Innamorati di J.D. Salinger

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J.D. Salinger

Il 27 gennaio 2010 moriva, a 91 anni, uno degli scrittori più misteriosi ed enigmatici di tutti i tempi: J.D. Salinger. L’autore, noto ai più per il suo capolavoro Il giovane Holden, aveva scelto una vita eremitica e non pubblicava nulla dal 1965, pur avendo continuato a scrivere fino alla fine. Scrivere solo per sé stesso, libero dall’ossessione della pubblicazione a tutti i costi.

Chi era J.D. Salinger?

J.D. – all’anagrafe Jerome David – Salinger nasce a New York il 1° gennaio 1919 da una famiglia di commercianti. Fin da subito, però, sente di non voler seguire le orme paterne, in nome di una bruciante vocazione per la scrittura. Com’è facile immaginare, il padre non condivide la sua scelta: perché rinunciare a un’attività già avviata in nome di quell’enorme incognita che è la carriera nel mondo dell’editoria? Il giovane Salinger si iscrive comunque al corso serale di scrittura della Columbia University, tenuto da Whit Burnett, direttore della rivista letteraria Story. Burnett intuisce il talento dell’allievo e pubblica sulla rivista un suo racconto, The Young Folks – non prima di averne rifiutato un altro, seppur valido, solo per abituare Salinger a gestire i rifiuti, una componente inevitabile della carriera di uno scrittore.

J.D. Salinger insegue a lungo il sogno della pubblicazione, che sembra realizzarsi nel 1941, quando la sua agente Dorothy Olding gli comunica che il prestigioso New Yorker ha accettato il suo racconto Slight Rebellion Off Madison. Di lì a poco, però, gli Stati Uniti entrano in guerra e la pubblicazione viene annullata: il racconto è infatti considerato troppo frivolo, inadeguato al momento. Lo stesso Salinger viene chiamato alle armi. Poco prima della sua partenza Burnett gli dà un consiglio che si rivelerà cruciale nella sua carriera: Holden Caulfield, il protagonista di Slight Rebellion Off Madison, risulterebbe sacrificato in un racconto. Merita un romanzo, anche se Salinger non si è mai cimentato con la narrativa lunga. Dieci anni dopo, quel romanzo sarà proprio Il giovane Holden, che consacrerà il suo autore.

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L’esperienza della guerra segna profondamente J.D. Salinger, tra i primi soldati americani a entrare in un lager nazista e assistere con i suoi occhi all’orrore della Shoah. Le conseguenze della guerra sul piano psichico sono ben descritte dallo scrittore nel suo racconto Per Esmé: con amore e squallore. Malgrado le forti difficoltà iniziali, tornato in patria Salinger ricomincia a scrivere, riprendendo prima di tutto un discorso interrotto anni prima: nel 1946 esce finalmente Slight Rebellion Off Madison. Alla fine degli anni ’40 escono diversi racconti – molti dei quali vedono protagonista la numerosa famiglia Glass –, fino alla pubblicazione nel 1951 de Il giovane Holden.

È un trionfo, è tutto quello che Salinger ha sempre desiderato. O forse è fin troppo. Nel giro di qualche tempo si fa sempre più insofferente verso la fama e si ritira a Cornish, lontano da New York, dove i fan in visibilio lo fermavano per strada di continuo. Tempo qualche anno e Salinger rinuncia non solo alla vita mondana, ma anche a pubblicare le sue opere. D’un tratto capisce che la pubblicazione, chimera inseguita per tutta una vita, non è tutto. Ciò che lo rende uno scrittore è, banalmente, solo la scrittura di romanzi e racconti, come gli aveva insegnato Burnett anni prima. Gli iniziali rifiuti degli editori non hanno scalfito la sua condizione di scrittore; non la scalfirà nemmeno la sua decisione di scrivere solo per sé stesso.

Per iniziare: «Il giovane Holden»

L’ideale per muovere i primi passi nell’universo di J.D. Salinger è Il giovane Holden (acquista), di cui consigliamo la vivace traduzione italiana del 2014, a opera di Matteo Colombo. Il libro è considerato un caposaldo per chi ama i romanzi di formazione ma, per il suo linguaggio molto colorito, è andato incontro alla censura in diverse aree degli Stati Uniti. Eppure, se consideriamo che Holden è un sedicenne che si ribella al mondo senza un motivo ben preciso – come tutti gli adolescenti, d’altronde – non possiamo che apprezzare il realismo del linguaggio scelto da Salinger e la sua immensa capacità di trasporre per iscritto un’oralità che non sembra mai artificiosa.

Espulso da scuola per l’ennesima volta, il protagonista Holden Caulfield decide di non tornare subito a casa, ma di vagare alcuni giorni per New York, da solo. I genitori ancora non sanno dell’espulsione e lui tratta le giornate prima dell’inizio delle vacanze di Natale come un’anteprima della vita da adulto, in cui non deve rendere conto a nessuno. Il lettore viene trascinato nell’universo di un ragazzo che non si sente più un bambino, ma che al contempo disapprova l’ipocrisia degli adulti e si ripromette di vivere diversamente.

È contraddittorio, Holden, come tutti gli adolescenti. In lui convivono rabbia, idee utopistiche, domande stravaganti (la più celebre: dove vanno d’inverno le anatre del laghetto di Central Park, quando questo ghiaccia?). Holden vive ogni momento – anche quelli in apparenza più banali – dei pochi giorni in cui si svolge il romanzo con intensità, senza il disincanto della vita adulta.

– Dimmene una.
– Una? Una cosa che mi piace? – ho detto. – Ok. […]
– E comunque mi piace adesso, – ho detto. – Questo momento, intendo. Stare seduto qui con te a fare due chiacchiere e scherza…
– Ma questa non è veramente una cosa!
– Eccome se è veramente una cosa! Certo che lo è! Perché diavolo non lo sarebbe? La gente non crede mai che una cosa è veramente una cosa.

E alla fine cosa gli rimane di questa insolita avventura? Un primo assaggio del mondo dei grandi, un sentimento che non conosceva: la nostalgia. Con la schiacciante consapevolezza che, se ci si apre agli altri, «poi comincia a mancarvi chiunque».

Per proseguire: «Per Esmé: con amore e squallore»

Fa parte della raccolta Nove racconti (acquista), pubblicata nel 1953, che riunisce alcuni racconti usciti sul New Yorker, su Harper’s e su World Review nel corso dei cinque anni precedenti. Per Esmé: con amore e squallore è tra i più interessanti, per due motivi.

È in primis molto forte la correlazione a livello autobiografico tra Salinger e il protagonista del racconto, un soldato americano in Europa per la Seconda Guerra Mondiale che rimane profondamente segnato da questa esperienza. Molto particolare è però anche la tecnica narrativa scelta dall’autore. Per una metà il racconto è narrato in prima persona, mentre per l’altra Salinger sceglie la terza persona: il protagonista parla di sé stesso come del Sergente X. È interessante notare che questo cambio di focalizzazione coincide con la descrizione dell’esaurimento nervoso del protagonista, causato dagli orrori cui ha assistito. La guerra ha cambiato il protagonista del racconto, che non è più lo stesso uomo di un tempo, al punto di perdere anche la sua identità. Non avrebbe senso usare la stessa focalizzazione.

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La storia è incentrata sull’incontro tra un soldato americano e una ragazzina inglese, Esmé, che rimane affascinata da lui quando scopre che è un aspirante scrittore. Gli commissiona un racconto che parli del suo argomento preferito: lo squallore. Dopo questa insolita richiesta, Esmé dona al soldato un orologio appartenuto a suo padre e gli augura di «tornare dalla guerra con tutte le sue facoltà mentali intatte».

Un augurio smentito poche righe dopo, quando ritroviamo il protagonista come Sergente X e ci rendiamo conto fin da subito che le sue facoltà mentali sono tutt’altro che intatte. La sua vita in frantumi si rivela la storia di squallore che era destinato a scrivere a Esmé. Esteriormente è distrutto, ma dentro? C’è un barlume di speranza per lui? Forse, come leggiamo in questo passaggio in cui il narratore paragona tra le righe il Sergente X all’orologio ricevuto in dono. Per il momento, però, gli manca il coraggio di scoprirlo.

Passò molto tempo prima che X potesse metter via il biglietto, e si decidesse a tirar fuori dalla scatola l’orologio del padre di Esmé. Quando finalmente lo fece, vide che il vetro s’era rotto durante il viaggio. Si chiese se l’orologio fosse, a parte questo, intatto, ma gli mancò il coraggio di caricarlo e vedere se funzionava.

Innamorati di J.D. Salinger: «Un giorno ideale per i pescibanana»

Per innamorarsi in via definitiva di J.D. Salinger consigliamo il primo dei suoi Nove racconti: Un giorno ideale per i pescibanana. Si tratta di un’opera enigmatica fin dal titolo, che sfoggia un insolito neologismo coniato dall’autore americano. Non un racconto immediato – per questo ne suggeriamo la lettura a chi già conosce il mondo di Salinger – ma testimonianza del suo raro talento narrativo. Un giorno ideale per i pescibanana è costruito con la tecnica del narratore esterno: tutto viene raccontato come da una persona totalmente estranea ai fatti, che non sa nulla dei personaggi e del loro vissuto e si limita a descrivere quello che vede. Il distacco che si crea tra narratore e personaggi richiede all’autore una notevole maestria per portare il lettore a empatizzare con i suoi personaggi; J.D. Salinger riesce alla perfezione nel suo intento.

Il racconto narra l’ultimo giorno di vita di Seymour Glass, poeta con disturbi psichici, durante una vacanza in Florida. Dapprima viene presentata la moglie Muriel, al telefono con la madre. Le due donne parlano degli strani comportamenti di Seymour: la suocera teme che possa fare un gesto inconsulto, mentre la moglie è convinta che la situazione non sia grave. Nella sequenza successiva troviamo Seymour, intento a parlare con una bambina, Sybil, di misteriose creature marine: i pescibanana. Nella sua condizione, la piccola Sybil è l’unica persona con cui riesca a instaurare un vero rapporto.

Rientrando in albergo, la sofferenza emotiva di Seymour si acuisce, al punto che discute senza motivo con una sconosciuta in ascensore e, in camera, recupera una pistola e si suicida. La scena finale, l’unica in cui Seymour e Muriel sono insieme, è di una rara potenza evocativa, malgrado il distacco del narratore esterno.

Il giovanotto guardò la ragazza addormentata su uno dei letti gemelli. Poi si avvicinò a una valigia, l’aprì, e di sotto a una pila di mutande e canottiere trasse una Ortgies automatica calibro 7,65. Fece scattare fuori il caricatore, lo guardò, tornò a infilarlo nell’arma. Tolse la sicura. Poi attraversò la stanza e sedette sul letto libero; guardò la ragazza, prese la mira e si sparò un colpo nella tempia destra.

In copertina:
Artwork by Madalina Antal
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Francesca Cerutti

Classe 1997, laureata in Lingue per l’impresa e specializzata in Traduzione. Caporedattrice di Magma Magazine, sempre alla ricerca di storie che meritino di essere raccontate. Dopo aver esordito nel 2020 con il romanzo «Noi quattro nel mondo» (bookabook), ha pubblicato nel 2023 la raccolta di racconti «Pretendi un amore che non pretende niente» (AUGH! Edizioni).

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