Il 2022 è l’anno di centenari importanti per la letteratura italiana e non. Quest’anno avrebbero compiuto cento anni, per esempio, Pier Paolo Pasolini, Luciano Bianciardi, Beppe Fenoglio, ma anche Raffaele La Capria, venuto a mancare lo scorso giugno.
A livello internazionale, invece, quest’anno si celebra il centenario dello scrittore portoghese José Saramago (1922-2010), primo autore di lingua portoghese a vincere il Premio Nobel per la Letteratura. A dieci anni di distanza dalla morte, il suo pensiero dissidente e – a detta di molti – eretico ancora oggi risulta attuale.
Chi è José Saramago?
José de Sousa Saramago – noto di più per il suo secondo cognome – nasce ad Azinhaga, nella regione portoghese di Alentejo, il 16 novembre 1922. Quattro anni dopo avrà luogo il colpo di stato militare del 1926 organizzato dal presidente Óscar Carmona, che porterà al fascismo portoghese dell’Estadio Novo di António de Oliveira Salazar, elemento importante per l’attività letteraria di Saramago.
L’autore proviene da una famiglia di poveri agricoltori. “Saramago”, che in portoghese significa “ravanello selvatico”, era infatti il soprannome dispregiativo dato al padre, José de Sousa, ed era stato registrato volutamente dall’impiegato dell’anagrafe come secondo cognome per l’atto di nascita dell’autore. Proprio a causa delle difficoltà economiche della famiglia, Saramago si trasferirà a Lisbona nel 1924, dove il padre inizierà a lavorare come poliziotto e dove suo fratello maggiore Francisco morirà a soli quattro anni per una broncopolmonite.
Per via delle ristrettezze economiche, Saramago sarà costretto a lasciare gli studi all’istituto tecnico e intraprenderà diversi lavori come il fabbro, il meccanico e il disegnatore. Più avanti riuscirà a lavorare per dodici anni come direttore di produzione per una casa editrice, dove coltiverà il suo interesse per la letteratura interrotto con la fine degli studi scolastici. Nel 1944 si sposa con Ida Reis, da cui tre anni dopo avrà la loro unica figlia Violante, e nel 1947 inizia la sua carriera letteraria con il suo primo romanzo, Terra del peccato, che Feltrinelli ha recentemente pubblicato per la prima volta in italiano col titolo originale, ovvero La vedova.
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La dittatura di Salazar, però, risulta essere un ostacolo per l’attività giornalistica e letteraria dell’autore, iscrittosi nel frattempo al Partito Comunista nel 1969 e avvicinatosi all’anarchismo e al comunismo libertario. La Rivoluzione dei Garofani nel 1974, che portò alla caduta di Salazar, costituisce un periodo importante per la carriera di Saramago, che può riprendere la sua attività letteraria gettando le basi per un nuovo stile letterario che influenzerà le future generazioni di scrittori e che lo porteranno a ricevere un ampio consenso da parte della critica.
Nel 1988 si sposerà in seconde nozze con Pilar del Rio Gonçalves, con cui Saramago condividerà il resto della sua vita e con cui si trasferirà a Tías, nelle Canarie, nel 1993 dopo le controversie legate alla pubblicazione di Il Vangelo secondo Gesù Cristo, romanzo pesantemente censurato dal governo portoghese. L’autore, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura nel 1998 e nominato presidente onorario dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica nel 2002, muore nelle Canarie il 18 giugno 2010 a seguito delle complicazioni legate alla leucemia.
Lo stile e le opere di José Saramago
Per meglio descrivere le opere e lo stile di José Saramago, è necessario soffermarsi su due aspetti: uno il soprannome – poi diventato cognome – “Saramago” e l’altro la motivazione della giuria del Premio Nobel: «con parabole sostenute da immaginazione, compassione e ironia ci permette ancora una volta di afferrare una realtà elusiva».
Con l’errore dell’ufficio anagrafe, Saramago sembrava destinato fin da subito a diventare un narratore di vicende umane quotidiane universali, raccontate attraverso storie allegoriche che riescono ad andare oltre il simbolico e il tempo passato per raccontare il mondo di oggi. L’autore stesso, infatti, scrive quanto segue nel suo Ultimo quaderno:
Lo scrittore, se appartiene al suo tempo, se non è rimasto ancorato al passato, deve conoscere i problemi del tempo in cui gli è capitato di vivere. E quali sono questi problemi oggi? Che non ci troviamo in un mondo accettabile, anzi, al contrario, viviamo in un mondo che sta andando di male in peggio e che umanamente non serve.
Saramago è conosciuto per il suo pensiero libertario e anarchico, votato a denunciare le ingiustizie sociali e le storture non soltanto della politica, come dimostrano le critiche a Silvio Berlusconi – che portarono Saramago dall’essere pubblicato presso Einaudi a Feltrinelli –, ma anche della religione, come dimostrano le sue critiche verso la Chiesa cattolica, legate soprattutto ai suoi romanzi Il Vangelo secondo Gesù Cristo e Caino.
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Attraverso situazioni irreali e l’uso dell’ironia, Saramago mette a nudo le fragilità dei suoi personaggi e la complessità del pensiero umano. Nessuno, per Saramago, è un eroe, ma sono tutti uomini in balia del proprio destino e delle proprie debolezze. Un altro aspetto fondamentale è lo stile di Saramago, definito “stile orale” e contraddistinto dall’uso irregolare della punteggiatura. Laddove si usano i punti fermi per interrompere le frasi, Saramago usa le virgole per interrompere periodi molto lunghi, mentre non vengono usati i punti interrogativi e le virgolette per delimitare i dialoghi.
Il motivo per cui Saramago utilizza uno stile così irregolare – ma non tanto dissimile dallo stile ipnotico o vorticoso di un László Krasznahorkai o di un W.G. Sebald – è da un lato per rimarcare la vena libertaria dell’autore, ovvero per ribellarsi alle norme convenzionali, e dall’altro per imitare l’oralità. In un’intervista per «Il Messaggero» del 12 maggio 1985, Saramago dichiarava quanto segue:
l fascino proprio della letteratura orale non è incompatibile con lo stile. Due persone che raccontano non sono uguali: ognuna di esse ha il proprio stile. Portando il flusso della narrativa orale nella scrittura si crea una narrativa mista, per così dire: il processo della narrativa orale feconda il processo della narrativa scritta, rendendolo più ricco, più fantasioso, più plastico, prossimo al modo naturale di comunicare, che è quello parlato.
Fra le opere più importanti di Saramago – di cui ora se ne analizzeranno tre nel dettaglio – figurano Una terra chiamata Alentejo, Memoriale del convento, Saggio sulla lucidità, Tutti i nomi, L’uomo duplicato, La caverna, i controversi Caino e Il Vangelo secondo Gesù Cristo, entrambi una riscrittura e reinterpretazione della Bibbia e del Vangelo secondo il confronto fra i vangeli apocrifi e quelli sinottici, e i postumi Lucernario e Alabarde alabarde, quest’ultimo rimasto incompiuto. Saramago, inoltre, è stato anche autore di poesie, di cronache e di diari, quest’ultimi depositari del pensiero politico e sociale dell’autore di Alentejo.
Per iniziare: «Oggetto quasi»
Come ribadito finora, lo stile di Saramago è contraddistinto dalla narrazione di fatti irreali e allegorici capaci di raccontare la contemporaneità dell’autore di Alentejo. Fra le prime opere di Saramago rientrano i meno conosciuti racconti di Oggetto quasi (acquista). Il motivo per cui si consiglia di iniziare da qui è perché ci si trova di fronte a un Saramago più standard, con il piglio dell’oralità, ma uno stile ancora convenzionale, e che, dunque, costituisce l’inizio giusto per conoscere questo gigante della letteratura mondiale.
Qui Saramago raccoglie sei racconti i cui protagonisti sono: un re che ha paura della morte e vuole allontanare i cimiteri dalla città creandone uno grande in un paese di campagna; un uomo che resta intrappolato nella sua macchina; una sedia che marcisce per il tarlo e fa cadere un dittatore facendolo morire; degli oggetti che si ribellano ai loro possessori e un centauro che cerca di scappare dall’umanità, ma che deve presto fare i conti con la sua solitudine.
Questi racconti allegorici ben raccontano fatti dell’attualità di Saramago. Sedia, per esempio, racconta allegoricamente la morte del dittatore Salazar, mentre Embargo tematizza la crisi del petrolio del 1979 a seguito della rivoluzione iraniana, mentre Cose nasconde una critica velata al consumismo e al capitalismo, di cui Saramago è sempre stato un fervido oppositore. Il racconto più straziante – e sotto certi aspetti profetico – è sicuramente Centauro. Attraverso la fuga del centauro protagonista del racconto, Saramago sembra raccontarci quella che dalla fine di Salazar in avanti sarebbe stata la sua vita: quella di un eretico, sempre in contrasto con gli altri, costretto ad autoesiliarsi perché il suo pensiero è considerato diverso.
Da migliaia di anni percorreva la terra. Per molto tempo, finché il mondo si era mantenuto anch’esso misterioso, aveva potuto muoversi alla luce del sole. […] Poi giunse il tempo del rifiuto. Il mondo trasformato perseguitò il centauro, lo costrinse a nascondersi.
Per proseguire: «L’anno della morte di Ricardo Reis»
È proprio l’idea della fuga e dell’esilio che costituisce il perno di L’anno della morte di Ricardo Reis (acquista). Chi conosce la letteratura portoghese sa bene che Ricardo Reis è in realtà uno degli eteronimi di Fernando Pessoa, su cui il famoso poeta voleva scrivere un’autobiografia dandogli una data di nascita e di morte – 1887 e 1936 –, l’educazione gesuita e la professione di medico.
Il romanzo, dunque, è ambientato nel 1936, anno, appunto, della morte di Ricardo Reis. L’Europa sta vivendo un periodo di grande turbolenza politica: in Germania regna il nazismo con Hitler; in Italia vi è Mussolini; in Francia governa il Fronte Popolare, mentre in Spagna siamo in piena guerra civile e in Portogallo è salito al potere Salazar. Ricardo Reis torna a Lisbona dal Brasile in occasione della morte del suo mentore Fernando Pessoa, e in questa occasione si troverà a confrontarsi con un mondo che cambia e che non sembra più appartenergli.
Questo romanzo è venato da un forte sentimento di nostalgia del passato. Ricardo Reis è un uomo che sta valutando l’idea di riprendere l’attività di medico a Lisbona, ma il suo ritorno dal Brasile lo rende uno straniero e dunque un sovversivo. Reis, dunque, trova difficile convivere con gli altri, ma soprattutto trova difficile provare l’amore per Mercenda e Lídia.
Ciò è dovuto al fatto che in realtà il protagonista è solo frutto dell’immaginazione di Pessoa, un autore che rappresenta un sistema di valori che con l’avvento dei totalitarismi ormai sta venendo sempre meno. Ricardo Reis altro non è che la letteratura che deve guardare sempre al passato per far sì che «del mondo possa rimanere anche un volto, uno sguardo, un sorriso, un’agonia». Reis è lo specchio attraverso cui Saramago – e anche Pessoa – osserva il mondo che cambia e che inerme va incontro alla sua caduta.
È il destino, Tu credi nel destino, Non c’è niente di più sicuro del destino, La morte è ancora più sicura, Anche la morte fa parte del destino, e ora vado a stirarle le camicie, a lavare i piatti, se avrò tempo andrò anche da mia madre, si lamenta sempre che non mi faccio vedere.
Innamorati di José Saramago: «Cecità»
L’apice della produzione di Saramago che ben rappresenta lo stile allegorico di cui si è parlato finora è sicuramente Cecità (acquista), trasposto al cinema da Fernando Meirelles nel 2008. Il romanzo è tornato di grandissima attualità in questi ultimi anni a causa della pandemia da Covid-19, in quanto quasi ventisette anni fa aveva messo in luce quelli che sarebbero stati gli stessi problemi emersi in questa nostra pandemia: la solitudine, l’indifferenza e la mancanza di solidarietà fra persone.
Il romanzo è ambientato in una città senza nome, a rimarcare l’universalità di ciò che si sta raccontando. Inizia con un uomo che, fermo al semaforo alla guida della sua automobile, perde improvvisamente la vista: vede tutto bianco. L’uomo viene portato da un medico, che non riesce a spiegarsi le cause di questa strana cecità. Quest’ultima, però, si diffonde come un vero e proprio virus e il governo, per arginare questa nuova epidemia, decide di confinare tutti i ciechi all’interno di un ex manicomio, che ben presto diventerà una specie di città all’interno della città dove viene meno l’elemento umano e dove la cecità conduce gli uomini all’imbruttimento.
In Cecità i personaggi non hanno nomi, ma sono definiti con categorie come “il medico”, “la moglie del medico”, “il ragazzino strabico” oppure “il vecchio con la benda nera sull’occhio”. Questa scelta di Saramago è motivata dal fatto che sono personaggi messi a nudo, privati di una propria precisa identità, messi tutto sullo stesso piano e in balia dello stesso destino.
A livello stilistico e alla luce di quanto appena detto, lo “stile orale” di Saramago risulta più incisivo in quanto Saramago vuole mettere in evidenza un certo pessimismo antropologico in cui tutti sono vittime e carnefici allo stesso tempo e secondo cui il male e l’imbruttimento coinvolge tutti indistintamente come un’epidemia di virus, in questo caso quella della cecità. La società contemporanea per Saramago risponde, dunque, alla legge hobbesiana dell’homo homini lupis in cui si è tutti contro tutti, egoisti e indifferenti verso gli altri, e anche chi ci appare un eroe ai nostri occhi è soggetto all’imbarbarimento.
Perché siamo diventati ciechi, Non lo so, forse un giorno si arriverà a conoscerne la ragione, Vuoi che ti dica cosa penso, Parla, Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.
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