Una sclerotica istoria venessiana

«I morticani» di Francesco Maino

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i morticani

Parafrasando Carlo Emilio Gadda, la realtà in cui viviamo è uno gnommero: un groviglio, una matassa di circostanze e di casualità che rendono difficili interpretare il contesto in cui viviamo. Quest’ultimo è sempre in divenire, deforme, grottesco, di difficile comprensione, e necessita una lingua che sia altrettanto deforme e altrettanto capace di mettere in luce tutte le storture del quotidiano.

Un autore molto gaddiano in questo senso è sicuramente Francesco Maino, che quasi dieci anni dopo il successo di Cartongesso (Einaudi, 2014), debutto con cui vinse il Premio Italo Calvino, è tornato in libreria con I morticani per i tipi di Italo Svevo Edizioni nella collana Incursioni diretta da Dario De Cristofaro.

La trama di «I morticani»

«In una frazione stemmata del demo di Fava sul Dose, della quale non val la pena di rammentare nulla […] vivacchiava, a pigione, in un modesto ammobiliato, appartenuto alla nonna dai tempi di Badoglio, un penalista da diporto». Sembra l’inizio del Don Chisciotte, ma in realtà è l’incipit di I morticani, dove il protagonista, Alfonso Della Marca, ha qualcosa in comune con Alonso Quijano. Anche lui è definito hidalgo, ha uno scudiero che di nome fa Ferrari e ha il pallino per la scrittura.

Alfonso Della Marca è costretto a un ricovero in ospedale, dove inizia a raccontare una «istoria sclerotica» ambientata nella sua Veenekten, governata dall’Imperatore dell’Apericena, e popolata da tanti personaggi grotteschi e tragicomici usciti da una tragedia altrettanto tragicomica, l’Alcesti di Euripide. Divorato dal mito, dunque, Alfonso Della Marca racconta la storia di un nordest italico che sta bene, pieno di ricchezza, ma che contiene al suo interno tante contraddizioni.

L’iperveneto di Francesco Maino

Come preannunciato all’inizio, I morticani risente molto dell’influsso di Carlo Emilio Gadda. In primo luogo, questa influenza si sente a livello linguistico: il romanzo di Maino è scritto in una lingua che contiene termini veneti, calchi dall’inglese e termini sgrammaticati. È una lingua che porta all’estremo non solo il provincialismo, ma anche il lato tragicomico delle vicende raccontate.

Linguisticamente e editorialmente parlando, I morticani trova nella collana Incursioni la giusta casa, in quanto vi sono romanzi come Spirdu di Orazio Labbate che sperimentano molto con il linguaggio. Se quest’ultimo, però, mischia il siciliano a termini dal sapore ottocentesco per dare un effetto disturbante e onirico alle vicende narrate, Maino usa la sua lingua – che la critica ha definito “iperveneto” – per mettere in luce l’aspetto grottesco ed esagerato della realtà che descrive.

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Il Veneto gaddiano nei «Morticani» di Francesco Maino

Un altro aspetto che accomuna Maino a Gadda – e che già l’autore di Motta di Livenza ha sperimentato in Cartongesso – è la trasfigurazione del Veneto. Quest’ultimo, infatti, è chiamato Veenekten, un posto situato in un tempo sospeso fra mito e contemporaneità – Veenekten vagamente ricorda i Venektens, «l Veneti antichi» – come il Maradágal gaddiano, e molte città sono trasfigurate. Dietro Baxan del Groppa, ad esempio, si cela Bassano Del Grappa, mentre Hiessolo sarebbe Jesolo, Venessia rimanda a Venezia e Mestreminoica a Mestre.

Nel Veenekten di Maino vi sono anche riferimenti alla cultura pop, come Facebook, TikTok, Telegram, ma anche all’editoria contemporanea, come il Becchetti, scrittore il cui nome ricorda quello di Samuel Beckett, «saldamente malvoluto dalla critica, in casa, nel didascalico reame dei colli Berizi che dialogano coi bramini sabini», «mulettista mardocheo» dietro cui si cela Vitaliano Trevisan, un autore che prima di Maino e come, ad esempio, Francesco Permunian ha messo in luce le storture del nordest con uno stile che deve molto a Samuel Beckett e a Thomas Bernhard, la cui influenza si nota anche in Maino.

Il mito di Alcesti nella Veenekten di Maino

Come già annunciato, nella storia dei Morticani si sente l’eco dell’Alcesti di Euripide, dramma teatrale che, nonostante il lieto fine, alcuni critici definiscono dramma satiresco. La storia originale prevede il sacrificio di Alcesti per risparmiare la morte di Admeto, re di Fere, come da accordo fra le Moire e Apollo, condannato da Zeus a fare da servo al sovrano dopo aver ucciso i Ciclopi per vendicare la morte del figlio Asclepio. Alcesti, però, viene salvata da Eracle, che la riporta sulla terra dagli Inferi.

Le corrispondenze fra l’Alcesti e I morticani sono le seguenti: Luca Apollonio e suo padre Giove Zovatta sono Apollo e Zeus, mentre Alesio Pindarino, il figlio non riconosciuto di Apollonio e di Cora di Bozen – la Coronide di Veenekten –, è Asclepio, e come quest’ultimo è esperto di medicina. Apollonio è innamorato, invece, di Adamo D’Elia, che interpreta il ruolo di Admeto, mentre sua moglie Marcella Maria Toffoletto è Alcesti. Infine, se il ruolo delle Moire è affidato alle sorelle Mira e Maira Raimonda e quello di Thanatos a Sfalci, quello di Eracle è affidato invece a Bassetti D’Eraclio Junior, «l’Eracle delle Dodici Fatiche Abusive», «il citrullo tarallo bullo dai pompati muscoli […] caro agli dèi senza motivo».

Se da un lato, però, l’Alcesti viene interpretata come una storia in cui per amore si è disposti a sacrificare persino se stessi, I morticani, invece, non ha niente di tutto ciò. Quest’ultimo reinterpreta la storia di Alcesti esagerandola e deformandola raccontandoci come l’amore sia sì centrale come nel modello di riferimento, ma costretto dai vincoli sociali. Il dottor D’Elia, per esempio, vuole vivere la sua omosessualità con serenità, mentre la signora Toffoletto decide di “sacrificarsi” – anche se, più che un sacrificio, si tratterà di una scappatella extraconiugale – per noia.

Il coro metanarrativo di Della Marca

In tutto questo, come ogni tragedia greca che si rispetti, vi è un coro, interpretato dal narratore esterno e dallo scrittore occasionale Alfonso Della Marca, che racconta la sua storia al dottore Emidio Donadini. Nella tragedia greca, al coro veniva solitamente affidato il ruolo di commento e di guida alla comprensione delle azioni narrate. Nel caso dei Morticani, invece, Alfonso Della Marca svolge delle riflessioni e dei commenti metanarrativi inerenti al ruolo della scrittura: «Piccola digressione, a beneficio del lettore» dice il narratore, «su cosa valga di più: lo scrittore ovvero il suo destino? L’ordito dei suoi libri o la trama della sua vita? Saper scrivere o saper vivere?».

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Riflessioni come queste sono poste più e più volte al lettore-zero, come si definisce il lettore in questo romanzo: esse non fanno altro che denunciare le scuole di bella scrittura creativa riprendendo la lezione di Gadda secondo cui bisogna essere capaci di rappresentare il caos della nostra realtà, la sua trama e il suo destino. Non è importante avere un bello stile, un linguaggio comprensibile o una storia con un inizio o una fine: uno scrittore deve saper rappresentare il non-senso della realtà. «Si capisce, dottore», dichiara Della Marca, «come questa storia faccia acqua da tutte le parti, non ha più né capo né coda, non ha mai avuto un senso».

Una storia che fa acqua da tutte le parti

A questa storia che fa acqua da tutte le parti e che non ha senso corrisponde un mondo che a sua volta un senso non ce l’ha. Un mondo molto simile a quello del Giovin Signore del Parini, pieno di frivolezza e insensatezza, dove, ad esempio, ai propri figli si insegna che «l’università è il mio lavoro […] sin dall’école maternelle», e un rutto di magnitudo tre si libera dopo «l’assunzione ossessa di funghi champignon supini su crostino e chardonnay al calice».

Che momenti…! Che gaiezza elegiaca…! Padroni & lenoni…! Servi con servitori…! Porci che non fanno nulla per non esser dissimulati porci…! Dipendenti da dipendenti…! Froci & proci, insieme, uniti dallo scheo indichiarato, dal benefico bezzo…! […] Equilibrio del mondo senza il Mondo di Mezzo, senza il mondo, mon, do, m, o, n, d, o.

Il mondo di Veenekten è quello dei salotti borghesi animati da capricci e colpi bassi. Basti pensare, ad esempio, a come l’amore fra Apollonio e Adamo sia a rischio per un debito da gioco contratto con le sorelle Raimonda, ovvero le Moire di Veenekten. L’umanità ritratta da Della Marca è pratica dell’«orrore comico» suscitato «affari segretissimi» e dai tradimenti del «caso capriccioso». Quello che continua nella vita pubblica e privata dei personaggi è difatti un nulla destinato a proseguire fino alla morte: tutto quello che succede è frivolezza, noia, che ritorna nel privato nascosto dalla facciata pubblica e che rende il tutto sempre più ingarbugliato, ma accettato dall’ipocrisia dell’alta borghesia.

«I morticani»: un’Alcesti annoiata che si sacrifica per l’orrore comico

Ne I morticani (acquista) confluisce una lunga tradizione satirica e grottesca che ha i suoi precedenti in autori come Giuseppe Parini, Alexander Pope e Carlo Emilio Gadda. Ci si trova di fronte a un romanzo che riscrive il mito in maniera esagerata e con una lingua deforme per raccontarci la frivolezza, l’ipocrisia e le storture di un contesto sociale – quello del nordest italiano – fatto di benessere, ma soprattutto di tanta facciata. Come sempre, anche qui il mito risulta attuale, e ci mostra come i tempi cambiano: se una volta Alcesti si sacrificava per amore, adesso si sacrifica perché annoiata dalla ricchezza e dalla superficialità, ma a questo contesto sociale ritorna perché non può fare a meno delle frivolezze a cui ormai è abituata.

La storia ufficiale, se di storia si è trattato, ammesso sia iniziata mai, finisce così, in modo prevedibile, a Fava sul Dose, ove era principiata. […] Questa storia non finirà mai, sembra iscriversi sulla bocca di Ferrari, i cui muscoli facciali spremono l’energia sufficiente a meccanizzare il tremolio delle labbra, come un sordomuto alle prese con la prestazione estrema del parlare, quando è in gioco, d’estate, al banco d’un chiosco angosciante, questione di vita o morte, l’ultimo spritz della stagione. Ecco perché continuerà, all’infinito.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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