Pubblicato originariamente nel 2008, lo scorso novembre Radici bionde di Bernardine Evaristo è stato rieditato dalla casa editrice SUR. L’autrice britannica, di origini nigeriane, è diventata famosa per la sua raccolta di racconti Ragazza donna altro (2019). Quest’opera è stata candidata all’Orange Prize per la letteratura femminile e all’Arthur C. Clarke Award per la fantascienza: ma cosa ci si può aspettare da questo romanzo?
«Radici bionde»: un what if di stampo storico
Si definisce what if una situazione ipotetica che crea delle conseguenze differenti da quelle che possiamo constatare nella nostra realtà. Allo stesso modo, il mondo creato da Evaristo in questo romanzo capovolge le storiche strutture sociali a cui siamo abituati ponendo una semplice domanda. E se fossero stati i neri a colonizzare i bianchi?
Ed eccoci, quindi, introdotti nella vita di Doris. Ribattezzata dai suoi padroni “nehri” Omorenomwara, la conosciamo nel momento in cui vede uno spiraglio di libertà dalla sua vita da schiava “bianka”. Sono anni, decenni ormai, che lavora come schiava nella famiglia di Bwana e finalmente la Resistenza le ha scritto per riportarla a casa. Quella casa da cui era stata rapita, durante un semplice gioco infantile tra i boschi. Quella casa che quasi non ricorda, ma che Doris continua ad inseguire tra mille peripezie.
L’opera è divisa in tre libri diversi. Il primo e l’ultimo narrati dal punto di vista di Doris, mentre il secondo – più breve – è affidato alla voce di Bwana, il suo padrone. Bwana ci presenta, freddamente, il punto di vista dei colonizzatori.
La ricerca della libertà secondo Evaristo
L’obiettivo che la nostra protagonista cerca di raggiungere è uno soltanto: essere di nuovo libera, tornare a casa. Probabilmente casa sua è distrutta e la sua famiglia uccisa, ma non importa. Deve riuscire a lasciarsi indietro quella vita di schiavitù e tornare ad essere una donna libera. Libera di scegliere di chi innamorarsi, libera di tenere con sé i propri figli, libera di poter parlare la sua lingua e di usare il suo nome.
Doris è un personaggio estremamente determinato, una donna che – sebbene la paura di essere scoperta, torturata e uccisa – non si guarda mai indietro ma cerca solo di raggiungere il suo obiettivo. Un personaggio che è studiato con enorme cura, grazie anche ai numerosi flashback che ci permettono di comprendere come una ragazzina spaventata, rapita nei boschi, sia potuta diventare una donna forte e decisa.
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Le sue disavventure la portano a crearsi una pelle spessa e un coraggio senza pari, che viene notato anche da tutti gli altri personaggi, come ad esempio Ye Memè. Quest’ultima, grossa donna del nord, forte fisicamente ma dolce nell’animo, nota come Doris sia intraprendente e per questo l’accoglie e l’aiuta nella sua casa.
«Radici bionde»: la forza di un nuovo punto di vista
La bellezza di Radici bionde (acquista) sta nell’impatto che il lettore ha nel momento in cui viene a confrontarsi con la storia. Vedersi come vittime della storia crea in noi un disprezzo verso coloro che trattano in modo inumano altre persone semplicemente per il colore – in questo caso pallido – della loro pelle. Questo sentimento crea, di conseguenza, un ulteriore disagio nel capire che nella realtà eravamo noi dalla parte del torto. Siamo noi, purtroppo ancora oggi, dalla parte del torto.
Un testo di denuncia, che sbatte in faccia al lettore la realtà dei fatti che molto spesso non conosciamo o tendiamo a dimenticare, soprattutto se si osservano i dettagli. Leggere dei terribili trattamenti riservati alla nostra protagonista durante le ore di lavoro, di come è stata rapita, di come è stata deportata… è un pugno nello stomaco poiché realizziamo che in realtà siamo noi i villain della Storia.
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