C’è una domanda che mi ossessiona. Se le vittorie che Dio ci ha concesso erano la prova che noi stavamo compiendo la sua opera, come dobbiamo interpretare quello che è accaduto da allora? Non guarda più con favore alla nostra causa, o siamo sempre stati nell’errore?
Pubblicato all’interno della collana Omnibus stranieri, Oblio e perdono è il nuovo romanzo di Robert Harris per Mondadori, con traduzione a cura di Annamaria Raffo. Robert Harris nasce come giornalista, ma dal 1992, anno di pubblicazione di Fatherland, si dedica esclusivamente alla narrativa. «Per me è stata una liberazione – commenta Harris – poter semplicemente inventare una storia». Oblio e perdono (titolo tradotto dall’originale Act of Oblivion) è il primo romanzo di Robert Harris ambientato quasi esclusivamente in America, Paese in cui da sempre è insita, secondo lo stesso autore, una «stranezza millenaria».
L’occhio del narratore si sposta dal Nuovo Mondo all’Inghilterra; il tempo è il 1661, ma la narrazione si sviluppa in più di dieci anni (l’ultima parte del romanzo, Uccisione, è ambientata nel 1674). Il soggetto è molto particolare: la più grande caccia all’uomo del XVII secolo. Si fa qui riferimento alla cattura e condanna degli uomini che sottoscrissero l’atto di condanna a morte di re Carlo I Stuart d’Inghilterra nel 1649, permettendo così l’instaurazione della repubblica di Oliver Cromwell. Il racconto di Harris non inizia però durante la repubblica, bensì nel 1661, quando l’esperimento repubblicano in Inghilterra si è definitivamente concluso, con la restaurazione della monarchia e il trono di Carlo II.
Il cacciatore di teste
È in questo contesto che Richard Nayler, funzionario del Consiglio privato del re, inizia la “caccia” dei regicidi, nascosti per sfuggire alla condanna a morte. Nayler non sembra avere problemi a scovare anche il più abile dei nascondigli, tranne che per due persone: il colonnello Edward Whalley, cugino di Oliver Cromwell, e suo genero William Goffe. I due sono riusciti a salpare per l’America sotto falso nome, e si nascondono di casa in casa dei villaggi puritani nelle colonie. Quando ormai persino il re si è stancato di cercare gli assassini del padre, solo Richard Nayler non vuole assolutamente arrendersi. La verità è che c’è qualcosa, un evento che lega, per sfortuna o scherzo del destino, la vita dei regicidi a quella di Nayler, un evento accaduto molti anni prima che ha portato via la felicità al funzionario del re, lasciando al suo posto una insaziabile sete di vendetta.
Non aveva né moglie né figli che potessero distrarlo. In quanto agli svaghi, non aveva tempo per quelli. […] Era una di quelle persone che si muovono anonime come ombre, nelle stanze private e nelle Camere di Consiglio di ogni nazione, in ogni tempo […] un’ombra utilissima, un’ombra che fa girare gli ingranaggi
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Storia e creazione
Richard Nayler è, inoltre, l’unico personaggio principale in Oblio e perdono completamente inventato da Robert Harris. A proposito della creazione di Nayler, Harris racconta:
Mi sono chiesto: dove lavora (Nayler, ndr)? Sicuramente ha un incarico governativo. Ecco, un responsabile di un comitato del Consiglio del re. E avrebbe avuto sicuramente la posizione grazie a un patrono. Così ho iniziato a costruire il personaggio. Il fatto che sia depresso, l’emicrania, sono tutte caratteristiche che nascono dalla figura solitaria di un uomo che crede nella monarchia ma non nei singoli individui […]. Il suo carattere è antitetico alla semplicità dei puritani che lo circondano.
C’è un altro personaggio che Robert Harris dice di aver amato nello scrivere, ossia Edward Whalley, il più vecchio dei due regicidi superstiti. «Mi piace scrivere di persone con dei dubbi. Non mi piacciono le persone che hanno solo certezze, sia politiche che religiose. Credo che creino moltissimi danni». Richard e Ned condividono una natura complessa, fatta di contraddizioni e dubbi. Nayler, osservando il lascivo Carlo II occuparsi di donne e piaceri, non può far altro che interrogarsi sulla validità della monarchia; dall’altra parte Whalley, negli anni di fuga riflette lungamente sul suo passato, iniziando a scrivere un diario.
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«Ned scrive perché vuole essere sincero. Proprio allora molti iniziano a scrivere». Il genere diaristico permette a Robert Harris di raccontare la prima e ultima guerra civile inglese attraverso gli occhi di uno dei fautori della rivoluzione. Eppure proprio il cugino di Cromwell, a logica il più fedele dei sostenitori della repubblica, viene sommerso dai dubbi: e non solo sulle sue decisioni, ma su quella stessa religione puritana che per anni ha costituito l’arma dei repubblicani. Per questo nelle ultime pagine Ned si domanda dove stia l’errore: nella causa o in Dio stesso?
Ciò che sembra accomunare i regicidi, Cromwell e lo stesso Carlo I, è la profonda convinzione di avere Dio dalla propria parte. Una convinzione che giustifica ai loro occhi qualsiasi azione e li rende coraggiosi perfino di fronte ad una morte atroce. Così anche per l’Inghilterra del XVII secolo Dio viene usato come una benda da mettere sugli occhi mentre si sbaglia, ciecamente certi di essere nel giusto.
«Potresti meravigliarti – come hanno fatto molti, me compreso – per le azioni di un esercito che era sceso in guerra in nome del parlamento e ora lo trattava più duramente di quanto avesse mai osato fare il Re. Ma sapevamo che Dio era con noi. Come avremmo potuto ottenere così tante vittorie, altrimenti? Eravamo certi di compiere la sua opera».
Un fedele quadro dell’America delle colonie e un’Inghilterra tra le fiamme
In Oblio e perdono (acquista) il racconto della caccia all’uomo intriga il lettore lasciandolo con il fiato sospeso fino alla fine, permettendo intanto ad Harris di inserire documentate descrizioni sulle colonie puritane e sulle comunità indigene (e il loro rapporto con i coloni), per quanto riguarda l’America; in Inghilterra, d’altro canto, il lettore può seguire, con tensione pari al filone narrativo della fuga dei regicidi, le tragiche vicende che si abbattono sui cittadini britannici: la peste, la carestia, e infine il grande incendio di Londra del 1666. «Orwell voleva fare della scrittura politica un’arte, ed io ho cercato di seguire il suo esempio.» afferma Robert Harris, che ritiene che nella Storia e nella politica del passato siano sempre presenti degli spunti per riflettere sulla contemporaneità. «Forse la narrativa è uno strumento per dare la possibilità alle idee di decollare.»
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