Il talento di vivere sulla Terra

«Qualcosa sulla terra» di Davide Orecchio

7 minuti di lettura
Qualcosa sulla terra

Ogni città è protagonista della propria storia, un agglomerato di vie specchio della propria natura e palcoscenico di un’umanità pronta a esplodere. Esistono città del nord, città del sud, e allo stesso tempo città sull’acqua e città sul fuoco. Tutte, a guardarle da vicino, muoiono lentamente. Con Qualcosa sulla terra, un racconto (non troppo) breve edito da Industria & Letteratura nella collana L’invisibile, Davide Orecchio scrive una favola contemporanea per emanciparsi dalla gravità, astrarsi dalle memorie del nostro tempo e comprendere le meraviglie urbane di un mondo che non smetteremo mai di scoprire nuovo.

Un audace esperimento narrativo in cui il legame tra animali e esseri umani si mescola al racconto del periodo del Coronavirus e a una riflessione assoluta sul concetto di città.

La mia città sembrava spacciata da sempre, da molto prima che io arrivassi nel mondo. Forse era nata così, già nella condanna. O forse non era mai nata ma era apparsa nella storia già pronta e completa, capitale senza regno, regina senza scettro, erede di una lontana città dominante e feroce.

«Qualcosa sulla terra», tentare di sovvertire l’immaginario

Nel silenzio di una città pronta a prender fuoco, a incendiarsi, la zavorra è la benzina che aizza le fiamme e seppellisce ogni storia. «Magari è meglio così, meglio che tutto se ne vada in un falò d’erbe secche e che la gente ricominci» scriveva Cesare Pavese, «ma io avrei preferito morire nell’acqua, avere un abisso e non la sabbia per sepoltura» risponde Davide Orecchio.

L’autore presenta un io che piano piano prende forma, lo guida attraverso la storia e una malattia che toglie il respiro. Presenta Alberto che miagola, osserva Gilberto soffrire, tossire: «Qualcuno sa dove portano gli esseri umani ammalati?».

E forse non è vero che gli animali reagiscono con indifferenza alla morte dei propri padroni, ma assumono sempre di più la forma di un amorevole accompagnatore. Alberto segue Gilberto attraverso la città, lungo paurose vie sconosciute, lontano da crudeli gabbiani che non si lasciano battere in scaltrezza. Scendono e salgono, attaccano Alberto che ora è stanco, ammaccato, arrendevole. All’improvviso, un angelo. Arriva un cane “alto e terribile” che lo aiuta a liberarsi dei gabbiani.

Leggi anche:
Andreea, la vergogna di un pesce nello stivale

E Davide Orecchio, che nel racconto cerca di sovvertire l’immaginario comune della città silenziosa della pandemia, a cui non ci siamo mai abituati, ecco che tenta di convertire l’idea degli animali in continua lotta tra di loro. Il cane si chiama Antonio e, proprio come Alberto, ha perso il suo compagno. Proprio come Lisa ha perso la sua compagna. Dietro un bidone, ecco spuntare un altro gatto, indifeso. 

Animali mossi dall’amore, animali guidato dal desiderio di riportare i propri compagni a casa. Non sentono gli umani come dei “padroni”, ma affezionate creature selvatiche da cui si sono lasciate addomesticare, direbbe la volpe de Il Piccolo Principe. Bianca, la padrona di Lisa, è morta bruciata.

È vero che molta gente moriva. Sempre molta gente moriva. Ma c’era gente che morendo uccideva un po’ il mondo, e c’era gente che al contrario moriva in estraneità al sentimento del mondo. A questo pensavo.

Non pagava le bollette, la notte accendeva le candele e per distrazione (o disperazione) è morta nel silenzio del mondo, dietro le urla dei solleciti di pagamento che alimentavano la fiamma della fine. Era estate, ma conseguenza diretta dell’inverno in cui Lisa l’aveva lasciata.

Bianca è morta d’estate in una città che s’incendia, pazza per l’odore del fuoco. Lisa è scomparsa d’inverno e non mi stupisce. Ogni origine nasce d’inverno. Ogni causa viene dal freddo. Nel silenzio iemale si formano cose. Che la morte di Bianca sia conseguenza di fatti scaturiti dal gelo non meraviglia.

Pensare sfacciatamente di poter salvare il mondo

Davide Orecchio apre al confronto tra estate e inverno, tra fuoco e silenzio, tra essere animale o umano, coppie ataviche in contrasto ma dirette conseguenze di elementi che dominano la vita. “Esistere” diventa un modo di “essere” qualcuno di vagamente simile a chi ci sta vicino.

Qualcosa sulla terra (acquista) è un piccolo racconto che, fuori e dentro il nostro tempo, mette a nudo le anime ribelli che riscrivono le proprie scelte ogni giorni. Un mondo invertito in cui la povertà, la solitudine, la malattie e la morte si mescolano alla vulnerabilità e alla sensorialità di cani e gatti che osservano i propri compagni e li seguono con l’innocente coraggio di chi pensa sfacciatamente di poter salvare il mondo. Che è un po’ il talento di vivere che abbiamo dimenticato di possedere. L’importante è «fare qualcosa, qualcosa fare nell’alto, nel basso. Qualcosa, sulla terra», come direbbe Paul Celan.

Avvertenze: La redazione di Rumore (rumoremag.com) consiglia come colonna sonora di questo libro The Lovecats dei The Cure.

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Serena Votano

Serena Votano, classe 1996. Tendenzialmente irrequieta, da capire se è un pregio o un difetto. Trascorro il mio tempo libero tra le pagine di JD Salinger, di Raymond Carver, di Richard Yates o di Cesare Pavese, in sottofondo una canzone di Chet Baker, regia di Woody Allen.

Lascia un commento

Your email address will not be published.