Il propagatore di disordine

«Le radici del male» di Maurice G. Dantec

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«Le radici del male» di Maurice G. Dantec

Da oltre vent’anni assente nelle librerie italiane, ritorna – grazie all’attenta azione di recupero di Minimum Fax Le radici del male di Maurice G. Dantec. Edito insieme ad altri libri dell’autore dalla Hobby and Work a fine anni Novanta, il libro si ripresenta con una nuova veste grafica sempre per la traduzione di Luigi Bernardi e Sabina Macchiavelli.

Considerato da molti come uno dei noir atipici più entusiasmanti degli ultimi decenni, Le radici del male (acquista) è ormai un cult, un’opera totale che rappresenta perfettamente uno dei periodi artistici più significativi di Dantec.

Maurice G. Dantec, prematuramente scomparso nel 2016, è uno scrittore eclettico, capace di approcciarsi a vari generi letterari con un linguaggio polivalente. Già nel 1993 pubblica il suo primo romanzo, La sirena rossa, per la celeberrima collana Série Noir della Gallimard. Poi, oltre Le radici del male, seguiranno altri romanzi di rilievo: primo fra tutti Babylon Babies, da cui sarà tratto anche un film da Mathieu Kassovitz.

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Un’ironia che prova ad esplodere

Storia di un killer e di se stesso

Leggere Maurice G. Dantec è un’esperienza irripetibile. Capace di canalizzare l’attenzione fin dall’incipit del romanzo, immerge il lettore in un universo allucinato, alterato dai deliri schizoidi di un personaggio sfaccettato, imprevedibile. Dantec non dà vita sulla pagina a uno squilibrato qualsiasi: Andreas Schaltzmann diventa il prototipo inedito di una mutazione del reale, ancora più concreto del mondo che lo circonda. Ossessionato fin da bambino dai nazisti e dagli alieni di Vega, nella sua psicopatia finisce con il tramutarsi in un serial killer metodico.

Pagine vivide che a tratti ricordano i capitoli più cruenti di American Psycho di Bret Easton Ellis oppure Frisk di Dennis Cooper. Tuttavia, qui è assente l’ironia – anche per quanto macabra possa figurarsi. Il quadro è angosciante, costringendo il lettore a osservare il baratro della violenza e crudeltà umana. Schaltzmann è sì un pazzo, un folle omicida, ma è anche la materializzazione del male, l’esternazione dei nostri reconditi incubi. Una rovinosa caduta verso l’oblio che a tratti può ricordare il Matt Dillon de La casa di Jack di Lars von Trier. Una fuga quella dal serial killer, innanzitutto, da se stesso:

L’angoscia non smise di salire, durante tutta la giornata. Prima ci furono le informazioni regionali della Tre, alle dodici e quarantacinque, dove si riparlò dell’orribile caso del lungofiume, in un crepito di interferenze. Avendo momentaneamente dimenticato che ne era l’autore, Andreas addebitò questa ondata di crimini sul conto dei nazisti in combutta con gli invasori di Vega. Però rimase interdetti per lunghi minuti quando il suo identikit si disegno sullo schermo vacillante. […] Ma era lui, quello lì, sul televisore!

Tra la riverenza e il caos

Una visione che attinge inevitabilmente all’immaginario e alle impressioni di certi autori. Quali, ad esempio, la ferocia di J.G. Ballard, le alterazioni di Philip Dick oppure le allucinazioni di William S. Burroughs. Un romanzo che soprattutto dalla seconda parte in poi sorprende per la sua virata fantascientifica, con notevoli influenze del mondo cyberpunk. Una costellazione di impressioni degne di un paesaggista surrealista. Le pagine sono pervase prima da colori grigi per poi abbandonarsi in descrizioni psichedeliche.

I personaggi che popolano le peripezie mentali del protagonista assumono – in parte – cognomi di scrittori, divenendo numi tutelari dell’opera. Un libro a tratti apparentemente scollegato, ma che in realtà segue un suo ferreo rigore. Un disordine, dunque, che risponde a una precisa logica. Come afferma Gregory Bateson: «Dato che ci sono diversi modi per essere disordinati le cose andranno sempre verso il disordine e la confusione». Idea proposta, in maniera affine, anche dall’io narrante, il neuro-scienziato Arthur Darquandier:

L’uomo è sia una macchina per controllare il caos, sia un propagatore di disordine. Come ogni fenomeno caotico «sotto controllo relativo», oscilla incessantemente fra stati imprevedibili, mentre il suo comportamento statistico generale rimane pressoché stabile, come il volume dell’acqua che bolle.

Alla ricerca di un nuovo misticismo

Un tendere all’entropia, come chiave della comprensione dell’animo umano. Coerente anche con le idee e gli intenti di certe correnti, quali, ad esempio, quella del recherché postmodernism. Non sorprende, in questa circostanza, come alcune parti siano introdotte anche da Il libro delle profondità interiori di Djalâl-ud-Din Rûmî e da frammenti di altri mistici medio-orientali. In questo senso sorprende la frase in epigrafe alla terza parte – sintesi del sistema di Maurice G. Dantec: «Ero un tesoro nascosto, ed è per questo che ho creato le creature: per essere conosciuto».

Un universo pervaso da una molteplicità di suggestioni, tante quante sono le stelle che sorvegliano il cielo di Dantec. Un assurdo mondo capace di plasmare a sua volta altri scenari. Una lunga e necessaria digressione nella storia dell’uomo, in grado di sconvolgere, angosciare e scuotere il lettore dal torpore di certa letteratura.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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