Come coltivare una rosa bianca

«Romanzo naturale» di Georgi Gospodinov

9 minuti di lettura
«Romanzo naturale» di Georgi Gospodinov

Con Fisica della malinconia, Georgi Gospodinov è riuscito – in un raro e fortunato caso – a far coincidere il parere favorevole della critica con quello del pubblico. Di diritto è entrato a far parte degli scrittori europei di culto contemporanei e l’uscita di ogni suo volume è da concepirsi come un lieto evento. Dopo quelli che molti considerano il suo capolavoro, sono seguite altre raccolte di racconti e addirittura un’antologia poetica. Ma è nel 2021 che Gospodinov ripete il successo con Cronorifugio, vincitore dell’International Booker Prize e del Premio Strega Europeo.

Edizioni Voland – con cui sono editi tutti i libri dell’autore – ripropone Romanzo naturale, il suo primo lavoro pubblicato inizialmente nel 1999 e proposto per la prima volta in Italia nel 2007. Già si percepiva il talento atipico dello scrittore bulgaro, destinato poi a sbocciare nei decenni successivi.

Romanzo naturale è un’elegante eccezione nel panorama letterario. Un volume che è specie anomala, mai vista dalla maggior parte dei lettori. Una singolare pianta che cresce incontrastata eppure timida, appartata, in sentieri secondari:

Per le piante riconosco di non poter dire nulla. Posso solo supporre che la loro scrittura abbia la forma delle foglie, delle radici, dei petali, dei pistilli.

Come costruire un microcosmo autosufficiente

È complesso scrivere un romanzo senza una trama, anche perché – in effetti – Romanzo naturale ne sembra sprovvisto. La sorgente è ben visibile e il fiume scorre palesemente sotto i nostri occhi, quando ecco che d’un tratto scompare e noi ne possiamo solo presagire il rumore sotto i nostri piedi. Poi, senza preavviso, il fiume ricompare: eppure la sua mancanza nel nostro campo visivo non ha procurato nessun turbamento, anzi. Nello scorrere delle pagine abbiamo imparato a interiorizzarlo. Questa è la trama di Gospodinov, nulla di palese ma dannatamente reale.

L’autore sente il battito delle cose e da quest’impulso di vita è capace di costruire delle fondamenta – un insieme omogeneo di storie – tanto solide quanto semplici a ricalcare lo stampo di certe radici. Stesse radici che poi s’abbeverano dal fiume della trama. Quindi, la storia – o meglio, le storie – nasce da un impulso granitico, addirittura austero, scevro però da qualsiasi retorica. La sua retorica consiste nell’elemento labile e malleabile della trama. Gospodinov, perciò, ricostruisce un microcosmo autosufficiente estremamente compatto e diffuso.

Leggi anche:
«Cronorifugio»: la genealogia del presente

Come raccontare una storia di sole impressioni

L’idea di Gospodinov è un’idea basilare – rischiosamente banale –, tragica nella sua quotidianità: un uomo e una donna si stanno separando. Eppure, Gospadinov in Romanzo naturale dissemina indizi durante la lettura, tracce da decifrare quasi fossimo degli esperti rabdomanti: dall’inizio che si apre con un sogno – in cui piccioni ignari vengono decapitati con vinili lanciati da una finestra – alla dolorosa consapevolezza che il figlio che la donna ha in grembo non è del marito:

Venire a sapere che tua moglie è incinta di un altro è una situazione che capita una volta nella vita, no, una volta in molte vite. Salti su, imprechi, rovesci il tavolo, rompi il vaso da fiori preferito. Bisogna approfittare del momento. Fuori lampeggiano fulmini. Sta per scoppiare una tempesta. Il mondo non può rimanere indifferente in un momento simile. Niente del genere. Ho cercato molto lentamente di accendermi una sigaretta. Non sapevo cosa dire. Mia moglie sembrò colpita dal mio silenzio e se ne venne fuori che le avevano mostrato l’ecografia, piccolino, un centimetro e mezzo. […] E ogni giorno che passa tua moglie si trasforma in madre sotto i tuoi occhi, e tu non puoi diventare padre.

Ed ecco che la sigaretta diventa un’ossessione, funzione primaria quanto il respiro. Ecco che il protagonista – o i protagonisti? – sono alla ricerca incessante di storie, dove furiosamente annotano ogni secondo la cronistoria della propria vita. Tutto, in effetti, per poter scappare un’altra volta a ciò che il reale minaccioso rappresenta. Luc Dietrich scriveva: «la terre n’est bonne que lorsqu’elle est blessée».

Come inventare una lingua senza le parole

Le impressioni del marito tradito e deluso trovano un presunto lettore nell’io narrante, direttore di una rivista. Un giorno sulla propria scrivania arriva il manoscritto di un autore indefinito. Potrebbe essere il testo del marito oppure i deliri documentati di un altro soggetto che interviene, invasivo ed invadente, durante la narrazione con le sue elucubrazioni sulla letteratura, la natura e i bagni (?!). All’inizio almeno, Gospadinov cerca di donare una struttura – per quanto illusoria – al lettore, fornendo anche una schematizzazione tramite la classificazione dei capitoli. Ma poi tutto coincide. I detriti contaminano l’acqua e per poterla bere non resta al lettore che risalire il corso del fiume e una volta arrivato constatare.

Ma in Romanzo naturale (acquista) non c’è una necessaria comprensione, solo un marchingegno capace di galleggiare nell’aria, di sostenersi autonomamente senza l’ausilio di nessuno. E questa struttura – se così si può chiamare – muta versione a seconda della prospettiva. Al suo interno – per prendere in prestito le parole di Giovanni Mariotti –: «I legami si sono smagliati… il senso è diventato oscuro… le parole sono morte e volate via a una a una raggiungendo i dizionari e le enciclopedie d’origine… poi, smembrate in lettere, sono tornate negli alfabeti… finché anche gli alfabeti sono morti».

Una stele di Rosetta di cui sappiamo l’alfabeto, il linguaggio, ma non riusciamo a tradurre. Il lettore non po’ che rimanere affascinato davanti a una maestria di questo tipo. Un romanzo che ammicca a certi ambiziosi esperimenti di Georges Perec, cercando però – in questo caso – di diluire gradualmente la parola. Diceva Zhuangzi – ripreso poi nel volume –: «Le parole servono per afferrare il senso, appena il senso è stato afferrato, le parole possono essere dimenticate. Potessi trovare qualcuno che ha dimenticato le parole, per parlare un po’ con lui». E come si arriva a questo traguardo? Facendo indigestione di parole, cercando di scrivere:

un romanzo sfaccettato che assomigli allo sguardo della mosca. E come questo pieno di dettagli, pieno di cose piccolissime e invisibili a occhio nudo.

E poi nulla avrà modo di essere importante. Bisogna perdersi nei vari capitoli – come nelle stanze dell’albergo de L’anno scorso a Marienbad di Alain Resnais – prima di uscire allo scoperto e dimenticare persino il proprio nome. Forse, però, lo riscopriremo in quel sentiero secondario, dove cresce una singolare pianta che qualcuno anni fa ha lasciato crescere e ha il dono di riportare alla nostra memoria certe storie. Forse trattasi della rosa bianca: «dicono sia simbolo di silenzio e discrezione».

Segui Magma Magazine anche su Facebook e Instagram!

Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

Lascia un commento

Your email address will not be published.