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«Nova» e la forza deflagrante delle pulsioni

Cosa succede quando permettiamo alla violenza di dominarci?

8 minuti di lettura
Nova

Nova è l’ultimo romanzo di Fabio Bacà, pubblicato nel 2021 da Adelphi e finalista alla LXXVI edizione del Premio Strega. Presentato da Diego De Silva, che lo definisce «[…] un libro diverso, letterario nel senso più seducente del termine, che racconta a scopo di riflessione. Parla di violenza e di vigliaccheria. A queste due categorie inflazionate dall’etica restituisce un senso culturale molto più autentico e comunemente sottostimato».

«Nova»: corpi celesti che mutano

«In astronomia le nove sono stelle nelle quali si verificano esplosioni più o meno violente, che determinano aumenti bruschi di luminosità ed espulsione di materia: si tratta di corpi celesti nelle ultime fasi della loro evoluzione». E così pare anche Davide, il protagonista di Nova, alle prese con un’eruzione che non controlla, ma che sottende a tutti i fatti principali. Come una colata il suo mutamento avanza lento e inarrestabile, e questo si percepisce sin dalle prime pagine, come una stortura inevitabile.

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Se nel precedente libro dell’autore, Benevolenza cosmica, la straordinarietà assurgeva a ruolo cardine attorno cui ruotava la compattezza dei fatti raccontati, in Nova l’ordinarietà sussurrata è il pretesto per raccontare qualcosa di straordinario. Ma è una quotidianità quasi deformata, ritratta in un significante che è solo soggettivo. Quando il protagonista incontra ciò che non conosce, liberando e lasciandosi sopraffare da istinti che costituiscono il sostrato dell’io, allora la quotidianità diventa ostacolo e impedimento.

L’inflessione della trama e la crescita del personaggio

Fatta eccezione per un lattiginoso incipit, che amalgama il lettore in un confortevole meandro di ordinarietà, la storia introdotta da Bacà in Nova (acquista) gode di una tensione centripeta.

La trama non colpisce, e non è lei la vera protagonista, quanto piuttosto la metamorfosi avvincente del personaggio, dotata di una forza liberante e liberatoria e ­– sotto alcuni aspetti – visionaria.  

Davide è un rinomato neurochirurgo con una certa fama, ma con i classici problemi di autoaffermazione professionale nei confronti del proprio “capo”. Conduce una vita agiata a Lucca con la moglie Barbara – logopedista e spasmodicamente vegana – e il figlio Tommaso, timido, appassionato di astrologia e innamorato come sanno esserlo solo gli adolescenti.

Proprio come suo marito, obbedendo a una di quelle necessarie simmetrie coniugali forgiate sulla condivisione di piccole sezioni di spazio e ampie porzioni di tempo, Barbara si svegliava ogni mattina alle sei. […] erano quindi reciprocamente inconsapevoli di partecipare alla puntualità euclidea di un risveglio contemporaneo.
Davide aveva sempre pensato che l’umanità fosse uguale a se stessa dall’inizio dei tempi: porzioni di crudeltà, eroismo, viltà, idiozia, ignoranza, bontà, empatia, sensibilità e di altre qualità più o meno edificanti erano distribuite in dosi variabili tra gli umani, ma sovrintese da una fondamentale, per quanto accidentata, disposizione del bene.

La vita di Davide viene sconvolta dall’incontro con Diego, l’uomo che aiuta la moglie minacciata da un ubriaco in un locale; Davide, al contrario, è incapace di reagire e difendere la propria famiglia. Annunciato con un pathos magistralmente costruito, a quasi metà del romanzo, è un incontro che fin dall’inizio si traccia in modo inconsueto ma profondo, come un’incudine che scalfisce le certezze del nostro protagonista («”Oggi non morirai” disse “Al contrario: oggi è il giorno in cui rinascerai.”»).

Il contrario della non violenza

Quante volte sentiamo parlare di non violenza? Ormai sottaciuta, l’inclinazione all’ipotesi dell’abbandono alle istituzioni che non permeano lo stato del controllabile è un vero e proprio tabù.

Ma Diego, attraverso la sua storia – raccontata in parti monologiche intense ­– e attraverso delle continue messe alla prova del suo amico, ci fa capire che non è così: che la violenza è la dichiarazione del potere e in quanto tale va espressa per una sorta di topos, che è quello del “saper stare al mondo”. Una strategia che forse sul finale risulta fallace, o forse no.

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Quello che determina la sostanziale differenza tra Davide e Diego è che il primo è un dominato, il secondo il dominante del potere che il proprio io esercita. A questo punto la violenza diventa un fatto soggettivo, radiale, che ci costringe a riequilibrare il nostro giudizio sugli altri e anche le nostre affermazioni e credenze interiori sulle persone che amiamo e che ci circondano.

«C’è un Potere dentro di noi» disse a quel punto.
Davide gli chiese cosa fosse, esattamente, questo Potere.
Lui rispose che lo sapeva benissimo.
Che l’aveva sempre saputo.
[…] «La società moderna reprime gli istinti che non comprende o che non le fanno comodo. Inibisce l’aggressività individuale perché ritiene che confligga con l’idea di civiltà.
La violenza è un potere ambiguo, che ha bisogno di essere controllato: se non lo domini, dominerà te. E non puoi controllare qualcosa che neghi a priori.

Lo stile di Fabio Bacà

Oltre le mura il traffico era rapido e rarefatto, una rarità in quel periodo dell’anno. Davide aveva guidato con la radio accesa su un canale di vecchi classici, sospeso nell’orbita anulare dei pensieri, scie che precipitavano come frammenti di asteroidi dietro i suoi occhi.

Visionario, barocco ma mai lezioso, lo stile di Bacà ci trasporta in vibrazioni inesplorate («Le colline all’orizzonte sembravano sbalzate dal bulino di un incisore»), ma che sanno anche descrivere con una profonda precisione lo stato d’animo umano («Emanava pace, solidità, coesione al mondo. Chi era quell’uomo? E cos’era quel posto?»).

Attraverso uno scambio sapiente delle voci narranti, con l’utilizzo di una prima persona che ci porta nei contorni slabbrati della propria mente, Bacà ha confezionato un’opera sicuramente degna di questo nome.

L’autore

Fabio Bacà è nato nel 1972 a San Benedetto del Tronto, dove vive e lavora. Si è occupato di giornalismo per qualche anno prima di approdare all’insegnamento delle ginnastiche dolci. Ha scritto alcuni racconti brevi e un romanzo inedito. Nel 2019 Adelphi ha pubblicato il suo esordio Benevolenza cosmica.

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Ester Franzin

Lettrice incallita, amante della letteratura e della lingua italiana in tutte le sue declinazioni. Classe 1989, è nata in un paesino della Pianura Padana. Si è laureata in Storia dell’Arte a Venezia e poi si è trasferita a Rimini, nel cuore della Romagna. Ha frequentato la scuola Holden di Torino e pubblicato il suo primo romanzo «Il bagno di mezzanotte».

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