Aleksandar Hemon ha la rara capacità di scrivere storie utili e necessarie. Nato nel 1964 a Sarajevo, emigra negli Stati Uniti nel 1992 per sfuggire alla guerra. Trapiantato in uno Stato straniero, Hemon vive di lavori saltuari e malpagati, dedicandosi nel tempo libero alla scrittura. Le poesie adolescenziali vengono gradualmente abbandonate a favore della prosa: i primi racconti pubblicati su riviste sempre più importanti e poi il primo romanzo, tradotto in Italia con il titolo Spie di Dio. I miei genitori (Crocetti Editore) è il suo ultimo romanzo.
Autobiografia del passato
L’elemento autobiografico in Hemon è onnipresente. In tutti i suoi lavori si trovano elementi riconducibili alla sua vita privata, con particolare attenzione verso l’infanzia e le origini. I genitori spesso diventano i protagonisti delle sue vicende e la situazione bosniaca diventa uno scenario ideale per i suoi racconti.
Nell’autore emerge chiaramente l’intento di recuperare il passato tramite aneddoti e ricordi, senza preoccuparsi che essi siano sfalsati dal tempo:
Sono diversi giorni che mi aggiro con la sensazione di non riuscire a ricordare qualcosa, di avere un ricordo che non riesco a recuperare […]. Non volevo ricordarlo, non ne avevo motivo, e non avevo smanie da soddisfare né dolori da lenire. Non sapevo cosa fosse, cosa potesse essere: volevo solo afferrare e stringere quella bolla trasparente che si formava e fluttuava sopra il torbido corso della mia coscienza, per poi scoppiare e riformarsi di continuo, volevo solo vedere cosa c’era dentro. Nulla è mai stato com’era un tempo.
L’arte del racconto diventa così fondante e ogni opera di Hemon non teme di diventare la trasposizione di un’epopea famigliare tramandata di padre in figlio. Tuttavia, è utile precisare, come Hemon sia comunque uno scrittore di prim’ordine, capace di imbastire una struttura narrativa articolata e fluida allo stesso tempo. I vari rimandi sono calibrati e mai viene dimenticato un passaggio: ogni frase diviene propedeutica all’altra per poi configurare il ricordo in maniera lucida, lineare ed omogena.
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Il linguaggio degli Hemon
Nonostante Hemon abbia preso a riferimento molto spesso il vissuto famigliare – vedasi, ad esempio, alcuni racconti in Amore e ostacoli –, è solo con la sua ultima opera che l’autore decide di narrare dei suoi genitori e della propria infanzia senza censure. È così che Crocetti – sul modello dell’edizione americana – edita due libri in uno: I miei genitori e Tutto questo non ti appartiene. Un viaggio intimo nella vita di una famiglia jugoslava, con i propri sogni e frustrazioni.
Hemon è consapevole della normalità della propria esistenza famigliare, contraddistinte da piccoli dissidi e gioie. Poi, d’un tratto, qualcosa si rompe: la guerra, la catastrofe, irrompe nelle vite di migliaia di famiglie e l’equilibrio trovato è da ricostruire, senza esitazione.
In questo senso il linguaggio nella famiglia Hemon ha sempre assunto una connotazione fondamentale. Così, soprattutto nell’autore, il bosniaco contamina inevitabilmente l’inglese, portando ad inevitabili elucubrazioni sui termini adottati. Si prenda ad esempio la parola “katastrofa”, usata spesso dai genitori. Hemon ne interroga il significato con la sorella e giunge alla definizione per cui «katastrofa è l’immaginaria (e talvolta concreta) realizzazione dell’esito peggiore possibile di una data situazione». Ed è proprio da questo termine, lasciato cadere così spesso nelle conversazioni, che lo scrittore disseziona i discorsi, per capirne l’essenza e l’origine:
L’atto ossessivo di immaginare la katastrofa assolve un’altra importante funzione. Il trauma è sempre una lacerazione della normalizzata continuità determinata dalle routine, è sempre una violazione dell’inerzia ontologica che fonda la “realtà” come reale – quel che è deve continuare a essere – ed è quindi sempre inimmaginabile a priori.
È così che il tema del linguaggio e della memoria si intersecano inevitabilmente nel nuovo romanzo dell’autore, che uscirà negli Stati Uniti all’inizio del prossimo anno. Si tratta della storia di un sefardito, conoscitore di numerose lingue – fra cui una inventata da lui stesso – costretto a muoversi fra mille peripezie nei diversi Stati europei. Emerge, dunque, la necessità estrema di trovare – o se non fosse possibile addirittura costruire –, una casa concettuale per il linguaggio. In altre parole, il notevole talento di integrare le rispettive culture.
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L’utopia retroattiva e l’ironia
Però Hemon prima di arrivare al conflitto armato racconta, percorre la genealogia per poi concentrarsi sui suoi genitori. Cresciuti con un’ideale socialista, si sentono parte di un progetto comune e possono vantare studi superiori e universitari che i loro predecessori non avrebbero mai e poi mai potuto vantare. Hemon più volte si è dichiarato non d’accordo con le politiche di Tito, eppure ne riconosce il fascino incontrastato che ebbe sulle generazioni passate. Hemon prende atto del senso di perdita di cui i suoi genitori – ora emigrati in Canada – si sentono ancora portatori:
Mamma visse la disgregazione della Jugoslavia come una dissoluzione della sua patria. Ad andare distrutta fu la cornice entro la quale la sua vita – e la sua intera traiettoria esistenziale – aveva trovato la propria legittimazione, e dove lei non aveva mai dovuto spiegare sé stessa a nessuno. […] Emigrando in Canada, ha perduto in senso figurato e letterale tutto ciò che l’aveva costituita come persona.
Vi è dunque, in I miei genitori (acquista), un’inevitabile perdita d’identità. Gli Hemon, nonostante tornino in Bosnia almeno una volta all’anno, sono degli esiliati: infatti il loro è un esilio seppur non nella classica concezione del termine. Si tratta di un esilio rivolto al passato. Nonostante la possibilità di vedere gli amici e i luoghi dell’infanzia, della loro giovinezza, hanno perso totalmente la struttura che li ha formati. Spesso i genitori dell’autore si definiscono jugoslavi e sviluppano un’autentica nostalgia, profondamente sentita:
Una patria non può costruirsi senza nostalgia, senza fondare a posteriori una passata utopia. […] Una nostalgia privata e personale […] si fonda sempre sui sensi. Pur non essendo meno irreale, è allo stesso tempo costruita privatamente intorno ai ricordi personali di esperienze sensoriali […]. La patria personale è il luogo in cui, in un tempo più o meno lontano, tutto veniva esperito in un modo più intenso che ora ci appare indubitabilmente autentico; è per questo che la si trova fondamentalmente ubicata nell’infanzia o nella giovinezza.
Ma la nostalgia viene ammantata da un velo di utopia e per questo illusoria e a tratti delirante. Hemon in un’intervista rilasciata al Festivaletteratura di Mantova dichiara come la nostalgia, in effetti, assuma i tratti di «un’utopia retroattiva», capace non solo di modificare ma persino di migliorare i ricordi.
Proprio su questo concetto Hemon riesce a sviluppare il proprio senso ironico. D’altronde Hemon è sì un autore che qualcuno definirebbe intimista, ma anche profondamente sagace e provvisto di un’ironia insita in ogni suo lavoro. Hemon traspone l’affermazione di Aldo Palazzeschi ne Il controdolore: «Maggior quantità di riso un uomo riuscirà a scoprire dentro il dolore, più egli sarà un uomo profondo. Non si può intimamente ridere se non dopo aver fatto un lavoro di scavo nel dolore umano».
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