L’enigma Western

«Il passeggero» di Cormac McCarthy

14 minuti di lettura
«Il passeggero» di Cormac McCarthy

«Non c’è nessun Dio e noi siamo i suoi profeti». Così scriveva Cormac McCarthy in La strada (2007), romanzo di ambientazione post-apocalittica con cui vinse il Premio Pulitzer nel 2007. Questa frase, pronunciata dal padre protagonista del romanzo, è da intendersi in senso nietzschiano: siamo noi i soli artefici della realtà che viviamo. Noi siamo coloro che creano il mondo e i suoi valori a partire dal linguaggio, dal nostro inconscio, dai segni che lasciamo sulla terra e, parafrasando Epicuro, quando non ci saremo più ci sarà la morte: non ci sarà nessun mondo e nessun dio.

Sedici anni dopo La strada, McCarthy, recentemente scomparso all’età di ottantanove anni, è tornato in libreria con Il passeggero, edito da noi presso Einaudi, un libro che è parte assieme a Stella Maris (in uscita a settembre sempre per la casa editrice di via Biancamano) di una diade la cui pubblicazione è considerata l’evento letterario dell’anno e che cerca di indagare il rapporto fra inconscio, linguaggio e realtà attraverso una prosa ancora più rarefatta, metafisica e simbolica.

Leggi anche:
Addio a Cormac McCarthy, lo scrittore dell’America oscura

La trama di «Il passeggero»

Il passeggero narra la storia di Bobby Western, un sommozzatore originario di Knoxville, nel Tennessee. Durante una missione di recupero nei pressi del Golfo del Messico, il protagonista trova sul fondale un JetStar intatto, senza scatola nera e senza uno dei dieci passeggeri contrassegnati sulla lista. Da qui parte una storia dai toni thriller: il mistero attorno al recupero del JetStar si infittisce, con Western che viene inseguito da «due tizi in giacca e cravatta con un’aria da missionari mormoni» che credono abbia a che fare con la scomparsa di alcuni documenti importanti legati all’aereo.

Western, allora, è costretto a fuggire, ma fuggendo s’inabissa sempre più nell’oscurità del suo animo e del suo inconscio. Il protagonista è costretto a scavare nei suoi ricordi, in particolare quelli legati alla sorella Alicia, morta suicida dieci anni prima, grande mente matematica e persona verso cui l’uomo nutriva un profondo amore. La storia di Alicia, personaggio che sarà centrale in Stella Maris, si intreccia a quella di Bobby, e assieme a lei appare un personaggio enigmatico: il Talidomide Kid, colui che forse ha la risposta all’enigma dei fratelli Western, oppure colui che complicherà ancora di più le cose.

«Il passeggero»: il legame con la produzione di McCarthy

Leggendo la trama, si può capire quanto complesso e metafisico sia questo nuovo libro di McCarthy. Il passeggero, infatti, è forse il romanzo più enigmatico e difficile che l’autore americano abbia mai scritto. Del vecchio McCarthy, in particolare quello di Non è un paese per vecchi, Figlio di dio e Meridiano di sangue, resta, ad esempio, il leitmotiv della fuga, del nichilismo inteso come rinuncia all’idea dell’esistenza di Dio, ma allo stesso tempo la ricerca di un senso, spesso collegata a una discesa nel male e in quello stesso nichilismo a cui i personaggi mccarthyani sono condannati.

Questo nuovo romanzo, però, muove i passi da La strada, il cui finale aperto lasciava presagire un’alternativa al nichilismo, con il figlio che, dopo aver incontrato una nuova famiglia di umani, avrebbe dovuto ricostruire un nuovo mondo. Muove i passi da quest’ultimo perché è qui che McCarthy si fa più metafisico ed esistenzialista, corroso dall’ossessione verso un nuovo modo per ricostituire una realtà alla deriva e preservare quel poco di umano che resta.

L’influsso degli studi al Santa Fe Institute: The Kekulé Problem

In questa sua ricerca metafisica, utile è stato anche il periodo che McCarthy ha trascorso dal 2014 fino a quest’anno al Santa Fe Institute, un istituto che studia i sistemi complessi adattivi, un aggregato di agenti e connessioni che si auto-organizzano per garantirsi l’adattamento, intrecciando più discipline come la matematica, la fisica, la scienza e la letteratura.

Leggi anche:
Lezioni di vita, di Storia, di umanità

Da questa esperienza è nato il saggio The Kekulé Problem, prima opera di non-fiction di McCarthy in cui l’autore, partendo dal sogno dello scienziato August Kekulé von Stradonitz del serpente che si morde la coda che gli ha dato l’idea della forma della molecole di benzene, fa una netta distinzione fra inconscio e linguaggio. Secondo McCarthy, il primo, che si esprime attraverso immagini e metafore, è «una macchina che fa agire gli animali», impossibile da controllare. Il secondo, invece, altro non è che una creazione culturale degli uomini che si evolve con l’evolversi della società e che deve cercare di dare forma all’enorme pozzo di possibilità del nostro inconscio:

Quando ti fermi a riflettere e dici: “Vediamo. Come posso formulare questo”, il tuo scopo è di riesumare un’idea da questo aggregato di non-sappiamo-cosa e dargli una forma linguistica tale da poterla esprimere. È il questo che uno desidera formulare che è rappresentativo di questo aggregato di conoscenza la cui forma è così amorfa.

Cormac McCarthy, The Keluké Problem (2017), traduzione a cura dell’autore dell’articolo

Questo saggio sembra, quindi, dare una risposta al nichilismo imperante nella produzione mccarthyana, ma anche all’enunciato della Strada sull’esistenza di nessun Dio. Western vuole fuggire alla morte, e per farlo ha bisogno di dare forma ai suoi sogni, ai suoi ricordi, che gli permettono di sopravvivere e di salvare dall’annullamento l’immagine e l’amore per la sorella Alicia.

Un’altra verità fra abissi e peccati

Il coinvolgimento di Bobby Western nella missione di recupero del JetStar prima e nelle (presunte) indagini federali dei due individui vestiti da mormoni poi lo catapultano in «un’oscurità che è del tutto incapace di afferrare». Questa oscurità è quella del senso di colpa nel suicidio di Alicia, ma anche nella scomparsa, nella casa di Knoxville, di documenti e oggetti di famiglia legati in particolare al padre, uno scienziato impegnato nella costruzione di bombe capaci di spazzare via intere città.

Per Western, tutto ciò che ha perso – e perderà – sono strumenti per permettergli di afferrare il mondo, per cercare di non farlo andare via. L’uomo prova in tutti i modi ad «aggrapparsi al relitto», ma ogni cosa gli sfugge di mano. Persino delle scienze esatte come la matematica e la fisica gli impediscono di avere pieno controllo della realtà: «La fisica», afferma Western, «cerca di fornire una rappresentazione numerica del mondo. In effetti non so se spieghi tutto. Non si può illustrare l’ignoto. Qualunque cosa esso significhi».

Leggi anche:
Il vero scopo della scrittura

Emblematico in queste riflessioni è il personaggio di Kid, o meglio, Talidomide Kid, che accomuna i fratelli Western. Il Talidomide Kid in realtà era un farmaco molto in uso negli anni Cinquanta come sedativo e ipnotico, poi sospeso per i danni cerebrali che causava nei pazienti. Qui il Kid diventa un’entità simile a Frank, il coniglio profeta di Donnie Darko, in quanto svela un’importante verità a Bobby relativa al suicidio della sorella: «sapeva che alla fine», afferma il Kid, «è impossibile sapere. Impossibile afferrare il mondo. Puoi solo descriverlo. Che si tratti di un toro sulla parete di una grotta o di un’equazione differenziale non cambia niente».

La realtà del mondo: la vita oltre alla vita

Le riflessioni del Kid ci riportano a quanto teorizzato da McCarthy nel suo saggio The Kekulé Problem: è impossibile avere piena conoscenza della realtà circostante, ma il linguaggio, combinato ad altri elementi e discipline permette di dare forma a ciò che ci viene presentato come amorfo. Nel caso di McCarthy e di Bobby Western, ciò che è amorfo è la vita dopo la vita, cosa molto complessa per uno come Western che è sempre stato diffidente nei confronti dell’idea di Dio. La chiave di tutto ciò sta nel dialogo che Western intrattiene con John Sheddan:

È solo che il tempo che passa implica irrevocabilmente che passiamo noi. E dopo niente. Presumo dovrebbe essere di consolazione capire che non si può essere morti in eterno se non esiste un eterno in cui esserlo. Be’. La vedo la tua faccia. So che mi trovi intrappolato in un pantano cognitivo e sono sicuro che considereresti la convinzione che il mondo finisca quando finiamo noi il solipsismo supremo. Ma non saprei vederla diversamente.

Quello che capisce Bobby, anche grazie al Kid, e che capiamo noi lettori leggendo le parti dedicate ad Alicia, è che la realtà è un misto di vita e sogno che per esistere ha bisogno di essere plasmata da noi stessi. Per plasmarla, però, non basta la sola razionalità matematica e fisica, ma ha bisogno anche della metafisica, e soprattutto della scrittura, qualcosa che fissa dei limiti, che ti dà comunque l’idea di uno scetticismo di fondo atto sempre a indagare e riformulare quanto vissuto.

Ciò che è perduto continua a vivere perché persone come Bobby hanno creato un eterno in cui vivere, in cui ciò che è stato si compenetra in ciò che esiste nel qui ed ora. Bobby ha bisogno disperatamente di tenere in vita i ricordi di Alicia perché così prepara una vita dopo la morte, un mondo parallelo in cui è possibile ritrovare quanto si è perso ed è possibile rimediare alle proprie colpe.

«Il passeggero»: primo atto del mistero della realtà

Ora come ora, è difficile formulare un giudizio su Il passeggero (acquista). Sarebbe meglio, infatti, aspettare di leggere Stella Maris per tirare le somme su quella che è l’ultima fatica letteraria di Cormac McCarthy. Quello che è certo è che l’autore statunitense si è superato ancora una volta creando un’opera in grado di fondere letteratura, metafisica e matematica, inconscio e linguaggio, capace di inabissarsi nel mistero più grande di tutti: quello dell’esistenza di una vita dopo la vita. Se questa ricerca sarà riuscita o meno, non ci resta che aspettare settembre per leggere Stella Maris.

Se non siamo alla ricerca dell’essenza, ‘sere, allora cosa cerchiamo? E ti do atto che non possiamo scoprire una cosa simile senza apporvi il nostro sigillo. Ti concedo perfino di aver pescato le carte peggiori. Però ascoltami, messere. Se la sostanza di una cosa resta da dimostrare, difficilmente la forma ha più autorevolezza. Ogni realtà è perdita e ogni perdita è definitiva. Altre non ce n’è. E la realtà che indaghiamo deve prima di tutto contenerci. E cosa siamo noi? Dieci percento biologia e novanta per cento mormorio notturno.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

1 Comment

  1. Ho appena finito di leggere Il passeggero e sono alla ricerca di recensioni. Mi è piaciuta molto la sua: chiara e precisa. Mi ha aiutato a organizzare le “intuizioni” provenienti dalla mia lettura del libro. Non vedo l’ora di leggere anche Stella Maris. Grazie

Lascia un commento

Your email address will not be published.