Come se non bastasse la pandemia, in questi ultimi mesi stiamo assistendo anche alla guerra in Ucraina. Come tutte le guerre, anche questo conflitto sta provocando la distruzione di intere zone e la morte di molti civili. Su questa guerra, inoltre, circolano anche notizie che non sempre risultano vere, frutto molto probabilmente della propaganda.
La narrazione della guerra, si sa, è sempre soggetta a manipolazione, soprattutto in tempi di fake news. Sia carnefici che vittime, infatti, plasmano la verità a proprio piacimento. Un esempio di manipolazione attorno a un fatto poco noto della Seconda Guerra Mondiale lo racconta anche Nicola Feninno nel suo esordio Una storia vera, edito dai tipi di Industria&Letteratura nella collana «L’invisibile», diretta da Martino Baldi.
«Una storia vera»: la trama
Il protagonista di Una storia vera è l’autore stesso, qui citato solo per nome, Nicola. Pressappoco prima dello scoppio della pandemia, Nicola si reca a Castelnuovo al Volturno, «frazione di Rocchetta al Volturno, provincia di Isernia, Molise; oggi ci vivono 237 persone secondo l’Istat». Il motivo di questo viaggio è il rito dell’Uomo Cervo, che si svolge l’ultima domenica di Carnevale per salutare l’inverno e accogliere la primavera.
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Nicola fa la conoscenza di Andrea, Ernest, Salvo, Valeria e i coniugi Vincenzo e Maria Miniscalco. Tutti loro lo aiutano ad addentrarsi in questo rito affascinante e misterioso allo stesso tempo. Quella dell’Uomo Cervo, infatti, risulta essere una tradizione enigmatica; dietro di sé cela un lato della storia poco conosciuto: la distruzione durante la Seconda Guerra Mondiale di Castelnuovo al Volturno il 17 giugno 1944, voluta dagli americani per girare un Combat Film a fini propagandistici.
L’Uomo Cervo: una storia (quasi) vera
Chi conosce Nicola Feninno, sa che è direttore di CTRL Books, prima conosciuta come rivista e poi diventata casa editrice specializzata in reportage narrativi che fondono giornalismo, antropologia e narrativa nel solco di Bruce Chatwin e Ryszard Kapuścinski. È nota, infatti, la Trilogia normalissima, contenente Gli ultrauomini, I dimezzati e Gli estinti.
Questo dato è importante da tenere a mente, poiché Una storia vera muove i passi dall’esperienza di Feninno per CTRL Books. Questo racconto lungo nasce da un fatto reale che Feninno racconta nei ringraziamenti:
Ringrazio il professor Tommaso Evangelista, che mi ha parlato per primo di Castelnuovo al Volturno (in realtà voleva raccontarmi soprattutto di Charles Moulin, pittore francese, vincitore del Prix de Rome, che nel 1911 si trasferì a Castelnuovo, dove passò tutta la vita in un eremo che si costruì lui stesso).
In un’intervista rilasciata per «L’eco di Bergamo», Feninno ha raccontato come Evangelista, professore d’arte appassionato del giornalismo narrativo di CTRL, gli abbia parlato anche del bombardamento di Castelnuovo, cosa che inizialmente Feninno aveva ignorato. Nel febbraio 2020, allora, l’autore è partito verso il paese sulle montagne molisane, inizialmente per la storia di Moulin, per poi addentrarsi nel rito dell’Uomo Cervo e nella storia del bombardamento del paese.
Giornalismo, narrativa, antropologia… interesse per le maschere
Feninno si avventura, così, all’interno di un contesto sociale con codici antropologici e culturali tutti suoi. Il rito dell’Uomo Cervo è un modo per i castelnovesi di raccontare non soltanto delle semplici tradizioni popolari, ma anche la storia di un intero paese. Quella di Castelnuovo, però, sembra una verità costruita, non del tutto autentica. Per questo motivo, come affermato da Feninno in un’intervista su «Style Magazine», il protagonista deve abbandonare i panni dell’antropologo e giornalista e indossare quelli del narratore:
Mi comporto da narratore: quindi prendo quello che trovo, provo a scavare sotto la superficie; ma non per cercare la “verità dei fatti”. Mi interessa una verità più profonda, per così dire. O più sfuggente. O più universale. Ma non c’è il termine giusto. Qualcosa che accade sulla faglia tra la cosiddetta realtà e la cosiddetta finzione. Da qualche parte ho letto questa citazione di Bertrand Russell: “empirical truth can be determined by the police” (la verità empirica può essere stabilita dalla polizia, ndr). E io non lavoro nella polizia.
Fin dall’inizio, Feninno ribadisce di non essere né giornalista né antropologo, ma scrittore a cui «interessano le maschere». Il protagonista è costretto a navigare fra la verità e la finzione e a «imparare i passi, gli equilibri, come romperli, ricostruirli, quando guidare e quando seguire».
Questa dichiarazione di intenti ricorda moltissimo quanto ha raccontato una volta Nicola Lagioia a proposito de La città dei vivi; in una sua intervista del 16 ottobre 2020 sul «Venerdì», l’autore pugliese ha dichiarato che il romanziere deve agire come uno scienziato e uno sciamano. La stessa cosa fa Nicola Feninno: come uno scienziato non si è inventato nulla, avendo indagato e documentato fatti reali; come uno sciamano, invece, ha dovuto stabilire connessioni fra i buchi della narrazione di Castelnuovo, dell’Uomo Cervo e del bombardamento.
Castelnuovo fra maschere e mezze verità
Dopo aver scoperto nel Museo dell’Uomo Cervo un ritaglio di giornale relativo al bombardamento di Castelnuovo al Volturno, Nicola prova a stabilire dei legami. I due cervi uccisi dal cacciatore e poi rinati, il Martino che picchia il Cervo piuttosto che le janare mandate via dall’animale e la popolana che prova a dominarlo sembrano raccontare simbolicamente la storia del paese molisano.
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Nicola, allora, vuole cercare di saperne di più su questo bombardamento, che si scoprirà essere architettato dagli Alleati che hanno usato il paese come set per realizzare un film a scopi propagandistici. Il protagonista interroga allora Salvo, consulta gli archivi delle biblioteche alla ricerca di vecchi ritagli di giornale, e parla con i coniugi Miniscalco. La verità, però, sembra sempre più sfuggirgli di mano: «più affonderò», dice Nicola, «più affondo le mani in questa storia più si frantuma, si espande, e io mi ci ritrovo dentro, ma da qualche parte in una sua periferia».
Manipolazione della Storia
La verità a cui approda Feninno è fallace, prodotto di manipolazione. Spia di ciò è, ad esempio, Nicola che dimentica di chiedere a Salvo la lettera che il fratello del nonno ha scritto da Washington e che dimostrerebbe l’esistenza del filmato. Allo stesso tempo, l’assenza del nastro e il racconto dei coniugi Miniscalco, ai tempi ragazzini e deportati a Modena dai nazisti, rendono ancora più labile il confine fra verità e finzione.
Ricordandosi di una foto della sua estate dell’89 a Foggia quando aveva due anni, Nicola fa la seguente riflessione, che si può estendere a quanto raccontato finora:
Succede spesso quando sei sulle tracce di una storia: avanzi come su una distesa, la spinta che ti muove è orizzontale: una linea che unisce un punto a quello successivo, procedi per accumulo, raccogli indizi, segni, immagini, voci, ricordi, uno dopo l’altro. Se ti potessi guardare dall’alto vedresti la mappa, la costellazione che stai disegnando.
Questo episodio dà una chiave di lettura al rito dell’Uomo Cervo e al bombardamento di Castelnuovo e le diverse versioni attorno a esso. Una storia vera non è altro che un insieme di ricordi, immagini e testimonianze che non si possono dimostrare fino in fondo, ma la cui combinazione è necessaria per mantenere la nostra identità culturale e sociale, possibile soltanto attraverso la ricostruzione del passato.
Una storia vera fra finzione e realtà
Nonostante sia stato scritto prima dello scoppio del conflitto ucraino, Una storia vera (acquista) di Nicola Feninno sembra raccontare molto bene i meccanismi attorno alla narrazione di questo conflitto e più in generale della guerra. Attraverso le vicende storiche di un paese molisano di montagna, Feninno ci racconta come il nostro passato e la nostra storia siano il frutto di una manipolazione di immagini e ricordi fatti dalle vittime per superare i traumi e dai carnefici per giustificare le proprie azioni. Riti, tradizioni e ricordi sono, allora, parte di una narrazione costruita ad hoc, la cui verità non è mai dimostrabile empiricamente, ma che si accetta per dare identità a una cultura e a una storia.
Quasi sempre, quando sei sulle tracce di una storia, fosse pure la tua propria che hai alle spalle, incappi in una voragine, un baratro, qualcosa che non torna. La linea che disegna la mappa, in un punto, crolla su se stessa, rivela un’altra dimensione che tiene tutto insieme. Se guardi dall’alto non la vedi. È un vuoto ma vi è ancorato il senso di quello che vuoi raccontare e raccontarti; serve un metodo, una stratega, per non farsi risucchiare.
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