Nel mondo disturbante dei moderatori di contenuti

Cosa si nasconde dietro le segnalazioni social?

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«Questo post è stato rimosso», recensione del romanzo di Hanna Bervoets

Lo scorso 21 giugno è uscito per Mondadori Questo post è stato rimosso di Hanna Bervoets. Il romanzo, che la giovane autrice olandese ha scritto in occasione della Settimana del Libro 2021, è un viaggio in un universo che tutti abbiamo costantemente sotto gli occhi ma a cui tendiamo a non prestare attenzione: quello dei moderatori di contenuti sui social network. Come sappiamo, ogni giorno vengono eliminati dalle piattaforme social migliaia di contenuti che «violano gli standard della comunità», per un motivo o per un altro. Non sempre, però, ci soffermiamo sul fatto che ci sono persone che per lavoro passano in rassegna contenuti spesso molto disturbanti per stabilire se violano gli standard e, nel caso, rimuoverli.

«Questo post è stato rimosso»: la trama

È proprio questo il mestiere che svolgono Kayleigh e gli altri protagonisti di Questo post è stato rimosso. Ogni giorno entrano in una stanza in cui, isolati dal resto del mondo, si occupano solo di controllare post, foto e video segnalati. Ma soprattutto di cancellare quelli che non rispettano gli standard della comunità – che peraltro cambiano in continuazione. È un lavoro alienante, che li porta a essere esposti al peggio dell’umanità. Kayleigh, però, ha la fortuna di stringere rapporti di amicizia con diversi colleghi. Con una di loro, Sigrid, intesse una vera e propria storia d’amore, che in qualche modo le fa ignorare le brutture che deve guardare per otto ore al giorno.

Eppure, presto qualcosa si incrina. Sigrid rimane colpita dal video di un’adolescente in atteggiamenti autolesionisti e, contrariamente a quanto stabilito dalle linee guida, non si limita a cancellare il video. Memorizza il nome della ragazza e la cerca quando torna a casa, per scoprire dopo qualche tempo che si è suicidata. Kayleigh prova a rassicurarla: ha fatto il suo dovere, non c’era altro che fosse tenuta a fare per aiutare quella ragazza. Si accorge però che, nonostante le sue rassicurazioni, Sigrid non è in grado di voltare pagina. Il loro è un lavoro che finisce per perseguitarli anche alla fine del turno.

Un progressivo lavaggio del cervello

Ciò che allarma di più Kayleigh è la reazione non solo di Sigrid, ma anche di diversi altri colleghi, di fronte ai contenuti complottisti che leggono tutti i giorni per poterli valutare e, nel caso, eliminare. Pian piano, li vede perdere lucidità e abbracciare teorie terrapiattiste e negazioniste dell’Olocausto, in quello che sembra un vero lavaggio del cervello. Kayleigh si sente l’unica del gruppo rimasta lucida e arriva a scontrarsi con gli altri. Ognuno di loro, però, sarebbe pronto a spergiurare che non c’è nulla che non va; ognuno nota solo gli atteggiamenti strani degli altri. E se anche Kayleigh non fosse più così lucida come crede?

Le vicende narrate in Questo post è stato rimosso ci mettono davanti alla fragilità delle nostre stesse convinzioni. A freddo ci sembrerebbe impensabile affermare che la Terra è piatta o che la Shoah non è mai avvenuta. Ma se fossimo costantemente bombardati da contenuti che sostengono il contrario le nostre certezze comincerebbero a vacillare? E, allo stesso modo, potremmo chiederci quante cose reputiamo giuste perché lo pensiamo davvero o perché in qualche modo siamo stati indotti a pensarlo. La storia di Kayleigh e degli altri potrebbe essere anche la nostra.

L’altra faccia della sicurezza sui social

A ognuno di noi sarà capitato, almeno una volta, di segnalare un post su un social network per un motivo o per un altro. Per esempio, perl’incitamento all’odio o la presenza di contenuti violenti. E, se il post è poi effettivamente scomparso, abbiamo provato un senso di sollievo all’idea che il mondo social era un po’ più pulito grazie alla nostra segnalazione. Ma di sicuro non ci siamo mai soffermati a pensare all’altra faccia della medaglia. Ovvero alle persone che ogni giorno si fanno carico di controllare i contenuti segnalati e cancellarli all’occorrenza. Il nostro feed pulito ha un prezzo, ed è la salute mentale di centinaia di lavoratori che rimangono inevitabilmente traumatizzati dai terribili contenuti cui sono esposte a cadenza quotidiana, per una quantità spaventosa di ore.

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Tra i personaggi di Questo post è stato rimosso, l’unica che sembra intuire la gravità della situazione è una figura marginale che compare solo nelle prime pagine. É Alice, descritta da Kayleigh con un particolare talento per questa insolita professione. Riconosce tutte le violazioni delle linee guida, all’apparenza le identifica con una straordinaria freddezza. Eppure, dopo avere superato brillantemente la prova, Alice rifiuta il lavoro, come se fosse l’unica a comprendere qual è la vera posta in gioco.

Ad Alice toccarono le immagini di un neonato posato su una strada sterrata da una donna e poi lapidato da due ragazzi; lei, impassibile nel suo giubbino di jeans oversize, si appoggiò a una sola stampella e passò la prova in maniera piuttosto brillante: «Maltrattamento di minori, sottocategoria morte violenta, forse… Però non c’è nessuna esaltazione nella didascalia, quindi sono immagini da lasciare online, ma da segnalare come forti». […] Solo Alice rifiutò il lavoro.

Un problema – per ora – irrisolvibile

Una soluzione univoca al problema contro cui Hanna Bervoets punta il dito non è facile da trovare. Non si può certo scendere a compromessi quando si parla di sicurezza sui social. Se si smettesse di controllare e rimuovere i contenuti più disturbanti, questi finirebbero sui nostri feed, o su quelli di una persona fragile, magari di un minore. D’altro canto, non si può nemmeno immolare la salute mentale di chi se ne occupa. Per stabilire se viola gli standard, un contenuto va visto, e deve essere una persona a occuparsene, poiché alcuni contenuti – senz’altro contrari alle linee guida – sfuggirebbero agli algoritmi. Ma come tutelare chi si espone a post, foto e video di questo tipo?

«Questo post è stato rimosso»: lo stile

Questo post è stato rimosso non è solo narrato in prima persona, ma costruito portando il lettore a identificarsi in un personaggio, un certo signor Stetić, cui Kayleigh si rivolge a più riprese per raccontare la sua storia. Grazie a questo espediente, che richiama quello che al cinema sarebbe uno sfondamento della quarta parete, si viene trasportati all’interno del libro, partecipi delle vicende di Kayleigh e degli altri ragazzi.

La scelta della prima persona consente inoltre di immedesimarsi in particolare con il punto di vista di Kayleigh. Siamo noi stessi ad assistere al deterioramento della lucidità degli altri personaggi e la nostra alter ego ci sembra l’unica che ancora non vacilla davvero. L’autrice, però, dissemina una serie di indizi che ci fanno capire che pure Kayleigh a un certo punto è scoppiata. In qualche modo la costruzione del libro ricorda un racconto di Raymond Carver, Perché, tesoro mio?, in particolare nel finale, volutamente troncato nel momento di massima tensione.

Consigliato a…

Consigliamo Questo post è stato rimosso (acquista) a chi cerca un romanzo fortemente contemporaneo, che possa aprire un dibattito su una piaga della nostra società a cui troppo spesso non pensiamo. A chi non ha paura di sovrapporre il suo sguardo a quello della protagonista e di chiedersi che scelte compirebbe al suo posto.

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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l’impresa e specializzata in Traduzione. Caporedattrice di Magma Magazine, sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Dopo aver esordito nel 2020 con il romanzo «Noi quattro nel mondo» (bookabook), ha pubblicato nel 2023 la raccolta di racconti «Pretendi un amore che non pretende niente» (AUGH! Edizioni).

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