Quattro inediti di Stefano Buzi

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Potremo ancora sfiorarci sussurrando nei silenzi
futuri, inoppugnabile incrocio di battiti.
Così i nostri cuori già divisi, amore.
Saremo forse lontani dai tempi dei
versi, distanti dai sussulti di carta,
non più complici dell’essere noi.
Eterni custodi del mondo che
oggi non abitiamo più.

***
Leggeremo i nostri passi come metafore
dischiuse di un passato frammentato,
faremo nostro il libro dei pentimenti e
dei reciproci rifiuti,
scoveremo dalle cupe illusioni
dell’avvenire la luce più splendente.

Sarà allora, amore,
avvinto il tempo fra le nostre mani,
stordito dai baci, commosso dai
segni di lacrime sincere,
finalmente arreso ai desideri
dagli occhi condivisi.

Quel giorno inizierà con un noi,
a scrollare il verso mio
celato dai recessi del cuore.

***
Principessa,
nei pollini primaverili ho sofferto
il tuo essere altrui.

Principessa,
di una muta estate
mi hai fatto rovente dono.

Principessa,
per ogni goccia di speranza versata,
una foglia già si è resa alla terra.

Principessa,
che l’inverno mi sotterri candidamente.
Che io possa rinascere, fenice turchese,
lontano da te,
profugo del tuo deserto di finissima indecisione.

***

Sarà l’amore inestricabile contorcersi
di battiti e silenzi, quasi a
dirigere nei rintocchi
della ragione il letargo.
Può forse spingersi negli antri più profondi
delle carezze, infuocare inverni e sciogliersi
innanzi ai camini.
È ostaggio imbambolato degli anni, se
sempre accolto.
Un tuo semplice sospiro, che
mi sorprende nell’abisso.

«Leggeremo i nostri passi»: l’inizio del percorso poetico

Stefano Buzi è avvocato, laureato presso l’Università degli Studi di Brescia con una tesi riguardante i temi del fine vita, del testamento biologico e del consenso informato. Assiduo lettore, oggi – oltre allo svolgimento della professione forense – si dedica alla stesura di articoli scientifici sempre riguardanti il biodiritto. Buzi, tuttavia, negli anni nell’adolescenza si è dedicato alla poesia, soprattutto ispirato dai componimenti di Nâzim Hikmet e Pedro Salinas.

Le poesie hanno raggiunto un numero tale da formare una raccolta, ma dopo un gentile rifiuto da una nota casa editrice l’autore ha deciso di rinunciare a una pubblicazione cartacea. I versi qui proposti erano già apparsi all’epoca – seppur in una versione differente – in un blog letterario. Dopo un attento lavoro di revisione, Stefano Buzi ha deciso di riproporre quattro dei componimenti per lui più esemplificativi del periodo adolescenziale.

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L’unione come promessa

In Buzi emerge chiaramente l’intento di rendere omaggio alla persona amata. Versi lirici, intrisi di una vena tragica, proiettano il lettore in un luogo interiore ed empatico. L’intera vicenda è in divenire e l’autore si interroga su quello che sarà, che potrebbe essere. L’utilizzo del futuro è onnipresente. Nel poeta viene a costruirsi così una speranza che diviene sempre più reale perché consapevole. Hikmet, ad esempio, ha una visione chiaramente più disillusa e il proprio dolore soggiace proprio nel non poter comprendere ciò che per l’autore rappresentata il tutto. Sono suoi i versi del 1949 in cui si legge: «Sei la mia nostalgia / di saperti inaccessibile / nel momento stesso / in cui ti afferro». In Buzi, invece, questo sentimento non è presente; e se lo è rimane comunque teso all’unione: «Quel giorno inizierà con un noi, / a scrollare il verso mio / celato dai recessi del cuore».

I versi vanno a definire una toponomastica della passione. L’esercizio della scrittura diventa propedeutico per comprendere tutto ciò che potrebbe – anzi deve! – essere risolto per il coronamento dell’amore:

Leggeremo i nostri passi come metafore,
dischiuse di un passato frammentato,
faremo nostro il libro dei pentimenti e
dei reciproci rifiuti,
scoveremo dalle cupe illusioni
dell’avvenire la luce più splendente.

L’unione, perciò, come promessa per una felicità agognata. Nei componimenti viene a delinearsi l’intento di assurgere l’amore a potenza suprema, capace di risolvere i mali dell’essere. Una visione utopica, dettata di certo da impeto giovanile, ma non di certo banale. Passaggio più o meno obbligato nella produzione artistica di un poeta, il tema amoroso riesce a forgiare immagini irripetibili. Si tratta di una breve silloge che è di per sé significativa, suggestiva, nell’esemplificare certi modelli. Nel poeta riposa il proverbiale fuoco, costantemente curato dalla propria Vestale – o dalla sua rappresentazione. Il dolore, sia esso concepito anche solo come rifiuto, rimane comunque separazione. Una divisione dettata dall’inespresso che trova vigore solo sulla pagina, un sentimento esposto magistralmente da Salinas: «Oggi però l’ardente / diniego alla tua assenza, il tuo ricordo, / permea tutto il mio essere, le vene, / scorre dentro di me, ed è la stanchezza».

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Turbamento e salvezza

Nella poetica di Stefano Buzi il rimprovero tra gli amanti non sembra prefigurarsi come tema principale, anzi. Non vi sono risentimento o colpe addossate alla possibile compagna. Piuttosto si delinea un senso di sofferenza quasi metafisica, scatenata da fattori esogeni, cause di tale turbamento. L’unione sembra così essere un obiettivo da perseguire, ma non in maniera forzata; l’amore diviene salvifico, in quanto esso stesso permette al poeta di comprendere la propria infelicità: «È ostaggio imbambolato degli anni, se / sempre accolto. / Un tuo semplice sospiro, che / mi sorprende nell’abisso». Un abisso che in caso di rifiuto potrebbe portare allo sconforto più assoluto: il diniego diverrebbe così stagnante, costringendo l’io lirico – quasi forzatamente – all’immobilità.

Si passa dunque da un estremo all’altro e quel tendere al futuro potrebbe diventare un continuo rinnegare. Come scrive Cesare Pavese:

Non credo più al futuro
e appena forse alla luce di gloria
tanto pallida e vuota.
Fantastico che queste mie parole
siano tutta la stretta del tuo amore, il sorriso del tuo corpo
e del tuo volto, miei
nella nostra passione disperata.

Ma Buzi ancora una volta tende alla rinascita, ad arrivare all’altro per il suo stesso tramite: «Che io possa rinascere, fenice turchese, / lontano da te, / profugo del tuo deserto di finissima indecisione». D’altronde l’amata appare come una fiaccola che accompagna l’avanzata del compagno. La sua stessa esistenza è bastevole per dare sollievo. Per riprendere i versi di Paul Eluard: «Quello che mi piace del tuo volto è l’apparire / d’un lume ardente in pieno giorno».

Le parole d’amore

Nelle poesie i versi seguono un andamento regolare, accompagnando il lettore nello struggimento del poeta. I versi rispettano i modelli della poesia amorosa, senza però scadere nella banale ostentazione del sentimento. Non vi è autocommiserazione né tanto meno esaltazione. Il sentimento è umile, espresso in maniera sentita. Ovviamente l’idealizzazione è presente, ma sempre in un’ottica di rispettosa reverenza verso, innanzitutto, l’amore. D’altronde le stesse parole d’amore, come sostiene Kostantin Bal’mont:

frantumandosi, restano sempre intere
come la luce, come l’aria sconfinate,
sono leggere come spruzzi d’acqua fra i giunchi,
come i battiti d’ali di un uccello ebbro
intrecciato a un altro uccello
nella corsa aerea, fra le nuvole.

L’autore

Stefano Buzi è nato a Brescia il 18 settembre del 1992. Ha conseguito il diploma presso il Liceo Classico Statale “Arnaldo” di Brescia. Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Brescia, con una tesi in materia di fine vita. È cultore della materia per l’insegnamento di biodiritto presso l’Università degli Studi di Brescia, ed è autore di quattro pubblicazioni scientifiche. Attualmente svolge la professione di avvocato presso il foro di Brescia.

Illustrazione di Giorgia Minessi © Riproduzione riservata

Lorenzo Gafforini

Classe 1996. Nel 2020 si laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Brescia. Ha pubblicato otto raccolte di poesie e due racconti.

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