Il diritto di essere cattivi

«Il pescecane» di Andrea Quattrocchi

12 minuti di lettura
Il pescecane

Con l’avvento dei social network, non solo è aumentato il nostro voyeurismo o, per dirla in maniera più schietta, la nostra voglia di farci gli affari degli altri, ma anche il narcisismo. Sfruttando l’esposizione mediatica che permettono i social network, molte persone mettono in mostra la propria vita intima e personale, spesso manipolandola, per ottenere il consenso degli altri.

Ma cosa succede quando ad avere in mano questa possibilità è un uomo come tanti che di punto in bianco decide di confessare un crimine? Ce lo racconta Andrea Quattrocchi nel suo romanzo d’esordio Il pescecane, segnalato dal Comitato di lettura del Premio Calvino nel 2021 e pubblicato nella collana Labirinti di Agenzia Alcatraz.

La trama di «Il pescecane»

Il protagonista di Il pescecane è Debellis, un uomo di origine siciliane residente a Milano. Debellis – di cui fino alla fine non sapremo mai il nome – lavora nel settore bancario, è sposato con Silvia, ed è un punto di riferimento per la parrocchia del suo quartiere. Come tutti, anche lui ha dei genitori ormai anziani a cui deve badare come può, in particolare il padre Antonio, affetto da demenza senile, sebbene la lontananza dalla Sicilia non renda le cose facili.

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Fin qui tutto normale, se solo non fosse che all’inizio del romanzo Debellis decide di aprire il suo computer e avviare una diretta Facebook per la quale ha quattro ore di tempo in cui confessare un segreto mantenuto per trent’anni: il suo coinvolgimento nel «fatto dei fatti a Pietrarossa», luogo immaginario della Sicilia da cui il nostro protagonista proviene, durante la vigilia di Ferragosto del 1987. Dall’inizio della diretta Facebook fino alla fine, sia gli spettatori della diretta che noi lettori cerchiamo di rispondere al seguente dilemma: Debellis è veramente un criminale oppure un mitomane in cerca di considerazione?

«Il pescecane»: quando Thomas Bernhard incontra Facebook

Leggendo Il pescecane, la prima cosa che viene in mente a livello stilistico è Thomas Bernhard. Debellis, infatti, sembra uscito dalla penna dell’autore austriaco, in quanto il suo è un lungo flusso di coscienza senza fine che, partendo dall’idea di essere riconosciuto come mente geniale del «fatto dei fatti», si perde nelle invettive più deliranti. I filippini, gli americani e il loro immaginario cinematografico, passando per le invettive contro i suoi familiari, suo cugino Nico e Pietrarossa sono oggetto delle critiche deliranti di Debellis.

Oltre al flusso di coscienza, un’altra cosa interessante è il modo in cui Quattrocchi gestisce il tempo narrato. Gli avvenimenti raccontati, infatti, alternano il passato al presente in un flusso continuo senza sosta, in cui da un lato Debellis vuole stabilire la sua presenza come cattivo della situazione con frasi come «torno al punto», «io sono il protagonista» oppure «la storia sono io», ma dall’altro sposta sempre l’attenzione su altro, come a dimostrare che, in fondo, il protagonista sia ancora restio a fare una confessione del genere, che forse non è nemmeno veritiera.

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A riprova di ciò vi è l’alternanza di tempi verbali dal presente al passato, che con una narrazione in prima persona ci fa capire non solo l’immediatezza del racconto, ma anche la costruzione sul momento della narrazione, con Debellis che attraverso i social network, luogo in cui ogni cosa può essere decontestualizzata e risignificata, cerca di ricreare il proprio passato commentando le vicende narrate.

Debellis: criminale o mitomane?

Proprio perché la confessione avviene sui social, la veridicità del racconto di Debellis resta in dubbio fino alla fine. Già all’inizio del racconto, infatti, il protagonista si tradisce affermando quanto segue: «la cosa è a dire il vero drammatica», afferma l’uomo, «ma meglio per me, negli accadimenti drammatici c’è sempre qualcuno che subisce il dramma e qualcuno che se ne avvantaggia, così io, nel mio caso specifico».

Affermando quanto segue, e ossessionato dalla ricerca di conferme attraverso esortazioni frequenti come «verificate» e «controllate», il protagonista sta involontariamente confessando che in realtà nella rapina alla villa della famiglia Adami – questo è «il fatto dei fatti di Pietrarossa» – non ha avuto altro ruolo che quello di spettatore. A rincarare la dose c’è anche il fatto che il padre, presente quando Debellis era stato fermato dai carabinieri per l’interrogatorio, è ormai affetto da demenza senile e non può confermare i fatti raccontati.

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Un altro momento in cui Debellis sembra tradire se stesso è quando ricorda la sua conversazione con Francesco Adami, figlio dei proprietari della villa. Secondo il protagonista, quello di Adami è stato una specie di monologo, dove «è facile parlare, dire quello che si vuole a piacimento, mentire anche, quando si è soli è facile». In sostanza, e lo dimostra anche la volontà di bloccare i commenti di chi visualizza la diretta, Debellis ci sta dimostrando che, in assenza di qualcuno che possa confermare o contraddire la sua versione dei fatti, è facile costruire una propria verità e apparire agli occhi degli altri ciò che in realtà non si è.

Il narcisismo di Debellis

In quest’ottica, allora, sono da interpretarsi le invettive che Debellis lancia. Sono da intendersi come il delirio di un narcisista che, stanco di esser sempre nelle retrovie, vuole – parafrasando Andy Warhol – le sue quattro ore di notorietà. Ciò è evidente, per esempio, nell’invettiva contro i carabinieri, rei secondo il protagonista di non aver indagato a fondo nella vicenda di Pietrarossa: «bravi, bravissimi, falsari», inveisce Debellis, «che cosa non fa la gente per la visibilità, per poter dire io ci sono a questo mondo, che pena, è così che gira il mondo, che tristezza».

Debellis è consapevole di essere una persona che non si è mai realizzata come avrebbe voluto: i genitori hanno sempre avuto ottima considerazione di suo cugino Nico, adottato dalla famiglia a seguito della morte dei genitori di quest’ultimo, la sua carriera in banca fa fatica a decollare e dalla relazione con Silvia non ha avuto i figli che sperava. Quella di Debellis è una vita vissuta sempre ai margini, corroso dall’odio e dall’invidia verso la sua famiglia:

Guarda con chi ho avuto a che fare io, guarda se poi avrei dovuto fare quello che abbiamo fatto per i soldi. Il mio passato è passato ed è pieno di gente ipocrita, egocentrica, pronta a tutto pur di ottenere ciò che vuole ottenere, amante della bella vita, della visibilità.

Criticando gli altri, Debellis non fa altro che criticare se stesso. A essere amante della visibilità e della bella vita non sono il padre Antonio o il cugino Nico, ma lui stesso, che ha voluto organizzare la rapina per avere i due milioni di lire per viaggiare a Ibiza con l’amico Michele – complice, oppure vera mente della rapina –, e che si intesta un crimine che forse non ha mai veramente commesso per evadere dalla monotonia della sua quotidianità e dal suo fallimento, al punto che esorta addirittura una punizione esemplare per il gusto di avere il suo momento di gloria:

La mia punizione deve essere esemplare, spero che lo sia, me lo auguro, in questo paese è dura essere condannati anche per un reo confesso, ma insomma fate quello che dovete fare io accetterò la mia punizione, le carceri sono sovraffollate ma un posto per uno come me ci sarà pure, per un pezzo da novanta, sento che è il prezzo che devo pagare.

«Il pescecane»: narcisisti in cerca di conferme

Tornando alla domanda dell’inizio, che cosa succede, dunque, quando un uomo di punto in bianco prende i social network e decide di confessare un crimine? Succede che quello che racconta probabilmente non sarà vero ed è soltanto un modo per ottenere visibilità e alimentare il proprio ego. Andrea Quattrocchi con Il pescecane (acquista) mette in guardia dai deliri narcisistici di chi millanta atti eroici o crimini efferati sui social. Chi si serve dei social per questi intenti, si rivela essere una persona spesso sola e in cerca di conferme, una persona che, millantando assurdità, non fa altro che confermare il fallimento delle proprie aspirazioni e gli insuccessi della propria vita.

Mi sento così quando li incontro, incompleto, e devo fare qualche cosa, rivendicare mi pare il primo essenziale passo, lo dico in generale, Antonio e Grazia presenti Antonio e Grazia assenti. Rivendico il diritto di essere come sono: io sono cattivo, cioè non sono buono come voi pensate. A noi, possiamo cominciare.

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Alberto Paolo Palumbo

Insegnante di lingua inglese nella scuola elementare e media. A volte pure articolista: scuola permettendo.

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