L’ombra bianca di Emily Dickinson

«Le ombre bianche» di Dominique Fortier

7 minuti di lettura

Le ombre bianche, di Dominique Fortier, racconta la storia di Emily Dickinson dopo la sua morte, con gli occhi di chi l’amava

Esserci nella morte

Dove si va, quando si muore? Cosa succede, quando si muore? Cosa resta, quando si muore?  Poesie, nel caso di Emily Dickinson. Frammenti scritti su pezzi di carta e lasciati in un cassetto, come fiocchi di neve, coriandoli, sogni che aspettando di essere realizzati, parole da sussurrare al mondo quando il corpo non ci sarà più. 

Se Dominique Fortier ne Le città di carta aveva raccontato la vita di Emily Dickinson, mescolando poesia e autobiografia, arrivando ad abbracciare anche il genere del romanzo e inserendo se stessa in quanto autrice sulle tracce di Emily, in Le ombre bianche continua la storia della poetessa di Amherst dopo la sua morte. Racconta ciò che resta di Dickinson quando il suo cuore si ferma e la sua anima fugge. Emily c’è, è lì nelle prime pagine, quando la sorella le spazzola cento volte i  capelli e le intreccia le violette intorno al collo, nello spazio limitato di una bara. Emily c’è, quando le persone che l’hanno amata le danno un ultimo saluto, c’è quando raccolgono i suoi versi per pubblicarli. E forse, Emily c’è anche oggi e ci parla dallo scaffale.

Nessun elogio potrà mai rendere giustizia a Emily, avrebbero dovuto farlo comporre ai merli o alle api, o scriverlo con l’inchiostro pallido delle nuvole, oppure lasciare nel giornale una pagina completamente bianca.

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Le ombre bianche

Bianco, come il vestito di Emily. Bianco, come lo spazio che aspetta di essere riempito dalle parole. Il bianco predomina nella vita della poetessa americana, i bagliori sono accecanti,  chi si avvicina al sole non può non rimanerne accecato.  Ma chi era davvero Emily Dickinson, la poeta delle api, la solitaria, il fucile carico, per citare la splendida biografia scritta da Lyndall Gordon? Nata nel 1830 ad Amherst nel Massachusetts, in una famiglia borghese come tante, la vita di Emily Dickinson comincia nel modo più normale possibile, è una fra le tante. Ma presto si capisce che lei non è come le altre mille: è un’eversiva. A scuola – un collegio religioso femminile – si rifiuterà di fare pubblica professione religiosa, in un periodo di revival cristiani. Non definirla sovversiva sarebbe peccato.

Temendo che l’istruzione potesse accendere ulteriormente l’animo ribelle della figlia, il padre di Emily Dickinson le farà interrompere gli studi  al primo anno delle superiori. Continuerà a regalarle dei libri, nella speranza che non li leggesse, come avrebbe  detto in seguito la stessa Dickinson. Eppure, Emily leggeva. Divorava le pagine. Shakespeare, Emily Bronte e Keats le fanno compagnia, le parlano nella sua solitudine.  A venticinque anni capisce di voler occupare le righe dei versi, si veste di bianco e si chiude in camera a scrivere, si avvolge in un bozzolo per diventare farfalla solo dopo la sua morte.  Per trent’anni, guarda lo scorrere delle stagioni dalla finestra della sua stanza. In fondo, ha tutto ciò che le serve. 

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Le voci delle donne

Ne Le ombre bianche (acquista), a parlare sono le donne che circondavano Emily Dickinson. Il lutto è un caleidoscopio, che ognuna vive e vede a modo suo. C’è Lavinia, la sorella, che prepara pasti troppo abbondanti e decide di fare un libro con le poesie della sorella. Lavinia sola in una casa troppo grande, che di sera si raggomitola vicino ai suoi gatti. C’è Susan, migliore amica e amore proibito di Emily, che legge e rilegge i versi cercando di decifrare un segreto tutto loro, cercando una vicinanza con quella che per lei era la persona più importante al mondo.

«Le poesie di Emily sono fulmini, folgorazioni con cui Susan si brucia le mani e gli occhi» scrive Fortier. Fanno male, come tutte le cose belle, finite, volatilizzate. Il dolore di Susan la paralizza, la sua voce è soffocata, il suo agire rallentato. Poi c’è Mabel, amante di Austin, il fratello. Mabel che non ha mai avuto confidenza con Emily, reclusa nella sua stanza, ma improvvisamente si trova a dover decifrare l’animo della poetessa, dal momento in cui le vengono messe tra le mani i suoi versi, con la richiesta di farne un libro. E improvvisamente è come se Emily le parlasse, dai suoi frammenti.

E, infine, Millicent, figlia di Mabel. Millicent che potrebbe essere una reincarnazione di Emily, così taciturna, solitaria, incline alla solitudine, ai libri e alle stelle. Millicent che legherà con Susan proprio – forse – perché anche la donna ha rivisto in lei una piccola Emily. «Quella curiosa bambina dagli occhi profondi, ogni giorno più oscuri», così la poeta aveva descritto la bimba in una lettera alla madre, l’unica volta che l’aveva incontrata. Millicent sembra avere una spiccata capacità di decifrare anche i versi e le parole meno comprensibili, annotati da Dickinson su foglietti sparsi, quasi come se le due non avessero modi molto diversi di pensare. «La signorina Emily» sarà la prima persona che Millicent elencherà sotto la voce «Le mie migliori amiche», a prova di un legame che può vincere il tempo, la vita e la morte.

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Maria Ducoli

22 anni, studio linguistica a Venezia, leggo, scrivo e cerco di sopravvivere alla giornata.

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