Lunghe code, stand affollati, borse cariche di libri. È così che ci piace ricordare la XXXVI edizione del Salone Internazionale del Libro. Cinque giorni con 222.000 persone, 7.000 in più rispetto al 2023. La prossima edizione sarà dal 15 al 19 maggio 2025 e la regione ospite sarà la Campania.
«Abbiamo reso reale quello che immaginavamo, che ciascuno di noi desiderava intorno al libro, alla letteratura, alle nostre vite immaginarie» ha detto la direttrice Annalena Benini, un nuovo capitolo per il Salone del Libro che ha portato l’attenzione su moltissimi temi per lettrici e lettori di ogni età per scoprire le mille sfaccettature del mondo, della letteratura, della nostra contemporaneità. Il Salone di Torino, è chiaro, è anche politico: lo dimostrano le manifestazioni pro-Palestina bloccate all’ingresso, le parole di Zerocalcare – «A noi che siamo testimoni di quello che sta succedendo in Palestina ci verrà chiesto conto del fatto che non stiamo fermando il massacro» – e la scelta dell’autrice Valeria Fonte di rinunciare alla presentazione del suo romanzo Vittime mai per offrire uno spazio ai pro-Palestina.
Già assaliti dalla nostalgia, vi raccontiamo qualche incontro a cui abbiamo assistito.
Come legge chi scrive?
Alessandro Piperno, curatore della sezione Romanzo del Salone del Libro, ha scelto di organizzare una serie di incontri-dialoghi con cinque scrittori per indagare sul rapporto tra lettura e scrittura.
Sabato 11 maggio a rispondere alle domande è la scrittrice e traduttrice – nonché curatrice editoriale della casa editrice La Tartaruga – Claudia Durastanti, una delle penne più incandescenti del panorama contemporaneo.
Alla domanda di rito – «La lettura è di sprone o di intralcio, quando si cerca di scrivere un romanzo?» – l’autrice risponde che è «una splendida e necessaria interferenza». Se da un lato ci sono autori che la mettono in crisi durante la fase di stesura, come Roberto Bolaño, dall’altro ci sono autori che fanno «venire fame e voglia di scrivere», come Don DeLillo. Nel complesso: «La lettura trae impulso ed energia da ciò che leggo» e l’ispirazione si nasconde tra le righe della sua narrazione espressiva, spirituale, che non può fare a meno degli autori che ha amato.
Inevitabile spostare la conversazione verso il tema del ruolo dell’editor e del traduttore: chi governa la materia riserva una particolare attenzione al valore delle parole. Durastanti, che nel suo lavoro di traduttrice si è misurata con grandi maestri classici e contemporanei, paragona la traduzione all’attività di un detective, che investiga, studia e analizza per trovare la soluzione del mistero. Il rapporto fra traduzione e scrittura, prendendo spunto dalle parole di John Berger, non è un rapporto binario, «c’è una voce sommersa che è il traduttore a trovare».
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Cento anni di Franz Kafka
In occasione del centenario dalla morte di Franz Kafka, anche il Salone del Libro ha organizzato una serie di iniziative in concomitanza anche con le uscite di diverse case editrici. Fra i più interessanti figura indubbiamente il dialogo fra il biografo Reiner Stach e l’illustratore Nícolas Mahler, moderati da Mauro Covacich.
Stach, autore della monumentale biografia su Kafka in tre volumi edita da Il Saggiatore, consegna ai lettori e agli ascoltatori un ritratto inedito non solo dell’uomo ma anche della sua epoca. Mahler con il suo A tutto Kafka, edito da Clichy (acquista), cerca una strada alternativa con il disegno. Partendo dalla rappresentazione dell’autore dà vita a una serie di aneddoti poco conosciuti. L’idea è quella di costruire un puzzle di immagini per riscoprire il flusso della vita e dell’opera. Un disegno che riprende gli schizzi dello stesso Kafka e, come la sua scrittura, procede per sottrazione. Un minimalista, come precisa anche Stach, capace di cambiare prospettiva e dotato di una accentuata vena empatica. A detta di Covacich, la letteratura per Kafka è scavo, rottura: uno studio continuo che permette all’autore della Metamorfosi di immergersi nei suoi alter-ego. Un gioco di specchi, in cui il riflesso non è un ritratto alterato di sé bensì un ruolo. Ruoli che diventano fondamentali per restituire la genialità di uno degli autori più importanti del Ventesimo secolo.
Paul Lynch racconta «Il canto del profeta»
L’irlandese Paul Lynch porta al Salone Il canto del profeta (acquista), già vincitore del Booker Prize e candidato al Premio Strega Europeo. Lo scrittore, già celebre grazie alle pubblicazioni precedenti sempre a cura di 66thand22nd, descrive in dialogo con Paolo Giordano il suo acclamato romanzo come «un libro di forza, nato successivamente a un periodo di crisi.» Il romanzo, ambientato in un’Irlanda alternativa, narra di una paese che sprofonda in un totalitarismo di estrema destra, che a sua volta deflagra in una guerra civile. Il punto di vista è quello di una famiglia complessa e stratificata, i cui membri assumono uno specifico ruolo e l’ambiente casalingo diviene specchio fedele delle menti della popolazione coinvolta.
A un primo impatto potrebbe sembrare un libro politico, ma in realtà non lo è. Si tratta una storia contemporanea a ricerca di una verità e una condizione umana senza tempo. I romanzi politici, a detta dell’autore, contengono lamentele e vogliono che le cose cambino. Questo è un grido di sofferenza di quello che siamo e di quello che si ripetete ciclicamente nella storia. Per Lynch la fine del mondo accade continuamente e Il canto del profeta ne è una coraggiosa e lucida testimonianza.
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«A Beautiful Nothing»: il primo romanzo di Enrico Terrinoni
Tra le centinaia presentazioni del Salone figura anche quella di Enrico Terrinoni, sicuramente il traduttore italiano più autorevole sull’opera di James Joyce. Per l’occasione, però, non presenta un volume curato e tradotto da lui sullo scrittore irlandese o su altri, bensì il suo primo romanzo.
Edito da Edizioni Atlantide, A Beautiful Nothing (acquista) è un noir che al proprio centro vede e contempla la letteratura. Un libro capace di aggrovigliare trame apparentemente invisibili e di giocare con il mistero come nelle migliori prove del genere. Le vicende di un vecchio accademico outsider si intrecciano con quelle di un giovane allievo. Entrambi si trovano a fare i conti con un misterioso soggiorno romano avvenuto più di un secolo fa: quello di James Joyce, rimasto nella capitale per sette mesi e sette giorni del 1906 per ripercorrere le tracce di Giordano Bruno. Come suggerisce Edoardo Camurri, il romanzo permette a Terrinoni di avanzare teorie, supposizioni e intuizioni che non avrebbe potuto avvallare in un testo accademico. Questo rende A Beautiful Nothing anche un testo critico sui generis dai risvolti mistici ed esoterici. Un noir che è anche riflessione, studio, ma soprattutto conoscenza.
A cura di Serena Votano, Lorenzo Gafforini e Roberta Marini
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