La letteratura ha il grande potere di dare dignità agli ultimi, agli oppressi e agli emarginati: persone la cui vita è in balìa di qualcosa di più grande di loro, che sia la società in cui vivono oppure il loro destino. Ci sono autori che sanno dare voce alla marginalità attraverso una lingua autentica e originale, che spesso attinge alla tradizione dialettale. Fra questi Graziano Gala, che lo scorso aprile ha pubblicato Sangue di Giuda (Minimum Fax), il suo romanzo d’esordio dopo la sua raccolta di racconti Felici diluvi (Musicaos Editore, 2018).
La trama di «Sangue di Giuda»
Il protagonista del romanzo di Gala è un signore anziano di cui nessuno – nemmeno lui stesso –, ricorda il nome, ma che tutti chiamano Giuda, come il traditore di Gesù, segno di un’«infamia che m’accompagna sempre come na vacca al macello».
Egli vive solo e contro tutti in un paese qualunque del meridione dal nome Merulana. Vive con il fantasma del padre Santino, rinchiuso nell’armadio, il gatto Ammonio che «piscia a tutte ’e vanne e l’odore d’ammoniaca accà dintra è parte integrante d’o corredo», la nostalgia per la moglie ’Ngiulina, che non sa dove sia andata a finire. Il protagonista convive con i pregiudizi, lo scherno e la cattiveria degli altri, in particolare la figlia Rosina, che non gli fa mai vedere i nipoti e lo considera un peso tranne quando gli sottrae i soldi della pensione.
Tutti questi sono elementi di una storia straziante e commovente di un uomo alla ricerca del suo nome, della sua dignità, ma anche della compassione di persone disposte ad ascoltare la sua sofferenza attraverso una lingua sporca e sgrammaticata, ma al contempo sincera e autentica.
Dare voce alla marginalità
Le intenzioni di Sangue di Giuda si possono riscontrare in questa dedica: «in memoria di Lelio Baschetti e Antonio Stano, per il poco che può un romanzo». Il primo era un docente veneziano trovato morto mummificato nella sua abitazione nel 2018. Il secondo, invece, originario di Manduria, considerato lo “scemo del villaggio” per alcuni problemi psichici, morì nel 2019 vessato dalle baby gang del posto nell’indifferenza generale dei vicini di casa.
Lelio Baschetti e Antonio Cosimo Stano sono espressione di un’umanità vissuta ai margini a cui Graziano Gala si ispira nel narrare le vicissitudini del protagonista. Lo scrittore pugliese, infatti, vuole dare voce al dolore e alla solitudine degli emarginati: a tutti coloro che sono stati derisi, vessati e oppressi, ma che possiedono una propria dignità.
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Sono da intendersi in questo senso, da un lato, la struttura del romanzo, che si apre con una sezione dedicata ai nomi dei personaggi principali, omaggio all’oralità e alla dimensione dell’ascolto teatrale che meglio esprime la disperazione del protagonista; dall’altro, la lingua usata, un idioma sgrammaticato, frutto di un miscuglio di dialetti meridionali come pugliese e il campano.
L’uso di questa lingua sporca e dialettale, infatti, ricorda ciò che affermava Pier Paolo Pasolini, secondo il quale il dialetto preserva l’innocenza di un popolo nei confronti della modernità. Il linguaggio di Giuda è, quindi, universale: grida il dolore degli ultimi e chiede agli altri di essere ascoltato, poiché solo la compassione può dare salvezza a un’umanità che rischia di scomparire di fronte a una società cinica, spietata, come quella di Merulana.
Merulana: comunità di miseri e oppressi
Merulana, il cui nome è un chiaro omaggio a Carlo Emilio Gadda, è «nu classico paese meridionale, co ’e rivoluzioni che durano quantu na partita ’e pallone», dove le strade sono «na minestra ’e sudore e lacrime». Un microcosmo governato da personaggi pittoreschi e pieni di miseria come la Patuana, Ferlinghetti, «’o vicin’e casa mia, ca è americano o inglese, face ’o stesso», la «sciop assistant» Monia, ’O Calabrese, il carabiniere che scrive la denuncia su «nu scontrino unt’e pizza» e Turi Bunna, ex candidato sindaco di Merulana e omosessuale costretto a prostituirsi vestito da donna.
Tutti questi vivono schiacciati dallo strapotere di Goffredo Mammoni, «’o Presidente, chillu ca possiede pure l’aria ca respiri», proprietario di una catena di elettrodomestici e della squadra di calcio del paese, la Vesuviana. Assieme ai suoi scagnozzi Cé, Rasputìn, Gorbaciòff e StaLìn, è determinato a ottenere i voti di tutti i cittadini di Merulana per diventare sindaco del paese:
Sentu ca lu chiamane ÀN PLÈN, ca sinceramente rittu accussì me pare na marca ’e cereali, e invece vole significare ca ccà nun volene sulu vincere l’elezioni, cosa scontata, ma riunire tutti i voti su n’unico nome: chill’e Mammoni. Il Presidente ci tiene, dice Gorba, sarebbe una cosa mai accaduta, nu plebbiscitu, e face capire ca ’sta faccenda è na questione di vita o di morte pe’ issu e p’u resto d’a confraternita.
Per ottenere l’«ÀN PLÈN», Mammoni si dimostra essere un personaggio senza scrupoli, che tanto ricorda, ad esempio, Cetto La Qualunque, noto personaggio interpretato al cinema da Antonio Albanese, essendo disposto a tutto pur di farsi eleggere, anche regalando al paese un bordello, poiché «’e possibilità erano due, o c’o pallone o co ’e zoccole».
Giuda: la salvezza di un “senza nome”
In tutto questo, la vittima più grande resta Giuda, che non solo è sfruttato dal “comitato elettorale” di Mammoni, ma porta da anni anche il segno delle botte del padre, il marchio dell’infamia, per essersi opposto a un modo di pensare e di agire che pone al centro la violenza e l’ingiustizia:
Giuda me chiamane accà, perché porto in dote a tutti dolore e tradimenti da sessant’anni. Giuda me sentu io, can un riesco a dare na mano allu iattu mio, figurati a difendere i cristiani da tre scemi ca s’hanno pigghiata ’a casa, ’a strad’e casa e ’a dignità.
Quello di Giuda è un grido di aiuto che invoca compassione, senso di comunione e amore: valori apparentemente appartenenti al passato, ma che lo tengono ancora in vita. In questo senso è da intendersi l’esergo della terza parte tratto dalla poetessa Mariangela Gualtieri e dalla sua raccolta Le giovani parole: «Anche se non sa il nome. Salvatelo». Il protagonista cerca incessantemente qualcuno che lo ascolti e gli dia un nome – il riconoscimento, cioè, della sua umanità –, ma tutta Merulana è impassibile e incapace di aiutarlo.
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«Sangue di Giuda», testimonianza di un’umanità derelitta
Nonostante il paese sembri condannarlo alla sconfitta e all’accettazione di un destino che non si può cambiare, l’anziano crede nel futuro, soprattutto in Saverio, un bambino con cui passa spesso il tempo a vedere le repliche di Sanremo condotte da Pippo Baudo, baluardo di speranza per il protagonista.
È proprio a Saverio che il protagonista di Sangue di Giuda consegna una delle ultime lettere alla moglie ’Ngiulina, un gesto che spiega bene il senso di questo romanzo: quello di consegnare la testimonianza di Giuda ai lettori, a chi potrebbe cambiare le cose, mantenere viva la memoria di un’umanità derelitta ma meritevole di compassione, poiché «Merulana, tu si’ sporca e corrotta, ma tieni nu poeta che può tornare a scrivere».
Quel poeta è, in realtà, lo stesso autore Graziano Gala che, con una lingua pasticciata tra italiano sgrammaticato e dialetto meridionale, dal tono nostalgico e compassionevole, racconta in Sangue di Giuda (acquista) l’epopea di un vinto il cui canto di dolore è consegnato alla letteratura, capace di condannare il male e restituire la dignità agli oppressi.
Io in tutta la vita mia nun aggiu mai pensato ’e vincere. Non m’agg’ manco mai applicato, sapendo la fine che fanno quelli comm’a mme. Aggiu solo cercatu nu poco ’e giustizia, pur sapendo ca chistu nun era posto p’e cose giuste. E non so’ stato l’unico a saperlo, ca Turi, Ammonio, Ferlinghetti, ’a Patuana e forse pure Cé, Rasputìn e Gorbaciòff, ognuno a modo loro, hannu pruvatu tutti ’sta sconfitta, chi più chi meno, chi pe’ sempre e chi cu trent’anni ’e carcere.
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