«La prima volta che il dolore mi salvò la vita»

Le poesie dell'autore islandese Jón Kalman Stefánsson mostrano il potere salvifico del dolore e della poesia

8 minuti di lettura

Jón Kalman Stefánsson è uno scrittore islandese che ha posto al centro della sua vita la parola con il suo ruolo salvifico. In riferimento alla salvezza stavolta c’è il titolo del suo libro, laddove salvifico non è scrivere, bensì il dolore. «La vita umana», scriveva l’autore islandese in Paradiso e Inferno (Iperborea, 2011), uno dei suoi più celebri romanzi «è sempre una gara contro il buio dell’universo, in cui non abbiamo bisogno di parole per sopravvivere, ne abbiamo bisogno per vivere».

La prima volta che il dolore mi salvò la vita è infatti il titolo del suo nuovo libro pubblicato da Iperborea. Non si tratta di un romanzo e nemmeno di una nuova raccolta di poesie, ma di un corpus che racchiude quattro raccolte di poesie dell’autore. Sono state rimesse insieme con una prefazione scritta proprio da Jón Kalman Stefánsson. Gli islandesi le avevano già apprezzate, mentre adesso l’Italia può conoscerle in questa nuova veste.

«La prima volta che il dolore mi salvò la vita», un titolo che cattura

Lo sappiamo, un libro non si giudica dalla copertina, e neppure dal titolo. Tuttavia, in questo caso si deve fare un’eccezione. La copertina di La prima volta che il dolore mi salvò la vita (acquista) è una bellissima illustrazione di Emiliano Ponzi. Il titolo, invece, già risulta profondamente suggestivo. Il dolore che salva la vita sembra un ossimoro, poiché è soffrendo che si muore, che si cessa di averla la vita.

Eppure, la letteratura ha esempi illustri di questa profonda antitesi. Celeberrima è la frase che Fëdor Dostoevskij fa dire allo starec Zosima ne I fratelli Karamazov: «Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio insegnamento: nel dolore cerca la felicità». Queste parole tornano in mente se si considera il titolo di un famoso romanzo di Peter Cameron, ovvero Un giorno questo dolore ti sarà utile, che a sua volta è una citazione dagli Amores di Ovidio:

Perfer et obdura! Dolor hic tibi proderit olim:

saepe tulit lassis sucus amarus opem.

(Sopporta e resisti! Un giorno questo dolore ti sarà utile:

spesso una medicina amara porta giovamento al malato).

E se pure il romanzo di Cameron mostra il percorso di un ragazzo che cerca un posto nel mondo, le quattro raccolte poetiche di Jón Kalman Stefánsson mostrano esattamente come l’autore sia cresciuto grazie alla poesia. Nella prefazione racconta quanto sia stata importante. Capiamo quindi quanto sia salvifica per lui.

Le raccolte recano infatti un titolo che rimanda alla salvezza. Non è semplicemente utile, è il dolore stesso a salvare la vita. Non c’è una poesia che spieghi nel dettaglio che cosa significa il titolo, sono le raccolte a lasciarlo intuire.

La sagace ironia di Stefánsson

Le poesie hanno due caratteristiche contrapposte quasi quanto il titolo: da un lato un’idea realistica, fortemente resa, dall’altro una dimensione onirica. La prima è fondamentale nella costruzione delle opere. L’autore è legato al presente e a una vita meno astratta. Mostra tale legame con riferimenti continui alla patria, alla resistenza, anche alla guerra. Senza entrare nei dettagli, ma dicendo il necessario.

Tratto distintivo dello stile di Stefánsson è una sagace ironia che colpisce il lettore e lo tiene incollato alla poesia come fosse prosa. Il testo di Iperborea reca anche l’originale a fronte, quindi anche per chi non conoscesse l’islandese può essere importante leggere la dimensione e la metrica delle frasi. Frasi che si spezzano e infrangono in un racconto che è quasi narrativo per quanto ermetico. Semplici ed efficaci senza mai appesantire versi che si leggono velocemente, ma non si dimenticano con altrettanta facilità.

Non posso dire

che mi sembri una notizia da poco

sul fronte della vita

quando ancora si cade

nella fossa sacrificale della patria

contro un nemico preciso.

La prima persona è molto presente e lascia spazio a un io lirico intenso e così brillantemente reso. Conosciuto, ma soprattutto che si vuole conoscere da parte del lettore.

La dimensione soggettiva della poesia

Grazie al viaggio dentro le sue parole, Stefánsson porta il lettore anche altrove. Gli regala l’idea di un sogno, di una rivalsa di lui come uomo, come persona. Osserva il quotidiano, ma dal quotidiano vive anche il divino.

Non ho

Niente da dire

Ma

Ho rubato i reattori da un sogno degli dei

E sto puntando al Sole

Dopo un pugno di istanti come folgori

Sto sulle spalle del tempo

E vedo stazioni televisive

Diventare i musei dell’oblio.

In questo sogno l’incubo non è assente. Gli aspetti macabri vengono resi sempre con riferimenti a una vita comune, la morte viene paragonata ad esempio a una donna delle pulizie. Le quattro raccolte non trasportano solo tra realtà generica e sogno, ma anche dentro il sogno e la realtà dell’autore. Spesso parla a un tu generico, probabilmente una persona amata, ma ciò che si legge non riguarda la semplice poesia d’amore. È una poesia di patria, di salvezza, di persona.

Jón Kalman Stefánsson nella prefazione afferma che gli sembrava quasi presuntuoso o egocentrico da parte sua pubblicare le poesie in quanto piene di sé. Su una cosa aveva ragione: sono intrise della sua personalità, della sua esperienza, come ogni cosa che è scritta del resto. Eppure, come sempre, non esiste una composizione uguale a un’altra, una poesia di qualcuno che qualcun altro possa scrivere in modo uguale.

Come mostra la copertina, l’atmosfera islandese e il vissuto dell’autore rendono unica l’esperienza di lettura. La prima volta che il dolore salva la vita è anche la prima volta in cui si leggono queste raccolte: quando si capisce, per la prima volta o ancora di più, quanto è potente la parola.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. Ha un master in giornalismo, è docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale. Autrice di due saggi dal titolo "Dietro lo specchio, Oscar Wilde e l'estetica del quotidiano" e "La fedeltà disattesa" e della raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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