Raccontare la quotidianità sembra ormai diventata una cosa difficile. Ogni volta che si prova a scrivere qualcosa a riguardo, ci si aspetta sempre il meglio. Non mancano i confronti con chi questa quotidianità ha provato a raccontarla, almeno nella narrativa statunitense, come Raymond Carver piuttosto che Andre Dubus o Denis Johnson.
C’è chi, però, ci ha provato lo stesso, partendo dai modelli già citati e portandoli fino al paradosso, con un occhio sul mondo del lavoro contemporaneo e del capitalismo americano. L’autore in questione è Daniel Orozco, che nel 2011 ha pubblicato il suo one-book-wonder Orientamento, proposto nel 2021 dai tipi di Racconti Edizioni.
I racconti di «Orientamento»
Un impiegato al suo primo giorno di lavoro fra colleghi che prevedono la morte e nascondono un passato da serial killer; imbianchini che lavorano su un ponte da dove la gente si suicida; storie di solitudini colmate con il cibo, di pattugliamenti quotidiani della polizia, di esperienze con le agenzie interinali e di presidenti in esilio. Questi sono alcuni tra i protagonisti dei nove racconti di Daniel Orozco. L’autore narra storie di personaggi alle prese con lo smarrimento della vita quotidiana e con tutto ciò che è imprevisto.
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Che sia un nuovo lavoro, un lutto, un esilio oppure una rapina, i protagonisti di Orientamento devono cercare di scendere a patti con ciò che destabilizza le loro vite. Loro, dunque, arriveranno ad accettare l’idea che tutto ciò che disorienta paradossalmente ci permette di orientarci nella quotidianità.
«Orientamento»: parlare della vita parlando del lavoro
Ciò che colpisce dei racconti di Orientamento è come Orozco riesca a raccontare la quotidianità e tutti i suoi imprevisti attraverso il mondo del lavoro. Esso è una realtà spesso costernata dalla precarietà, dalla paura di non piacere agli altri, ma anche dalla rabbia inespressa verso le ingiustizie subite. A questo proposto, in una sua recente intervista per «The Masters Review» l’autore ha affermato quanto segue riguardo alla scelta di focalizzarsi sul mondo del lavoro.
Sono giunto a credere che per un dramma intenso non c’è scenario più grande del posto di lavoro, che il tuo mestiere sia l’impacchettatore al negozio di alimentari, un impiegato amministrativo o un pilota collaudatore. Ognuno ha un lavoro, e per la maggior parte delle persone il posto di lavoro è un ambiente altamente disciplinato – non puoi indossare quello che vuoi, non puoi mangiare quando vuoi, e non puoi evitare la persona che più di tutte ti fa innervosire (perché ci lavori, oppure perché è il tuo capo).
Per un quarto della tua vita adulta, devi stare lì, che ti piaccia o no. Chi-sei e Chi-devi-essere-a-lavoro non sono sempre armoniosamente allineati, e la tensione fra le due identità può rivelare chi sei veramente. È “la grazia sotto pressione” di Hemingway, ma invece di puntare il mirino su un leone alla carica o di tendere un agguato a un gruppo di fascisti su una strada di montagna, ti stai confrontando ancora con la stampante rotta, o stai tornando di soppiatto in ritardo dal pranzo. È decisamente la stessa cosa.
Traduzione a cura dell’autore dell’articolo
Per Orozco, dunque, il mondo del lavoro si dimostra un teatro altamente espressivo dei piccoli drammi quotidiani dei protagonisti. In tutto questo sembra riecheggiare Bartleby lo scrivano di Hermann Melville e il Kafka de Il castello con protagonista l’agrimensore Josef K. Come per Bartleby e Josef K., anche per i personaggi di Orozco il mondo del lavoro è specchio della propria esistenza. Si tratta di persone che devono rinunciare ai propri desideri e che si fanno trascinare dal corso degli eventi, accettandone così la loro imprevedibilità.
Orientarsi a lavoro
E qui entra in gioco la “grazia sotto pressione” di hemingwayana memoria a cui l’autore fa riferimento nella già citata intervista. Il protagonista del primo racconto, quello omonimo alla raccolta, dovrà rassegnarsi ad accettare di lavorare con colleghi strambi e capi di reparto onnipresenti seguendo il consiglio di «godersi il panorama mentre fa le fotocopie». I poliziotti del racconto L’agente è scontento, invece, non possono far altro che andare incontro alle loro mansioni respirando profondamente e, nei momenti di tregua fra un crimine e l’altro da sventare, «esaminare la scena» e «accertare la bellezza del mondo».
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La grazia, dunque, non è altro che l’accettazione rassegnata della precarietà e della solitudine a cui i personaggi sono condannati. In questo sono esemplari, per esempio, l’imbianchino Bimbo di Un ponte, che arriva a rassegnarsi di fronte all’idea di non poter prevenire i suicidi dal ponte, ma anche Clarissa Snow di Racconti interinali, forse il personaggio più drammatico dei racconti di Orozco, poiché impotente di fronte alle richieste degli altri e incapace di cambiare le cose e prendere in mano il suo destino:
“Ma come fai?” la supplicava Clarissa Snow. “Come fai a parlarci? Nessuno può aiutare queste persone”.
“Ma non hanno nessun altro a cui rivolgersi” le rispose l’altra centralinista. E poi, con più fermezza: “Non siamo altro che… l’ultima spiaggia. Sono queste… le Risorse Umane”. Clarissa Snow annuiva svogliatamente. Risorse Umane, scrisse nei suoi appunti. E poco sotto: Ultima Spiaggia.
Una solitudine universale e incondivisibile
Le sensazioni di Clarissa sono universali, estendibili anche all’infuori del mondo del lavoro. Tutti i personaggi di Orientamento non solo sono rassegnati e impotenti di fronte alla propria solitudine e alle storture della quotidianità, ma sono impossibilitati a condividere il proprio dolore, anche e soprattutto per un certo timore nel rivelarsi agli altri. Il magazziniere protagonista di Vado a correre ogni giorno, per esempio, rifiuta una relazione duratura con la collega April per il fatto che «Chi era lei per potermi dire che ci assomigliavamo? Non ha niente di me» e nella solitudine della corsa mattutina trova l’unico modo per sentirsi bene.
La solitudine si fa più alienante anche quando si tratta di piccole cose quotidiane come il cibo. Nei quattro capitoli di Storie di fame, infatti, il rapporto dei personaggi con il cibo estremizza la loro solitudine. La protagonista del primo capitolo, che era solita rifugiarsi nell’anonimato di un supermercato, è costretta a fuggire dallo stesso quando un giorno trova nella corsia dei biscotti una donna uguale a lei, cosa che la spaventa perché la mette di fronte alla propria solitudine.
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La coppia dell’appuntamento al buio del terzo capitolo, invece, vede il momento della cena come transitorio, poiché sanno già che è «entrata nei loro ricordi condivisi, come se si fosse trasformata in una storia da raccontare agli amici», e dunque vi è il presagio di una solitudine che non si può colmare nemmeno condividendo un momento quotidiano come la cena. Il padre e il figlio del quarto capitolo, infine, elaborano la perdita della propria moglie/madre mangiando tutto quello che il becchino gli ha regalato per il Giorno del Ringraziamento, e trovano in tutto questo «il loro conforto contro l’oscura adunanza di un nuovo e alieno imbrunire».
Essere vivi nonostante tutto
L’atteggiamento di tutti i personaggi è sì di smarrimento e sconforto, ma allo stesso tempo è proprio questo disorientamento che li porta a confrontarsi meglio con la propria vita, specie nel momento in cui realizzano che gli imprevisti della vita sono passeggeri, e che tutto è soggetto al cambiamento. L’assistente legale Hailey di Semplici legami riesce a dimenticarsi dell’omicidio di cui ha letto sul giornale e dell’uomo che ha incontrato per strada e che le ha restituito la vaschetta del gelato che le era caduta in quanto «tutto sfuma. Tutto si perde» e anche perché «era viva».
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I personaggi di Scosse, invece, accolgono il terremoto come parte integrante della propria esistenza, senza cercare di sfuggire a esso, ma accogliendolo così come si accetta lo smarrimento della quotidianità:
Ti aggrappi alla tua grossa e pesante poltrona di pelle color cioccolato – il regalo che ti sei fatto per essere finalmente riuscito a trasferirti. Ti aggrappi e pensi: o finirà di tremare, o continuerà. La vita va vissuta un istante dopo l’altro.
«Orientamento»: aggrapparsi al disorientamento
Daniel Orozco in Orientamento (acquista) porta la solitudine dei personaggi carveriani a un nuovo livello, coniugando il paradosso esistenziale di Kafka e del Bartleby di Melville con l’idea hemingwayana di “grazia sotto pressione”. Nonostante l’incapacità a confrontarsi con le difficoltà, gli imprevisti e i turbamenti, i protagonisti dei racconti di Orozco trovano la propria forza nello smarrimento, nella consapevolezza che la vita si rinnova attimo dopo attimo, che tutto passa, e anche nella solitudine e nell’incomunicabilità si riesce tuttavia ad aggrapparsi a essa.
Nel polveroso bagliore lunare del deserto del Mojave i suoi occhi incrociano quelli del serpente a sonagli. Sente gli uccelli che si chiamano l’un l’altro – il loro canto! – nel mezzo del nulla cosmico. Alza lo sguardo dentro un cielo notturno che è come perdersi in un abisso ribollente di stelle, i rubinetti celesti lasciati aperti e inceppati, e non è più in grado di ricordarsi nulla della vita vissuta finora. E allora si metterà a tremare, non per il freddo né per la paura né per alcun sommovimento della terra, ma per una qualche vaga ed elementale convinzione sull’interezza o sull’armonia o sull’immortalità. Tremerà, risoluto nel credere all’esaltazione di quel momento, eppure attento a non disturbare il serpente letale sul suo cuore. Quant’è fico tutto questo!, penserà. Quanto vorrei che fossi qui!
Daniel Orozco, da Scosse
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