Malinconiche rimembranze

«Rami secchi» di Mario Soldati

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«Rami secchi» di Mario Soldati
Copertina di «Rami secchi» di Mario Soldati

Affermare che Mario Soldati fu tra i migliori narratori italiani del secolo scorso non basterebbe per comprendere la dimensione totalizzante che esercitava su di lui la scrittura. Questo perché l’essenza di narratore, nel caso di Soldati, abbracciava più arti, contornava diverse discipline. Egli era amante della storia in sé, fosse essa un romanzo, un racconto, un reportage o un film.

Ritroviamo questa necessità di narrare, conseguenza della sua natura di favellatore, anche in Rami secchi, raccolta di racconti pubblicata per la prima volta nel 1989 da Rizzoli. Oggi, Minimum Fax ripropone Rami secchi in una nuova edizione, parte della collana Minimum Classics, corredata da un attento commento di Paolo di Paolo e da un esauriente profilo bio-bibliografico di Raffaello Palumbo Mosca.

«Rami secchi»: passi lievi sul sentiero del passato

Sono dieci i racconti che Mario Soldati raduna in Rami secchi. In ognuno di essi, l’io narrante coincide col Soldati-personaggio, il quale a sua volta corrisponde quasi del tutto al Soldati-autore. Si tratta perlopiù di riflessioni sul passato – ricordi di viaggi, impressioni di incontri, epifanie di oggetti – che si rifrangono sul presente. Tuttavia, queste riflessioni non sono mai struggenti, ma soffuse soltanto di una lieve malinconia.

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Alcuni racconti poggiano su basi più fantasiose, mentre altri si rifanno chiaramente a eventi reali della vita dell’autore. Ne La dea, ad esempio, uno scrittore ritiratosi sul Lago Maggiore per completare un romanzo incrocia una donna misteriosa. Incuriosito dal suo aspetto e soprattutto dalla sua irraggiungibilità, inizia a indagare per scoprire chi sia questa donna e da dove venga, ma gli sarà concesso un solo – fatale – incontro. Con la tipica incisività del ritratto, Soldati così descrive l’apparizione femminile:

Sempre chiuse le sottili labbra, era seria, annoiata e principesca in tutte le sue espressioni: non soltanto nella fissità del profilo, ma anche nei gesti rari e lenti, e nel modo stesso di camminare, rigida, eretta, senza mai guardarsi intorno, come convinta di non avere niente in comune con tutti gli altri esseri umani.

Il successo, invece, è una storia dove ai ricordi dei soggiorni montani con gli Alpini e con la famiglia si inframmezzano ponderazioni letterarie, dalla Commedia dantesca sino al contemporaneo Alberto Moravia. Soldati ci offre un ritratto inedito di Moravia, conosciuto ben prima che la fama lo sommergesse:

Avevo conosciuto Moravia sulla spiaggia di Viareggio, un agosto o un settembre, del 1919 o del 1920, quando lui non si chiamava ancora Moravia, e io sapevo soltanto che il suo nome era Alberto, e lo chiamavo Alberto senza preoccuparmi di conoscere il cognome. Eravamo ragazzini: lui dodici anni, io tredici; oppure lui tredici e quattordici io. Ma come avrei mai potuto, in quel tipo magro, pallido, serio, diffidente, di poche parole, prevedere un futuro scrittore?

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La sorpresa di un verde-chartreuse, infine, parte da un’operazione agli occhi che ridona la vista a Soldati, ora in grado di percepire nuove sfumature e nuove luci della sua quotidianità, per poi lasciarsi andare a ricordi dolceamari legati al cinema. Le figure di Nino Rota e Federico Fellini dominano la scena – e le parole di Soldati si rivelano una testimonianza di valore nel quadro del cinema italiano di quel tempo.

L’ultimo Soldati

La dualità soldatiana (anche se, più che di dualità, sarebbe più corretto parlare di pluralità) si declina sia sul fronte romanzesco – come, ad esempio, con il bizzarro La verità sul caso Motta e i thriller sentimentali e conturbanti Le lettere da Capri e La sposa americana – sia sul fronte della prosa breve, inaugurata dall’inquieta prima raccolta Salmace, proseguita coi deliziosi Racconti del maresciallo, La messa dei villeggianti, fino alla coppia di novellieri 55 novelle per l’inverno, 44 novelle per l’estate. Rami secchi (acquista) era rimasto finora quasi nell’ombra, nonostante rappresenti un tassello rilevante dell’ultima fase poetica soldatiana. È una raccolta di esemplare raffinatezza e semplicità: ogni racconto è uno squarcio nel passato, venato di malinconia, cosparso di ironia, popolato da personaggi vivi e vividi.

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Caterina Cantoni

Classe 1998, ho studiato Lingue e Letterature Straniere all’Università Statale di Milano. Ammaliata da quella tragicità che solo la letteratura russa sa toccare, ho dato il mio cuore a Dostoevskij e a Majakovskij. «Viale del tramonto», «La finestra sul cortile» e «Ritorno al futuro» sono tra i miei film preferiti, ma ho anche un debole per l’animazione. A volte mi rattristo perché so che non mi basterebbero cento vite per imparare tutto ciò che vorrei.

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