Amore e morte, Eros e Thanatos: un binomio molto presente nella letteratura mondiale. «Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ingenerò la sorte», scriveva Giacomo Leopardi, «Nasce dall’uno il bene,/nasce il piacer maggiore/che per lo mar dell’essere si trova;/l’altra ogni gran dolore,/ogni gran male annulla». Due elementi che si compenetrano e che, seppur contraddittori, si completano: la morte come assenza esprime il desiderio alla vita che solo lo slancio vitale dell’eros può colmare.
Questo rapporto viene indagato in maniera del tutto originale dalla poetessa americana Moira Egan nella silloge di poesie nuove e scelte Amore e morte (Tlon, 2022), tradotte da Damiano Abeni e che, attraverso forme poetiche tradizionali, cercano di dare voce inedita alle sensazioni carnali e mortali dell’eros.
Le poesie di «Amore e morte»
Amore e morte si suddivide in sei sezioni: Amore, Morte, Sesso, Filosofia, Poesia e Altro. Sei parti di un canzoniere che non narra l’amore semplicemente come innamoramento, bensì come un’esperienza sensoriale che attraverso il corpo e il suo ricordo conferisce lo slancio vitale necessario per superare la perdita e l’assenza di ciò che si è amato:
Ripensandoci, presupponevo amore,
credo. Quantomeno, sentivo un soffio di morte
ogni volta che lei se ne andava. La sua teoria: il sesso
è l’unica via verso la verità. Filosofia,
religione, fisica – gli altri
percorsi tradizionali – tutto sbagliato. Solo la poesia
ci andava vicino, ma chi riesce a vivere di poesia?
Troppo, troppo dolce, anche se si può imparare l’amore
per lei, e respirarla, mangiarla come un bon bon. Ma altre
sostanze nutrienti sono necessarie: la morte
scaturisce da questa monotonia. (La sua filosofia,
fine tessitura, mai raffinata quanto il suo fare sesso.)
Come recitano le prime due strofe del Proemio, quello di Egan è un percorso verso la conoscenza del vero amore: non quello narrato dalla filosofia e dalla poesia, ma quello esperito attraverso il corpo e i segni lasciati su di esso, attraverso la perdita del contatto carnale con l’altro, che sono ciò che danno veramente vita e che permettono la poesia.
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In quest’ottica, dunque, Egan cerca di reinterpretare tradizioni, mitologie, oggetti e ricordi della sua vita, interrogando l’amore e la sua vera natura. Citando la poetessa austriaca Ingeborg Bachmann, queste poesie possono essere riassunte attraverso questo verso: «spiegami, Amore, ciò che non so spiegare». Quello di Egan, dunque, è un invito all’eros di manifestarsi nella quotidianità attraverso il ricordo di ciò che si è posseduto ed esperito.
L’amore secondo Moira Egan
Spiegare nello specifico cosa sono le poesie di Amore e morte sembra essere complicato. Le poesie di Egan, infatti, sono tradizionali e nuove allo stesso tempo. Tradizionali, perché la forma e la metrica usate sono convenzionali; innovative, però, perché da un lato sanno ricondurre l’amore alla sua forma originaria, ovvero alla sfera sensoriale, e dall’altro hanno saputo reinterpretare mitologie e oggetti. In quest’ultimo caso ricorda molto, per esempio, il poeta cileno Pablo Neruda con la sua poetica delle piccole cose e la concezione dell’amore come mezzo per indagare l’esistenza e la morte.
Per parlare della silloge della poetessa americana, sarebbe meglio leggere quanto scrive Melissa Panarello nella prefazione:
Amore e morte è un’opera che ha l’ambizione di contenere la molteplicità dei sensi, che per Egan non sono cinque (o sei, come sostengono i palati più raffinati), ma milioni di più, e non sono solo esperienza del corpo se anche un pezzo di sughero può ricordarci di amorosi piaceri che nulla hanno da condividere con il vino. Tutto è eros, persino la tenerezza di chi ritrova l’amato la sera con le scarpe sporche di fango e nulla farebbe presagire un incontro d’amore.
Tutto per Moira Egan contiene il piacere e l’amore: il contatto con il corpo, gli oggetti, l’assenza di qualcosa. La poetessa di Baltimora decostruisce ciò che esiste, ne prende l’essenza e la espone attraverso i suoi versi per dare voce a tutte quelle sensazioni inespresse – ma anche insignificanti – che permettono i sentimenti, ma soprattutto la vita.
Ripensare il linguaggio dell’amore
Moira Egan inizia la sua indagine partendo dalla destrutturazione della tradizionale dizione amorosa, come spiega nella poesia Strana dizione:
Mi dici che il tuo dizionario è inutile,
dove la gente trova conforto, felicità,
è vuoto. Anche se ho sofferto di afasia, e chissà
quanto, è futile come una banca di sperma sterile.
Allora proviamo così: perfino il Battaglia se vuole
accoglie, di rado, strane nuove parole
Da notare come, nella versione inglese della poesia, per indicare “inutile” e “vuoto” si usi solo la parola “blank”. Le parole tradizionali per indicare i sentimenti d’amore, infatti, sono vuote e inutili allo stesso tempo, poiché incapaci di penetrare la vera essenza dell’eros.
L’io, allora, vuole accogliere nuove parole nella sua dizione, come «Viagra», «logica informale», «superfesta» e «alcopops», termini in apparenza banali, ma a cui l’io conferisce un nuovo significato. Frutti come il pompelmo, il limone e il fico d’india, il miele, piante come l’alloro e il glicine diventano, per esempio, simboli di un amore che si fa più intenso con la perdita del contatto con l’altro, poiché si rinnova nel ricordo delle tracce e dei segni lasciati sul corpo.
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Le tracce e i segni del corpo risignificano, inoltre, i luoghi che hanno fatto da contorno all’amore: Venezia, l’Irlanda, i pub, la propria casa e perfino l’universo dantesco diventano posti intrisi di illusioni, dove l’innocenza originaria lascia spazio alla caducità della vita e le sensazioni sono possibili soltanto ripercorrendo le cicatrici lasciate dal contatto con l’altro.
Molto interessante in quest’ottica di risignificazione, infine, è anche la reinterpretazione della mitologia, in particolare delle figure femminili: Penelope, Circe, Nausicaa, fino a Scilla e Cariddi vengono reinterpretate come figure terrene, non seduttrici, ma sedotte da sentimenti che cercano inutilmente di catturare, arrivando, dunque, a chiudersi nella propria tristezza e nella nostalgia di quello che fu, che cercano inutilmente di recuperare senza mai riuscirci, come dimostrano i seguenti versi della poesia di Aracne:
Vista come hybris, estro-esame di volontà, cosa strana
davvero: io amavo soltanto, sì, vivevo per, tessere.
Volevo vedesse cosa avevo intessuto.
Vivere per tessere
Moira Egan, allora, giunge alla seguente conclusione: si vive per tessere parole e oggetti, corpo e assenza, sensazioni e ricordi. Non serve soltanto vivere il ricordo del passato, ma anche continuare a fare esperienza del corpo nel presente attraverso il contatto di ciò che sappiamo prima o poi può morire, ma può rigenerarsi più e più volte, come scrive nei seguenti versi di Caro Mister Merrill:
Ero sicura che l’avrei sognato ieri notte.
Invece ho sognato un altro nella crescente catena
di altri con cui non è finita affatto
bene. Ma la sete era perfetta, anche se il suo prezzo è pena,
cristalli frantumati, vino rovesciato, tutto parte
integrante delle nostre vite imperfette. Allora l’Arte
fa trasalire per l’accoramento, marmo o pagina.
Lei l’ha imparato tanto tempo fa. Adesso anch’io vedo
che le cose più selvagge esigono le gabbie più robuste,
le doppie sbarre della pantera, o i semi,
sangue-dolci e amari, sotto la buccia
della melagrana. Amore stretto stretto in un sonetto
Questa è, dunque, l’idea di amore secondo Moira Egan: la ripetizione dell’assenza, del dolore, della fugacità del contatto carnale, da cui si può trarre la presenza e la vita nel momento in cui si rinnovano le stesse sensazioni, gli stessi dolori e le stesse cicatrici. Quando si piomba nella nostalgia, la perdita viene colmata dalla ripetizione di atti d’amore che ci fanno male, ma che sono vitali per la nostra esistenza. L’amore perdura nelle tracce che lasciamo di noi negli oggetti, perché anche il dolore, in fondo, è slancio vitale: è eros.
«Amore e morte»: Eros e Thanatos secondo Moira Egan
Amore e morte (acquista) di Moira Egan contiene poesie che ci accompagnano in un’educazione sentimentale inedita e originale, che vuole dimostrarci come l’amore è espressione di filosofia, morte, sesso e poesia assieme: è l’intreccio della parola con il ricordo, le sensazioni corporee e la perdita. È la continua ricerca di sensazioni che afferriamo e continuiamo a perdere, provando dolore, ma allo stesso tempo ottenendo la vita, perché l’assenza della morte viene colmata dal piacere che proviamo nel contatto fugace con l’altro e con gli oggetti e nel ricordo di essi.
Si dice che i collezionisti tentino di colmare
Moira Egan, Cuori & sassi
una cavità interiore, una tremenda perdita originaria.
Se è così, le vorrei dire che ciascuno
ha spazi vuoti, orribili cicatrici.
Perfino la terra si accresce a strati,
e quella forza crea sia le gemme che i graniti.
E se quei sassi-cuore riflettono ciò che ha nel costato,
le voglio dire che ogni cuore è pietrificato.
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