusalemme c’è Voland, nientemeno che Satana, che racconta di aver assistito alla crocifissione di Cristo e che è giunto nella capitale per portare scompiglio. La figura del Maestro, autore di un romanzo su Ponzio Pilato, rispecchia Bulgakov stesso, soffocato anche lui dalla censura sovietica. Ma i parallelismi non terminano qua, perché così come a Gesù si contrappone Pilato, il Maestro è ostacolato da “piccoli Pilati” come Berlioz e Latunskij. Alla fine del romanzo, i personaggi di tutte le linee narrative si intrecciano: Voland abbandona Mosca, Pilato viene liberato dal suo tormento grazie all’aiuto del Maestro, il quale può vivere con felicità la sua storia d’amore con Margherita soltanto nella morte – avvenuta grazie a Voland.
Un momento fatale: la telefonata di Stalin a Bulgakov
Nel 1930, la pièce teatrale La cabala dei bigotti non superò il vaglio della censura. Bulgakov era disperato: nulla di quello che scriveva sembrava destinato a raggiungere il pubblico. In preda allo sconforto – e con difficoltà finanziarie non indifferenti – decise pertanto di chiedere il permesso d’espatrio. Pochi giorni dopo, a casa sua squillò il telefono. Davanti a una voce che affermava di essere il «compagno Stalin», Bulgakov mise giù la cornetta, convinto di uno scherzo. Ma la seconda chiamata lo persuase che, proprio dall’altro lato, c’era il capo del partito in persona. Pronto a concedergli l’espatrio, Stalin nondimeno domandò: «Le siamo davvero venuti così a noia?». Bulgakov era con le spalle al muro; la conversazione si concluse con un’offerta di lavoro al Teatro d’arte di Mosca.
Bulgakov doveva stare attento. Chi osava dire troppo, spariva. Basti ricordare, a titolo d’esempio, cosa accadde al poeta Osip Mandel’štam, che nel suo Epigramma di Stalin non aveva lesinato le critiche verso il capo del partito. Dopo una serie di arresti e di confini, morì in un gulag siberiano. Eppure, abbiamo visto come anche nel suo romanzo più celebre Bulgakov non esiti a farsi beffe della società sovietica, della sua vacuità, della sua mania di controllo e della sua falsità.
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Una creatività impareggiabile
Bulgakov morì della stessa malattia di suo padre, il 10 marzo 1940. Non ebbe quasi mai la soddisfazione di vedere pubblicati i suoi lavori in vita e, quando pure accadeva, era sempre letto con sospetto. Oggi, finalmente, le sue parole risuonano con vigore, ambasciatrici di un estro inventivo ineguagliabile.
In copertina:
Artwork by Eleonora Imparato
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