Pattina di notte in giro per la città, fa festa con gli amici, si droga, si ubriaca nei bar e nei magazzini, e «quando mi spoglio mi innamoro». La protagonista di Sanguigna, il romanzo di Gabriela Ponce (Cencellada, 2023), intraprende una relazione e si innamora rapidamente di un uomo che vive nella “grotta”, un posto che puzza di «terra, fango, droga, piscio di gatto». Sta divorziando dall’uomo che più ha amato e odiato nella sua vita ed è un dolore sordo, come lo scorrere del sangue nelle vene.
Gabriela Ponce adotta uno stile di scrittura che ricorda scrittrici come Cristina Rivera Garza, Monica Ojeda, oppure l’italiana Hilary Tiscione. Attraverso un flusso di coscienza torrenziale, l’autrice dà voce a una protagonista senza nome, la cui vita viene oltrepassata da due avvenimenti che più l’hanno stravolta: la scomparsa del fratello morto in un incidente ubriaco ed il crollo del suo matrimonio. Nelle sue lunghe e ipnotiche riflessioni, emerge l’ossessione di riempire i buchi nella sua vita, prima che diventino voragini. Un fobia che diventa morbosa ricerca del sesso.
Ci sentivamo come un corpo solo – osso, sangue e carne – che per qualche istante si smembrava, per poi tornare a unirsi sotto l’irrimediabile necessità del tatto.
Il rosso e il bianco
La donna non è l’unica protagonista di questo romanzo. Anche il sangue, a suo modo, occupa un posto molto importante in questa storia. In particolare nelle prime pagine di questa storia. Il sangue scorre attraverso mestruazioni, sesso, litigi, labbra, incidenti, ferite. Dà forma al desiderio, alla vita, alla fine, ai legami, fino a quando la vita della protagonista cambia drasticamente. Il sangue si ferma, l’amore si ferma, di fronte a una nuova vita. Sangue che toglie e rivendica la vita.
E così il rosso e il bianco, l’accoppiamento di colore che tanto aveva colpito l’immaginazione infantile della protagonista: il seme, liquido bianco, lascia il posto al latte che riempie i seni e che, anche se non c’è più nessuno a succhiarli, non vuol saperne di cedere ai farmaci e andarsene.
Mi è sempre piaciuta molto l’immagine del rosso sul bianco e a quel punto giunge un ricordo improvviso e lontano: l’assorbente di mia mamma, che io da bambina guardavo affascinata.
Leggi anche:
Ritratto di una generazione alla deriva
Leggere «Sanguigna» perché…
Vincitrice del Premio Gallegos Lara per il miglior romanzo dell’anno, Gabriela Ponce, scrittrice, drammaturga e regista nata in Ecuador, a Quito, arriva per la prima volta in Italia grazie a Cencellada, una piccola casa editrice. Attraverso la sua vorticosa scrittura, l’autrice riesce a costruire un ponte diretto tra corpo e linguaggio, attraverso una narrazione intima e viscerale. Come scrive Monica Ojeda: «Questo libo è selvaggio. La prosa di Ponce è piena di passione, cioè di desiderio dolore. Ecco perché si sente così vivo, come un cuore sanguinante che pulsa dentro la testa».
In Sanguigna (acquista), tradotto da Sara Papini, ci si muove tra la sensazione di abbandono e la certezza di essere amati, attraverso un linguaggio che da erotico e convulso si fa lirico e poi ironico. La parola dà forma agli impulsi custoditi nel corpo e liberati attraverso la parla.
È come perdersi in un labirinto letterario. Leggere questo libro vuol dire rimanere aggrovigliati in un lungo incubo in cui la prosa da passionale diventa visionaria, spingendo in lettore sempre più in profondità. Di fronte alla scoperta del limite dell’esistenza è inevitabile provare un senso di vertigine, esattamente ciò che si prova di fronte all’amore.
Un romanzo consigliato – al di là della differenza di genere – agli uomini, per comprendere fino in fondo cosa vuol dire vivere nel corpo di una donna. Dedicato a chi sa abbandonarsi al piacere, senza censure né vergogna.
Non abbiamo grandi editori alle spalle. Gli unici nostri padroni sono i lettori. Sostieni la cultura giovane, libera e indipendente: iscriviti al FR Club!