Ospite triste di una città malinconica

«L'ospite triste» di Matthias Nawrat

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«L'ospite triste» di Matthias Nawrat

Capita di passeggiare per le strade di Berlino e di perdersi, di pensare che ogni strada è uguale a quella precedentemente percorsa. Sarà per questo che la cima dell’Alexanderplatz diventa il faro di molti, una guida che sorveglia paziente Berlino. Capita di vagare per la città e incontrare solo persone tristi; o succede che sei tu, l’ospite triste.

L’ospite triste di Matthias Nawrat (L’Orma Editore, 2023) è un romanzo corale, un’indagine sull’interiorità del singolo e la complessità di una città frutto del rapporto fra l’Est e l’Ovest dell’Europa.

Fui felice quando il treno entrò a Berlino attraverso le case a ridosso dei binari tanto che potevi guardare dentro i salotti, nelle cucine e sui balconi, e tra un edificio e l’altro baluginava il labirinto di strade dei quartieri.

«L’ospite triste», la trama

In prima persona l’autore racconta una Berlino frutto della contaminazione della Storia. Per caso, il protagonista trova un biglietto da visita in una pila sul bancone di un ristorante: «Dorota Kamszer. Architetta. Chiamala!», legge. Ed è proprio quello che fa e, da quel momento in poi, va a trovare Dorota nel suo appartamento di Schöneberge. La donna, un’architetta solitaria, non ha mai lasciato il quartiere in cui ha abitato la prima volta che è arrivata a Berlino. La ascolta raccontare della città in cui si è sentita finalmente libera: della sua vita a Berlino e della storia della sua famiglia, che si estende fino a Opole, in Polonia, lo stesso luogo in cui è nato il protagonista. Sempre accompagnati da una fetta di torta fatta in casa.

Ma Dorota non è l’unica “ospite triste”. C’è Dariusz, una volta chirurgo a Lublino e ora benzinaio nella capitale tedesca; o il rumeno Eli, un attore eccentrico. Gente che si lascia attirare dalla città frammentata, come l’anima di questi e tanti altri, nati altrove ma destinati a mescolarsi all’anima di Berlino. Per quale motivo? Cosa li attira di quella città?

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Matthias Nawarat cerca di riscrivere una malinconica geografia di Berlino per scoprire l’identità, sempre inedita, di una realtà frutto dei capovolgimenti universali e personali, fallendo nella sua missione. Il suo infruttuoso viaggio diventa il nostro. In attesa del treno, ai binari della stazione di Bornholmer Strasse, il lettore avrà l’impressione di “esserci”, di vedere in lontananza l’Alexanderplatz. Sentirà un richiamo verso il cuore della città, un’attrazione che non riuscirà a spiegarsi, ma che esiste. E sarà un profondo viaggio nella propria esistenza, nella città che non ha mai dimenticato il passato e che, al contrario, celebra la rinascita. Forse è per questo che continua ad accogliere tanti ospiti tristi ormai arenati sulla riva dello Sprea.

«Forse è perché questa città è così piatta, è fatta solo di cielo» proposi, dato che non sapevo cos’altro dire. «Mancano i punti di riferimento, una montagna o qualcosa del genere. In tutte le direzioni c’è solo cielo a perdita d’occhio.»

Mostrare i propri “confini”

Insignito nel 2020 del premio dell’Unione Europea per la letteraturaL’ospite triste (acquista) è il quarto romanzo dell’autore, il secondo pubblicato in Italia. Autore bilingue, Matthias Nawrat scrive i romanzi in tedesco e riserva il polacco alla poesia.

Con una scrittura lieve e precisa, racconta la sua Berlino malinconica, un nido di voci nostalgiche che nel raccontare il modo in cui la capitale tedesca è diventata la loro casa mostrano i propri “confini”, i segni di un passato che la città berlinese non cancella. Un po’ come quel Muro di cui ancora restano i segni. Persone che imparano a vivere il presente che, nonostante e considerati i ricordi del passato, non ha più nulla di temibile. Consigliato a chi non ha paura di guardare il baratro consapevole di provare vertigine, dedicato a chi in Berlino ripone le speranze di un senso di familiarità, a chi nell’incantevole odore della U-Bahn non cerca mai una redenzione ma una scusa per continuare a camminare.

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Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

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