Il nostro meglio (La nave di Teseo, 2021), terzo romanzo di Alessio Forgione, è l’intimo racconto di un familiare addio, il tentativo di un ragazzo di mettere in luce il passato per ricostruire il presente e riuscire a tenere insieme i pezzi, crollare (ogni tanto) e andare avanti (sempre).
«Il nostro meglio»: Amoresano ieri e oggi
Amoresano vive a Bagnoli, un quartiere nella periferia di Napoli. Frequenta l’università, riempie le sue giornate con il gruppo di amici, insieme formano una band alle prime armi. Una perfetta quotidianità statica in cui l’ordinarietà domina sovrana: i bambini urlano in cortile, i libri si accumulano sul tavolo, la madre parla al telefono. E poi, la rottura: la nonna ha un tumore, le rimangono sette mesi di vita.
Per Amoresano è il vuoto, la voragine, perde l’equilibrio.
Voglio chiedere a mia madre se sono sicuri, se dicono davvero, se davvero ci sta accadendo questa cosa. Se questa cosa davvero sta accadendo a noi.
Inizia una fase di ricostruzione, Amoresano rimette insieme i pezzi del passato, mentre il presente si costruisce giorno dopo giorno senza che lui possa fare nulla. Ritorna bambino e analizza il lessico familiare che da sempre risuona tra le pareti del salone, nella casa dei nonni.
I sorrisi, i litigi, le bestemmie urlate tra i denti, il profumo del sapone conservato nei cassetti. La violenta accettazione del lutto, una famiglia che deve fare i conti con la malattia e il dolore, incapaci di maneggiare la perdita. Consapevoli che, in un modo che non vogliono davvero scoprire, dovranno andare avanti.
Intorno a questo, c’è il racconto della periferia, crudele e affascinante. L’amicizia con Angelo, testardo e irrequieto. Il sentimento, per Anna e Maria Rosaria, che non è un qualcosa di definitivo ma più scivoloso, non sembra mai assumere una reale dimensione.
La lotta contro il tempo
Il romanzo è scandito in capitoli che seguono una numerazione alla rovescia, un decrescendo emotivo. Dal capitolo Dieci si arriva allo Zero, quando il romanzo si chiude nel silenzio che è sospensione e si apre con un nuovo capitolo: Uno. È l’esplosione del nuovo giorno che, insensibile nel suo perpetuo andare, esplode e ricomincia.
Alessio Forgione guida il lettore in un viaggio catartico lento, nebuloso, verso una collettiva amarezza in cui il dolore di Amoresano diventa il dolore di ognuno, un dolore che coglie impreparati. Getta nel vuoto, in ogni caso.
Fare i conti con il “dopo” vuol dire trovare spazio nel silenzio.
Cosa altro rimane quando non si sa più parlare, quando le parole, da sole, non possono coprire le dimensioni di quel che proviamo, se non piangere?
Niente. Non ci resta niente, questa è la verità.
Un altro romanzo
Non è più il Marocco di Giovanissimi (NN Editore, 2020), forse non sarà mai l’Amoresano di Napoli mon amour (NN Editore, 2018), ma è ancora la stessa scrittura fresca, riflessiva, che si lascia andare a una narrazione istintiva, piena di immagini che catturano la napolaneità del luogo. Le risate, le lunghe passeggiate per le vie di Napoli e i pranzi in famiglia.
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Se l’Amoresano di Napoli mon amour era un uomo alla ricerca del proprio futuro, Alessio Forgione ce lo ripresenta nella duplice veste di un ragazzo che costruisce il suo presente giorno per giorno. E dello scapestrato Marocco ha gli stessi ricci, lo stesso bisogno di curare le proprio cicatrici: «Quanto in noi rimane delle persone che siamo state, mi chiedo».
Amoresano, come i suoi colleghi di romanzi, soffre e sbaglia. Sbaglia con Maria Rosaria, mesi ad ascoltarsi, a desiderarsi e poi a dimenticarsi con la stessa fugacità. Sbaglia con i suoi amici, sempre pronti a correre, mentre lui si tira indietro. Si perde lungo la strada che porta alla morte, si perde in un egoistico dolore che riflette quello dei suoi familiari, della madre che piange con il volto tra le mani, del nonno che tristemente batte schiaffi sulle gambe: «Quest’uomo che non ha parole d’amore per nessuno ed è costretto a venire per sempre frainteso». La straziante necessità di fare i conti con la vita amara.
Consigliato a…
Tre romanzi autonomi, tre storie indipendenti che s’intrecciano tra loro in uno stile di scrittura sempre più incisivo, i personaggi si lasciano guidare dalle parole che non consolano, bensì interrogano. Consigliato a chi ha voglia di recuperare una traccia di vita della periferia: la quotidianità popolare, melanconica, che un po’ sconforta e un po’ culla. Una storia per scoprire che Il nostro meglio (acquista) è un po’ quello di tutti, di Amoresano e della nonna, il nostro.
E poi, ancora, i libri, la musica, i concerti, il desiderio di evasione che è parte del percorso di ognuno. Una storia che ricorda il lento dondolio di una barca in mezzo al mare. A ben guardarla, ha ancora tanto da raccontare.
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