Ladri di vita

«I Saccheggiatori» di William Faulkner

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«I Saccheggiatori» di William Faulkner

William Faulkner amava definire la sua immaginaria contea di Yoknapatawpha “il piccolo francobollo della mia terra natia”. In questo regno di fantasia, costruito su fondamenta d’inchiostro, s’avvicendano e s’intrecciano le esistenze di uomini di frontiera, parabole del profondo sud degli Stati Uniti di inizio Novecento.

Tra queste storie di vita c’è anche quella protagonista de I Saccheggiatori, l’ultimo libro dell’autore americano, premiato con il Pulitzer nel 1963. Il romanzo torna nelle librerie italiane nella nuova traduzione di Carlo Prosperi per La Nave di Teseo.

I saccheggiatori

Missisipi, 1905. Lucius Priest è figlio di una ricca famiglia di proprietari terrieri. Seppure giovanissimo, cresce nel credo che anche ad undici anni debba saper «occupare un posto nell’economia del mondo». La sua ordinaria quotidianità viene improvvisamente sconvolta dall’arrivo della nuova macchina del nonno, un ruggente accenno di modernità nell’angusto orizzonte di provincia.

Nemmeno l’ombra del dubbio, da come viaggiava veloce e quanto era grossa; nessuna sorpresa nel vedere che racchiudeva un’automobile; ci incrociammo, mescolando la nostra polvere in un’unica gigantesca nuvola simile a una colonna, a una stele eretta e pensata per ricoprire la terra con l’adombramento del futuro: l’andirivieni come di formiche, l’incurabile fregola dell’acconto; il meccanizzato, mobilizzato, ineluttabile destino dell’America.

L’assenza della famiglia, in trasferta per partecipare alle esequie di un congiunto, fornirà a Lucius l’occasione per un’uscita clandestina al fianco di Boon Hoggambnbeck, “il tuttofare bianco, coraggioso, schietto e totalmente inaffidabile” e Ned William McCaslin, “il cocchiere nero, scaltro, querulo e piuttosto spregiudicato”. La Winton Flye li condurrà a Memphis, catapultandoli in una serie di avventure rocambolesche tra prostitute e sceriffi, ladri e ferrovieri, gare di cavalli e scommesse.

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Un’odissea improvvisata

Inizia così un’odissea improvvisata. Il giovane Lucius, erede dell’Huckleberry Finn di Mark Twain, deve presto mettere in discussione l’innocenza del suo animo fanciullesco per sopravvivere nel mondo degli adulti. Mentre un imprevisto si accumula sull’atro, si rende conto di aver detto ormai più bugie di quante si credesse capace di inventare. Desidera disperatamente tornare indietro e risvegliarsi da questo sogno bizzarro. Ma ormai è troppo tardi, non c’è più spazio per l’immaginazione. La realtà è travolgente e Lucius deve imparare a fronteggiarla senza istruzioni:

Perché dovresti essere pronto e preparato per l’esperienza, la conoscenza, il sapere: non preso improvvisamente a randellate nel buio come da un brigante o da un bandito. Avevo solo undici anni, ricorda. Nel mondo ci sono cose, circostanze, condizioni che non dovrebbero esserci ma ci sono, e non puoi eluderle e anzi, non le eluderesti nemmeno se potessi scegliere, poiché fanno anch’esse parte del Moto, del partecipare alla vita, dell’essere vivi. Solo che dovrebbero arrivare con delicatezza, con decoro. Invece ero costretto a imparare troppo e troppo in fretta, senza alcun aiuto; non avevo un posto dove metterle, tutte quelle cose, nessun recipiente, una casella pronta ad accoglierle senza dolore e lacerazioni.

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«Sapevo troppo, avevo visto troppo»

Nel 1962, con la pubblicazione de I saccheggiatori (acquista), Faulkner rompeva una tradizione. Per la prima volta, un autore affidava alle ultime pagine un racconto di formazione “tardivo”, riversando nella storia la saggezza dell’esperienza. A parole sue, questo romanzo non era altro che “una reminiscenza”. La prosa densa metteva di nuovo alla prova il lettore, invitandolo ad abbandonarsi alla complessità dell’intreccio narrativo e della polifonia dei suoi personaggi. Ancora oggi leggere Faulkner è una sfida. Eppure, a più di sessant’anni dalla pubblicazione, non resta che accettarla ancora una volta.

Era troppo tardi. Forse ieri, quando ero ancora un bambino, ma non ora. Sapevo troppo, avevo visto troppo, non ero più un bambino: l’innocenza e la fanciullezza erano perdute per sempre, per sempre sparite da me.

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Costanza Valdina

23 anni, nata a Perugia, laureata in letteratura americana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. La descrivono come un’instancabile lettrice, un’incurabile cinefila e una viaggiatrice curiosa. Negli anni si è innamorata della scrittura e del giornalismo, ispirata dall’ideale che “pensieri e parole possono cambiare il mondo.”

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