Quando si parla di anni Sessanta e Settanta, spesso viene usata l’espressione «Lungo Sessantotto». La spinta rivoluzionaria del Sessantotto, infatti, si estende fino alla fine degli anni Settanta, ma in maniera reazionaria: se nel Sessantotto si cercava di rivoluzionare tutte le costrizioni culturali esistenti, verso gli anni Settanta si rivoluziona, ma in senso reazionario. Molti, infatti, sono i movimenti e le sottoculture che sorgono come reazione escapista al fallimento del Sessantotto, ma tanto è soprattutto l’inasprimento di ideali politici la cui estremizzazione è stata causa della tensione politica di quegli anni.
Fra questi movimenti reazionari figurano, per esempio, le radio libere, luoghi in cui si cercava di creare un’utopia culturale volta a ritrovare un senso di collettività in cui si evadeva da una realtà in cui era difficile esprimersi liberamente. Una radio libera è anche la «Radio Magia» raccontata da Valerio Aiolli nel suo nuovo romanzo edito da minimum fax.
La trama di «Radio Magia»
Caputo, Caio, Il Gipo, Toppa, Michele, Saracco, Del Neri, Sidvicious, Gilles: loro sono alcuni dei protagonisti di Radio Magia. Sono membri di una «generazione di scazzati», «troppo giovani per aver fatto il Sessantotto, troppo introversi per partecipare al Settantasette», come recita la bandella del libro. Sono adolescenti come tanti: passano le giornate fra partite di pallone e piccoli atti da teppisti, ad esempio, ma allo stesso tempo cercano di creare un mondo per sé, un modo di esistere per gli altri.
Questo modo di esistere è la fondazione di una radio libera, Radio Magia, per l’appunto. Questa radio, organizzata alla bell’e meglio sfruttando le frequenze di altri radioamatori e le cantine dei propri fondatori, nasce con l’idea di evadere e di far evadere le persone da un paese come il nostro, che in quel periodo sta attraversando un momento di grande tensione politica. Basti pensare, infatti, che sullo sfondo si presenta l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse: il primo espressione del vecchio che andava estirpato; le seconde rappresentazione di un nuovo che si è fatto reazione in quanto gli ideali della rivoluzione culturale del Sessantotto ben presto sono stati traditi.
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I membri di Radio Magia – e con loro lo stesso Aiolli – si interrogano, dunque, sulla possibilità di una nuova idea di futuro e libertà. Si chiedono in pratica se sia possibile creare un nuovo modo di esprimersi ed essere liberi, ma soprattutto di cambiare la realtà.
L’altra faccia del Lungo Sessantotto
Come si legge in un recente articolo-intervista per «La Repubblica», Radio Magia di Valerio Aiolli – che rispetto al precedente romanzo Nero ananas (Voland, 2019) ha toni più disincantati e meno cupi – narra una faccia diversa del Lungo Sessantotto:
[…] è come se l’istinto mi spingesse ad avere uno sguardo più leggero di uno stesso periodo: mi staccavo dall’altra narrazione [Nero ananas] e mi buttavo in questa, dove il sogno esiste in modo più colorato”. E la cui leggerezza è dettata da un gruppo di adolescenti, esemplari di una generazione alternativa rispetto a quella (già dragatissima dalla letteratura e dal cinema) dell’impegno politico. Una generazione spaesata, in ritardo per riconoscersi nei movimenti […].
Se in Nero Ananas si parlava degli Anni di piombo, più precisamente della strage di Piazza Fontana, qui, invece, lo stragismo e la tensione politica restano molto sullo sfondo. Non è un caso, però, che Aiolli abbia affermato nell’articolo che la lavorazione di Radio Magia sia stata parallela a quella di Nero ananas.
Si possono definire i due romanzi speculari, in quanto Aiolli ha voluto mostrare due facce del Post-Sessantotto: una faccia violenta, cupa, frutto di un’estremizzazione degli ideali di rivoluzione da un lato (Nero ananas) e una più rassegnata, disincantata e che cerca di ridisegnare il mondo attraverso una strada più individuale e meno coinvolta politicamente (Radio Magia), come afferma Aiolli nella già citata intervista:
Il mutamento rapido delle cose aveva prodotto le sue istituzionalizzazioni già a metà degli anni Settanta anche a livello studentesco […]. Nei licei i nuovi iscritti trovarono un gruppo leader già formato e pronto a indottrinarli con una liturgia alla quale o aderivi, anche se non corrispondeva alla tua visione del mondo, o cercavi altri spazi d’espressione.
«Radio Magia»: reazione all’impegno politico a colpi di hertz
Questa affermazione di Aiolli ci permette di parlare di un aspetto fondamentale del Lungo Sessantotto: la ricerca di nuovi punti di riferimento e di nuovi valori per vivere in un contesto di alta tensione politica, in cui era difficile sopravvivere con idee diverse da quelle precostituite:
Radio Magia. Volevamo incantare il pubblico, farlo evadere da una realtà pesante, dalla lotta armata e dalle crisi di governo, dai lacrimogeni e dalle svalutazioni ricorrenti, proprio come le altre radio libere permettevano a noi stessi di staccarcene. Radio Magia ci sembrò una scelta appropriata.
Leggendo queste righe, viene in mente un altro romanzo simile, che in Italia non ha avuto la fortuna che merita: La nostra casa del tedesco Bov Bjerg (Keller, 2017). Come l’Auerhaus – luogo condiviso della Germania degli anni Ottanta che prende il nome dalla storpiatura della canzone Our House dei Madness –, anche la Radio Magia dei protagonisti offre – usando le parole di Bjerg – «un simulatore di futuro senza crolli, né morti o feriti» e un «gretto escapismo» contro i diktat dei movimenti studenteschi e di grande parte della cultura del tempo politicamente impegnata, tra cui «le lagne insopportabili dei cantautori italiani».
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L’intento della Radio Magia dei protagonisti è principalmente quello da un lato di dare ai protagonisti un modo di esistere agli occhi degli altri, ma dall’altro quello di creare un «linguaggio diverso rispetto ai Peppo, agli Inca e agli Sdei», parlare cioè riuscendo a «esprimere la rabbia, l’indignazione e la speranza in un mondo migliore» al di fuori dell’impegno politico e della violenza di quegli anni.
Una generazione di scazzati intrappolati
Ben presto, però, sui protagonisti aleggia l’ombra dell’assassinio di Aldo Moro, il cui corpo è stato rinvenuto nel bagagliaio della Renault rossa di via Caetani a Roma. Questa tragedia porta i protagonisti alla consapevolezza dell’incapacità di dominare appieno la realtà e di evaderla attraverso l’immaginazione. Le persone a poco a poco cominciano a non nutrire più fiducia in questa piccola isola che è Radio Magia, poiché la tragedia della Storia porta via con sé tutto e chiede un passaggio obbligato all’età adulta e alla realtà.
In questo senso Radio Magia ricorda un altro grande romanzo italiano che ha cercato di fare i conti con quegli anni tentando di creare un linguaggio che cercasse di costruire un nuovo mondo e un nuovo sistema di valori per compensare il vuoto lasciato dalla delusione del Sessantotto: Il tempo materiale di Giorgio Vasta (minimum fax, 2008). Nelle seguenti parole dell’autore palermitano, infatti, si può riconoscere la stessa crescente delusione di Caputo e dei suoi amici:
[…] La conseguenza del nostro modo di esprimerci – il tono sommesso, il volume basso, ogni parola piatta, ritagliata, calma eppure sediziosa – è che i nostri compagni di classe non ci riconoscono. Per loro siamo delle anomalie.
Il Nucleo Osceno Italiano e l’alfamuto ideati da Giorgio Vasta e la Radio Magia di Aiolli hanno in comune la crescente consapevolezza di essere «inadeguati, troppo flebili, troppo chiusi». Nemmeno la loro reazione escapista è servita a creare un mondo migliore. Rifiutare qualsiasi ideale politico e impegno è risultato, dunque, fallimentare, perché purtroppo per i protagonisti di Radio Magia – ma anche per quelli del Tempo materiale – stare al mondo significa ascoltarlo, nel senso di accettare gli ideali dei vincitori e i drammi e la violenza a cui ci sottopone la Storia.
«Radio Magia» e le frequenze della macrostoria
Con Radio Magia (acquista) Valerio Aiolli racconta con disincanto e leggerezza il fallimento della ventata di rivoluzione promessa dal Sessantotto e spazzata via durante gli Anni di piombo. L’autore fiorentino ben riesce a rappresentare l’impossibilità dell’utopia, consistente nel cercare di cambiare il mondo per il meglio attraverso un linguaggio che esula dalla violenza e dalla polarizzazione politica. Le vicende di Caputo e dei suoi amici ben simboleggiano l’intreccio fra le piccole storie e la grande Storia, quella che ti chiede subito di aprire gli occhi di fronte alla realtà, che volente o nolente ti chiede di impegnarti e di schierarti nel bene e nel male anche al costo di farti travolgere dalla violenza del reale.
Quando avevamo aperto gli occhi sulla realtà, la realtà era risultata già occupata. Intasata dai Peppo, dagli Inca, dagli Sdei, dalle ragazze in maglione chiaro e occhi scuri che gli facevano da coro dicendoci che eravamo una generazione di scazzati. Da chi gridava, da chi rapiva, da chi sparava. La nostra risposta, la nostra proposta, la nostra vita – quel sentirci diversi, quel non allinearci, quella radiomagia – era inadeguata? Troppo flebile, troppo chiusa?
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