Perché leggere Clarice Lispector

Un flusso di coscienza verso l'essenza indicibile delle cose

9 minuti di lettura

Quasi impenetrabili ma decisamente incantevoli e profonde, le opere di Clarice Lispector rimangono a pieno titolo nel novero di quelle da leggere senza ombra di dubbio.  

L’autrice nasce in Ucraina nel 1925, ma a causa della guerra deve ben presto trasferirsi con la famiglia in America Latina. Lo sradicamento è un sentimento che prende spesso forma nelle sue parole, nonostante la famiglia decida di non recidere i ponti con il passato; tanto che lei e sua sorella Tanya studiano ebraico e yiddish.

Clarice Lispector e l’istinto indomabile

Clarice a soli 19 anni esordisce con Vicino al cuore selvaggio (1944, pubblicato in Italia da Adelphi con traduzione di Rita Desti) (acquista), accolto subito dalla critica con entusiasmo. Una critica che definisce il «romanzo nello spirito di Joyce e di Virginia Woolf» (Alvaro Lins), anche se l’autrice ammetterà di aver letto i dei due autori solo dopo la pubblicazione del libro.

La protagonista del romanzo è Joana, in cui possiamo forse cogliere un ritratto frammentario della scrittrice. Palinsesto indissolubile sono le sensazioni e le percezioni ancorate al presente di una donna che inizia a fiorire, a sentire, a entrare in contatto con la sua persona. In questo vediamo già lo scheletro della futura Clarice, l’incubatore di un sentire che si fa via via più profondo, vediamo le sue fondamenta che diventano pilastri.

La sua felicità aumentò, le si raccolse in gola come una sacca d’aria. Ma adesso era un’allegria seria, senza voglia di ridere. Era un’allegria quasi da piangere, mio Dio. Pian piano era arrivato il pensiero. Senza paura, non grigio e piagnucoloso come era arrivato fino ad allora, ma nudo e taciturno sotto il sole come la spiaggia bianca.

Una scrittura di specchi

L’assenza di una trama comunemente intesa e la complessità dei pensieri della protagonista riportati attraverso una sorta di stream of consciousness la rendono un’opera ambiziosa e, infine, decisamente riuscita. Indagatrice più che mai degli spazi aperti offerti dalla scrittura, Clarice percorre rapida l’ascesa verso la sua conferma a voce autorevole della letteratura contemporanea.

Acclamata dalla critica, viene definita – appena ventenne – tra le protagoniste della nuova letteratura brasiliana.

Lungi dal considerarsi una femminista, Clarice scandaglia l’animo femminile e lo fa con una tale delicatezza che non è mai del tutto imperscrutabile, ma nitida e potente attraverso una penna visionaria. e una prosa metaforica che seduce anche il lettore più inesperto.

Otávio la trasformava in qualcosa che non era lei ma lui stesso e che Juana accettava per pietà di entrambi, perché tutti e due erano incapaci di liberarsi attraverso l’amore, perché accettava sottomessa la sua stessa paura di soffrire, la sua incapacità di spingersi oltre la frontiera della rivolta.

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Gli anni in Europa

A cavallo con gli anni Cinquanta, Clarice Lispector viene naturalizzata brasiliana e sposa il diplomatico Maury Gurgel Valente, con il quale si trasferisce in Europa. È in questi anni che vive a Napoli e conosce Ungaretti, e anche De Chirico (che ci offre un suo splendido ritratto).

Figli di questo periodo saranno altre sue opere – tra cui ricordiamo Legami familiari (1960) e La passione di G H (1964) – e diverse raccolte di racconti.

Acqua viva di Clarice Lispector

Nel 1973 Clarice pubblica Acqua Viva (pubblicato in Italia da Adelphi con la traduzione di Roberto Francavilla) (acquista), da molti considerato l’apice della sua carriera letteraria. In un flusso di coscienza ancor più radicato, che non è solo espediente quanto essenza di una voce che irrompe con una straordinaria contezza sulle cose che circondano l’uomo, ancora una volta Clarice si concentra sul sentire del corpo. Oltre a questo, il dialogo con la natura – appendice del divino ­– si fa costante e smisurato, tra la narratrice, una pittrice, che parla a un suo ex-amante a cui si riferisce sempre e soltanto con “tu”.

Clarice trasforma la realtà in un’esperienza soggettiva, dove il senso fenomenologico dell’universo viene ristretto e dilatato costantemente.

La forza prorompente della parola e dell’attimo

Acqua viva è un romanzo intenso e consistente: Clarice si concentra sia sul linguaggio che sulla promiscuità dell’attimo, del tempo che fugge. La parola diventa dunque strumento per afferrare l’inafferrabile: il tempo che passa, e che fugge. «L’istante adesso» è enumerato spesso come assunto centrale, sia nelle opere che nella vita di Clarice, un istante che si arrende sempre alla mutevolezza finché «neppure lui è più». L’autrice ambisce a voler possedere l’essenza delle cose attraverso la loro osservazione e riproposizione sulla carta. Ecco dunque che la soggettività diventa il filtro della verità unica e immortale.

Ascolto il rimbombo vuoto del tempo. È il mondo che sordamente si sta formando. Se io sento è perché esisto prima della formazione del tempo. «Io sono» è il mondo.

Nel 1977 Clarice sta ancora lavorando a Un soffio di vita (acquista), quando si spegne a causa del cancro. Negli anni successivi la sua assistente Olga Borelli, annotando i suoi pensieri e battendo a macchina i suoi manoscritti, raccoglie i frammenti dell’opera che viene pubblicata postuma.

Il testamento di Clarice Lispector

Nel 2019  Adelphi pubblica Un soffio di vita (tradotto sempre da Roberto Francavilla), opera uscita postuma, una sorta di testamento letterario.

Al centro v’è, come in tutte le opere di Clarice, il dialogo continuo e incessante con le figure femminili; ma qui è l’Autore che dialoga con Angela. Anche in questo caso la trama è inconsistente, ma il pulsare dei pensieri si percepisce nell’interrogazione del ruolo della scrittura, anche della stessa stesura del romanzo.

Come era stato per Acqua viva, anche qui l’autrice si interroga sulla forza imperscrutabile della parola.

Mi esprimo meglio con il silenzio. Esprimermi con le parole è una sfida. Ma non sono all’altezza della sfida. Fuoriescono misere parole. E qual è davvero la parola segreta? Non la so, e perché osare dirla? Se non la so è soltanto perché non osa dirla?

E qui sembra ben chiaro l’intento di chiudere il cerchio: l’autrice si interroga su cardini come le parole, il tempo, il mondo, la storia, la preghiera, gli esseri viventi e non, la grazia. Un «movimento puro», come annunciato dall’autrice stessa in apertura. Anche qui, la coerenza della trama lascia spazio alla ricerca dell’indicibile, fino al punto cruciale: quello del confronto con la morte. Quando l’autrice infatti compone gli ultimi frammenti, le è già stata diagnosticata la malattia che la porterà via.

Fonte: wikipedia

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Ester Franzin

Lettrice incallita, amante della letteratura e della lingua italiana in tutte le sue declinazioni. Classe 1989, è nata in un paesino della Pianura Padana. Si è laureata in Storia dell’Arte a Venezia e poi si è trasferita a Rimini, nel cuore della Romagna. Ha frequentato la scuola Holden di Torino e pubblicato il suo primo romanzo «Il bagno di mezzanotte».

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