È già stato scritto tanto su Cos’è uno scandalo, la raccolta di inediti di Roland Barthes che L’Orma editore ha pubblicato lo scorso dicembre. Eppure qualcosa può ancora essere detto se si considera l’opera come un’autobiografia mediata, ovvero il tentativo di mettere ordine nel percorso magmatico del semiologo francese. Non solo una raccolta di scritti, dunque, ma l’occasione di leggere Barthes dal margine, al di fuori del mito (auto)costruito.
«Cos’è uno scandalo»: tra letteratura e critica
Cos’è uno scandalo è, in effetti, il frutto di una ricerca che è al tempo compendio critico e inno al potere della letteratura. Una sonda su quell’occhio prolungato e privo di potere capace di cogliere l’inafferrabile muovendo dai dettagli, fuori da ogni condizionamento. Ne è esempio la rilettura de Lo straniero di Albert Camus, originariamente pubblicata su «Club» nell’aprile 1954.
Meursault non è né attore né moralista: non discetta su ciò che fa; compie i gesti di tutti, ma quei gesti familiari sono sprovvisti di ragioni, di alibi, cosicché è la brevità stessa dell’atto, la sua opacità, a rivelare la solitudine di Meursault. Quello che ci propone Camus non è più un atto di risonanza, invischiato nel tessuto delle cause, delle giustificazioni, delle conseguenze e della durata: è un atto puro, incoerente, staccato dagli altri atti, sufficientemente solido per manifestare una sottomissione all’assurdità del mondo, e sufficientemente breve per incarnare il rifiuto di compromettersi nelle illusorie giustificazioni di questa stessa assurdità.
Questo, come altri testi, mostrano una capacità di tenuta fondata su un’idea di letteratura scevra da ideologie. La stessa che trama il saggio Appunti su André Gide e il suo Diario (1942, su «Existences»).
C’è chi sceglie una vita e non se ne discosta; altri la cambiano di continuo, ogni volta con la stessa convinzione. Gide ha scelto di rimanere a un crocevia, costantemente, fedelmente, e al crocevia più importante, più battuto, più intersecato che ci sia, dal quale passano le due strade più significative dell’Occidente, quella greca e quella cristiana. Ha voluto questa situazione totale, in cui poteva ricevere entrambe le luci ed entrambi i respiri.
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La frammentarietà come cifra stilistica
Per resistere in questa posizione, dichiara un Barthes giovane e già centrato, Gide «ha avuto bisogno di una certa durezza, quella di cui sono fatti i capolavori». Non è difficile cogliere in queste pagine alcuni riferimenti al suo modus operandi, a quella frammentarietà che ne costituisce la vera organicità. Così, se del pensiero su Gide preferisce presentare gli appunti «come sono, senza tentare di nascondere la discontinuità», allo stesso modo Il piacere dei classici (1943) mostra una serie di citazioni che anticipano la cifra dei Frammenti (1977).
Ogni scritto – anche tra quelli più “appesantiti”, in cui si avverte la lectio di Sartre – è un prezioso osservatorio sul Barthes critico, essendo il versante semiologico totalmente escluso. Pur nell’eccesso di teoria di alcuni interventi, Cos’è uno scandalo (acquista) dimostra ancora una volta come i testi “laterali” siano la via più autentica per conoscere la complessità di un autore. Il percorso meno orientato per sondarne le stratificazioni.
Corpo e metodo in «Cos’è uno scandalo»
Il discorso attorno ad alcuni temi, la topica del corpo che si articola in molteplici direzioni (dalla resurrezione della carne a una sorta di bio-potere relazionale) svelano una continuità metodologico-riflessiva ben evidente in scritti dedicati al fumetto, alle arti figurative, alla fotografia come mezzo di indagine del movimento.
In questa prospettiva, più che un’orografia del pensiero, l’antologia risulta un tentativo di afferrare il Barthes minore, quello della «scrittura tenue per scelta morale». Non un Divo, cavaliere della modernità, ma intellettuale acuto, capace di scardinare quel che sta dentro a ogni costrizione: formale, stilistica, ideologico-morale.
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