Nella religione buddhista, si parla di bardo per intendere uno stadio di transizione tra la morte e la rinascita. In questa condizione liminale, la mente vive una specie di continuazione della vita appena conclusa in cui ritorna ai luoghi e alle persone conosciuti, senza che essi percepiscano la presenza di chi è morto.
Sembra ambientato in una sorta di bardo Come un mattino texano di Michele Neri, terzo titolo della collana «Interzona» curata da Orazio Labbate per i tipi di Alessandro Polidoro Editore. Animato da un immaginario avveniristico che deve molto a J.G. Ballard, il giornalista e scrittore milanese si cimenta in uno sperimentalismo lirico e narrativo in cui cerca di raccontare lo spazio liminale fra la vita e la morte.
La trama di «Come un mattino texano»
Il protagonista di Come un mattino texano è un uomo di nome Traven. Quest’ultimo forse è un fantasma, oppure un uomo in carne e ossa che si sta preparando alla morte. In ogni caso, si trova in bilico fra il mondo reale e quello dei morti, in procinto di attraversare quella soglia in cui dovrà lasciarsi tutto alle spalle. «Erano gli ultimi giorni della sua vita», scrive Neri, «Traven si girava indietro, verso un tempo di cui aveva confuso distanza e rilievi».
Attorno al protagonista si muovono gli opachi, ombre di persone scomparse che vagano in attesa di varcare la soglia e che tentano di lasciarsi alle spalle ciò che gli è appartenuto in vita sotto forma di carcassa, e i foglet, «nebbia intelligente», «sorsi di luce», «particelle superluminali» che portano chi sta per morire e lasciare la terra a ritornare sul proprio passato per riappropriarsi dei ricordi, l’unica cosa che può tenerli ancorati al mondo che stanno per lasciare prima di cadere nell’oblio.
«Come un mattino texano»: il sottotesto di J.G. Ballard
Come scritto all’inizio, l’immaginario di Come un mattino texano deve molto alla narrativa avveniristica e fantascientifica. In particolare, Neri esplicita la sua fonte d’ispirazione, ovvero J.G. Ballard, nel nome del protagonista. Traven, infatti, appare già nel racconto Terminal, tratto dalla raccolta di racconti Il gigante annegato (titolo originale The Terminal Beach, prima edizione italiana 1978). In questo racconto, il protagonista giunge sull’isola di Eniwetok, e a causa delle radiazioni nucleari lì presenti viene perseguitato dalle visioni di sua moglie Judith e suo figlio David, morti in un incidente stradale. Le visioni del protagonista sono un segno tangibile della sua incapacità di accettare il lutto, proprio come il Traven di Michele Neri sembra trovare complicato l’attraversamento della soglia tra la vita e la morte.
Traven, inoltre, è presente anche come protagonista della Mostra delle atrocità (The Atrocity Exhibition, prima edizione italiana 1970), che in 15 capitoli frammentari e disorientanti racconta le ossessioni del nostro tempo attraverso l’identità frammentaria del protagonista, che assume vari nomi che iniziano sempre per T., fra cui Traven. In questo romanzo sperimentale di Ballard, fondamentale è il rapporto fra paesaggio interiore del protagonista, spesso in preda alla psicosi, e paesaggio esteriore, spesso segnato dai mass media. Prendendo in considerazione questo labile confine fra le psicosi del protagonista e il mondo reale, si può capire quanto Neri sia stato influenzato da questo romanzo di Ballard nella creazione di un personaggio che vive in bilico fra una vita che sta per finire e una morte che forse è già avvenuta.
La soglia fra la vita e la morte
Il nome Traven, inoltre, ricorda anche quello di B. Traven, scrittore e anarchico presumibilmente di lingua tedesca che ha vissuto tanti anni in Messico e di cui ancora oggi non si conosce la vera e propria identità. Un fantasma, insomma, che vive nel mondo reale senza averlo lasciato del tutto, continuando a vivere nel bardo senza essere percepito veramente da chi lo circonda.
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Un’altra fonte d’ispirazione è, come scrive giustamente l’editore nella quarta di copertina, La nube purpurea di M.P. Shiel. Come il dottore protagonista Adam Jefferson, anche Traven si ritrova in un mondo in cui l’umanità sembra scomparsa del tutto e, forse consapevolmente oppure inconsciamente, si mette alla ricerca dell’unica cosa che lo potrebbe far restare umano anche una volta superata la soglia.
L’influenza della fotografia
Infine, un’altra cosa fondamentale da non sottovalutare è la presenza di fotografie all’inizio delle tre parti del romanzo. L’autore ben conosce la fotografia: non solo ha diretto per anni l’Agenzia Grazia Neri, agenzia fotogiornalistica fondata nel 1966 dalla madre dell’autore, ma ha anche scritto saggi di fotografia come Photo Generation (Gallucci, 2016) e L’ultima foto (Seipersei, 2022), quest’ultimo scritto a quattro mani con Enrico Ratto.
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Le fotografie che inserisce Neri sono in bianco e nero, e sullo sfondo riproducono la soglia di cui il libro parla nel momento in cui, a poco a poco, il fascio di luce raffigurato si fa più intenso. Questi fotogrammi non solo svolgono la funzione di bloccare il flusso della narrazione, quasi a voler rallentare il passaggio di Traven oltre la soglia, ma preparano il protagonista a questo passaggio dopo aver intrappolato le tracce della sua presenza:
Si sdraiò. Niente era confortevole. Teneva gli occhi sul soffitto su cui parabole luminose consentivano riconoscimenti astratti. Ripresero i fotogrammi; riempirono uno schermo contratto al cielo: la cinetica della notte sospesa in un flusso d’immagini. Le linee fuggirono in più direzioni per comporre multipli di fotografie, limitate alla loro intenzione luminosa ma ciò che Traven vide fu sconvolgente perché insisteva, contro l’estraneità e tutto, a essere familiare.
Il bardo avveniristico di Traven
Come un mattino texano gioca su questo muoversi in bilico fra la realtà e il sogno, fra la vita e la morte. Fin dall’inizio, infatti, Traven vive sapendo che era destinato da sempre ad abbandonare la vita terrena lasciandosi alle spalle il proprio passato:
Ho cinquantaquattro anni e per sempre, ripeté meccanicamente. Come tutti, per sempre. Dovrei essere felice. Le menti l’hanno assicurato. La soglia: su questa le menti erano state chiare. È portare a termine una migrazione iniziata tempo fa.
Attorno a lui, Traven vede comporsi e decomporsi luoghi, persone e ricordi che appaiono ai suoi occhi a intermittenza, al punto che il narratore esterno lo chiama «Traven o colui che Traven stava sognando», quasi a sottolineare la situazione di limbo e di bardo in cui vive il protagonista, che cerca da un lato di oltrepassare la soglia e dall’altro di riappropriarsi dei propri ricordi per non sparire del tutto nell’oblio. Il protagonista vive teso fra l’oblio e il ricordo: vorrebbe liberarsi di «un sé troppo pieno», ma allo stesso tempo comprende che ha bisogno di lasciare tracce di sé per continuare a vivere nel ricordo di chi resta in vita e dei luoghi che gli sono cari, per poter rinascere a nuova vita:
Quando sarai una particella e vorrai ritrovare la tua carcassa, riprese il foglet così luminoso da fare giorno con largo anticipo ma non per il mondo, avrai bisogno di un ricordo. Se vorrai rientrare nel tuo corpo, se per nostalgia o per infondere curiosità o per tenerezza. Ti servirà quel ricordo che ora rischi di perdere per sempre e perché tu non ti perda.
Cartografia di una vita via via ridotta
Davanti a Traven si pone la seguente possibilità: lasciarsi alle spalle la vita terrena e il passato creando il ricordo della propria esistenza. L’unico modo per farlo è crearlo agendo in chi ancora può ricordare, come il foglet che ricorda a Traven la sua relazione amorosa con una donna e la presunta nascita di una figlia dopo la fine di questo amore:
La particella insisteva dolorosamente perché doveva credere a Traven; nessuno poteva ricordare se non lui. L’aspetto di ognuno è però una somma di verità precarie e tradimenti e non tutti erano disponibili; questo caso più incerto di tutti perché, chi dimentica, cancella anche nell’altro la possibilità di ricordare. E valeva per Traven che aveva sofferto l’ostinata dimenticanza di lei, come per la particella.
Traven ha ricordi confusi a proposito di questa relazione. Questo è dovuto principalmente alla paura di rivivere il dolore provato nel momento in cui è stata posta una fine al rapporto con la donna, che forse ha amato veramente, ma forse no. Il protagonista ha tuttavia bisogno di ricordare, e sotto certi aspetti anche modificare questo ricordo, fingere che il “noi” sia sempre esistito, creare ex novo una storia che forse non c’è mai stata per far sì che, una volta varcata la soglia, resti qualcuno a ricordarsi di lui, e nel ricordarsi di lui non lo cancelli per sempre.
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È in questo frangente che finisce il bardo di Traven. Quest’ultimo è ormai pronto a raggiungere l’oblio e la morte dopo aver realizzato non solo che è morto, ma allo stesso tempo che ha vissuto. La consapevolezza del vivere di Traven si avvera attraverso il ricordo di un amore che, anche se doloroso, fissa le tracce della sua esistenza e permette comunque la sua permanenza nella realtà. Per Traven, la vita dopo la morte resta possibile se e solo se qualcuno è disposto a ricordare chi non c’è più, e di conseguenza la paura della morte è vinta.
Come un mattino texano: «casa è dove c’è una fine»
Come un mattino texano (acquista) riesce a confrontarsi col tema della morte raggiungendo vette mai toccate prima d’ora. Fondendo immaginario avveniristico e fotografia, Michele Neri riesce a raccontare come la morte non sia altro che il prosieguo della vita, reso possibile soltanto attraverso la costruzione della memoria di ciò che è stato ed è esistito. La paura della morte viene considerata superata soltanto nel momento in cui si realizza che la morte è solo del corpo, mentre l’anima sopravvive nelle tracce lasciate nei luoghi e nelle persone che abbiamo conosciuto.
Traven ricordava l’umanità affacciata su un altrove irraggiungibile benché fosse appena dietro uno schermo. Rivide persone all’estremità deserta della strada, mentre il sole che loro stavano cercando, si mostrava alle spalle. E per quanto dagli schermi gli uomini attendessero un via libera, prima con ansia e poi con smania e furore, cercando lì un’uscita dal corpo, il sospetto che il futuro fosse da un’altra parte li afferrò, uno a uno. La delimitazione fisica era diventata fatale. Fu allora che le menti pensarono ai foglet, le particelle. Abbandonato il corpo per attraversare la soglia, ad attenderli c’era un caravanserraglio. Il futuro accecante come un mattino texano.
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