«Progetto “menabò”»: Silvia Cavalli racconta la realtà editoriale di Vittorini e Calvino

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Il Menabò è stato un progetto rivoluzionario a opera di Elio Vittorini e Italo Calvino. Ricostruirne la storia è a dir poco complesso. In un saggio edito Marsilio, «Progetto “menabò” (1959-1967)», è Silvia Cavalli a occuparsene.

Dal 1959 al 1967 Elio Vittorini e Italo Calvino dirigono per Einaudi la rivista Il Menabò, un ibrido tra periodico e collana. La natura duplice di tale progetto deriva dal fatto che in toto Il Menabò trova se stesso a partire da I Gettoni: nasce quindi dalle ceneri di una collana, diretta da Elio Vittorini, del tutto peculiare. In questo saggio si ricostruisce un percorso straordinario, anche grazie ai materiali inediti degli Archivi Einaudi e Vittorini, Silvia Cavalli conduce il lettore alla scoperta di una delle riviste più poliedriche e sperimentali del Novecento.

Elio Vittorini e Italo Calvino all’Einaudi

Se è dai Gettoni che questa realtà nasce, è dei Gettoni che bisogna parlare e soprattutto di una collaborazione già in embrione tra Calvino e Vittorini. Siamo dentro la realtà eccezionale della casa editrice Einaudi, dove convergono modi differenti di concepire la letteratura. L’eclettismo la fa da padrone. Elio Vittorini è romanziere, giornalista, curatore editoriale, collabora con diverse case editrici; a differenza di Cesare Pavese non è concentrato unicamente sulla realtà “torinese” dell’Einaudi, ma vive di contaminazioni. È di affiliazione più milanese, con grande disappunto del già citato Pavese. Nel 1933 collabora come traduttore per Mondadori, nel 1938 inizia a lavorare con Bompiani fino al 1943 e poi da quell’anno collabora anche con Einaudi, dove porta un grande rinnovamento culturale.

Italo Calvino, d’altra parte, grazie alla conoscenza della semiotica e all’influenza dello strutturalismo, ha modificato lo status della letteratura e fatto dello sperimentalismo una cifra stilistica irrinunciabile. Al di là del curriculum letterario, Giulio Einaudi nel suo Colloquio a cura di Severino Cesari ha mostrato come anche lui sia stato importantissimo per la casa editrice: capo dell’ufficio stampa in un primo momento, ha soprattutto curato per anni i rapporti con scrittori, non solo italiani, senza trascurare tali rapporti neppure durante il periodo parigino.

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Un eterno colloquiare e un editing differente

Nel saggio di Silvia Cavalli è evidente il rapporto tra due uomini che, partendo dalle ceneri di una collana, hanno cercato di riunire diversi scrittori e linguaggi, fino ad approdare a una realtà, quella del Menabò, unica nel suo genere. Come spiega Asor Rosa, «menabò significa in linguaggio tecnico-editoriale l’abbozzo di un progetto grafico, in cui via via s’inseriscono osservazioni e modifiche». Tra Vittorini e Calvino c’è un eterno colloquiare e un eterno osservare, modificare, rifare, già in embrione nel loro modo di fare editing con I Gettoni. Nella collana, diretta dallo stesso Vittorini tra il 1951 e il 1958 furono pubblicati 58 titoli. Nella scelta di stampe e risvolti era fondamentale il contributo di un’autrice e un autore non di poco conto: Natalia Ginzburg e, naturalmente, Italo Calvino. L’editing di Vittorini sugli autori della collana è aggressivo e spregiudicato. I suoi commenti sono onesti e volti a tirare fuori dagli autori sempre il meglio, in un processo di crescita e tramite un’azione maieutica. Scrive Gian Carlo Ferretti nel libro L’editore Vittorini che l’autore era «determinato nei suoi editing geniali e creativi nella forte personalizzazione impressa sui testi narrativi che passano per le sue mani».

I risvolti di Italo Calvino erano invece più lusinghieri, come quello a Tempi stretti di Ottiero Ottieri, autore verso cui Vittorini aveva invece mostrato grande intransigenza, specie nel risvolto di Memorie dell’incoscienza.

Gli scopi de Il Menabò e l’unicità di Gulliver

Dunque due facce della stessa medaglia, molto diverse eppure profondamente legate dal desiderio, nonché dalla grande capacità, di raccontare il tempo e porsi all’interno dei dibattiti letterari e socio-politici con provocazioni e sperimentazioni interessanti. Già nel primo fascicolo si fissavano alcune problematiche fondamentali per l’epoca, ad esempio il rapporto tra lingua e dialetto.

La storia del Menabò viene tracciata nel dettaglio dalla capacità di Silvia Cavalli di raccogliere i materiali dell’archivio in un volume unico che mette in evidenza la grandiosità di questo progetto. Culmina, tra l’altro, in una provocazione unica di nome Gulliver, il settimo fascicolo del 1964, dove venivano pubblicati testi di autori stranieri che avevano profondamente influenzato sia Calvino sia Vittorini, come Roland Barthes. Coincide con il progetto di una rivista italo-franco-tedesca.

Rispetto quindi alla più “provinciale” Officina (rivista che nacque nel 1955 grazie a Francesco Leonetti, Pier Paolo Pasolini e Roberto Roversi), a cui comunque deve tanto, Menabò abbracciava la Neoavanguardia e la letteratura straniera. I direttori si interrogavano, inoltre, su come effettivamente la letteratura potesse inserirsi nel nuovo progresso tecnologico, senza chiudersi in se stessa.

Perché è fondamentale conoscere la storia de Il Menabò

L’apertura verso nuovi orizzonti culturali e letterari, in un eterno confronto con le nuove idee dei giovani e l’industria sempre più in ascesa, è il fiore all’occhiello di una rivista stroncata dalla morte di Elio Vittorini, senza il quale non sarebbe mai potuta andare avanti. Il dibattito sullo sperimentalismo non è sicuramente fuori da posizioni ben precise: Italo Calvino stesso prese posizione più volte verso le Neoavanguardie, quando parlò sul Menabò di Sfida del labirinto.

Progetto «menabò» di Silvia Cavalli (acquista) si propone un obiettivo importante. Di fronte al labirinto dell’oggi, dobbiamo essere in grado di non farci inghiottire dalla sua complessità e dal suo fascino, ma attraverso la letteratura definire l’atteggiamento migliore da assumere per uscirne; invece, la resa al labirinto è ciò verso cui sembrano tendere i giovani. Conoscere progetto, origine e fine di questa rivista può quindi non solo farci apprendere aspetti fondamentali della nostra storia, alla luce dell’indiscusso peso che tali personalità hanno avuto su di essa, ma anche condurci ad un’auto-riflessione sempre più necessaria. Silvia Cavalli ci consente in poche pagine di entrare nel mondo dell’osservazione, che richiama lo stesso nome della rivista.

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Silvia Argento

Nata ad Agrigento nel 1997, ha conseguito una laurea triennale in Lettere Moderne, una magistrale in Filologia Moderna e Italianistica e una seconda magistrale in Editoria e scrittura con lode. Ha un master in giornalismo, è docente di letteratura italiana e latina, scrittrice e redattrice per vari siti di divulgazione culturale. Autrice di un saggio su Oscar Wilde e della raccolta di racconti «Dipinti, brevi storie di fragilità».

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