Per Bret Easton Ellis la scrittura è un processo emotivo. Un romanzo non è altro che «un sogno che chiede di essere scritto nello stesso modo in cui ci s’innamora di qualcuno: il sogno diventa irresistibile, non c’è niente che tu possa fare, e infine cedi e soccombi anche se il tuo istinto ti dice di battertela a gambe.»
L’ultimo libro dello scrittore statunitense nasce proprio da questa necessità: rivivere il sogno, immergersi nella storia, abbandonarsi al suo immaginario per comprendere più a fondo. A tredici anni dall’ultima pubblicazione, Ellis torna tra gli scaffali italiani con Le schegge, edito Einaudi nella collana Supercoralli con la traduzione di Giuseppe Culicchia.
Un atto di nostalgia
1981, California. Bret ha diciassette anni e frequenta l’ultimo anno alla Buckley, la scuola della gioventù dorata di Los Angeles. Al centro di questo mondo sfavillante e allucinato, s’intrecciano le esistenze del suo ricco e sregolato gruppo di amici. Ragazzi sfacciati e affascinanti che si trascinano sotto il bruciante sole californiano della Mulholland Drive tra alcolici e cocaina, macchine fiammanti e ville sfarzose.
Eravamo adolescenti, bambini superficialmente sofisticati, che non sapevano davvero nulla di come funzionava il mondo – lo stavamo sperimentando, immagino, ma senza averne cognizione. Almeno fino a quando non accadde qualcosa che ci proiettò in uno stato di esaltata consapevolezza.
L’arrivo di Robert Mallory, un nuovo studente carismatico e misterioso, rompe l’equilibrio della cerchia e trascina con sé una maledizione. Nonostante i ragazzi cerchino di anestetizzarsi con droghe, sesso e feste, si troveranno costretti a rinunciare all’apatia e a fare i conti con una realtà molto più dura e violenta di ciò che si aspettano. Inizia l’incubo: si scatena la furia omicida del Pescatore, un serial killer assetato di giovinezza che si aggira implacabilmente tra le colline californiane.
La fine dell’innocenza
Come ha raccontato Ellis durante la sua intervista per il Circolo dei Lettori di Torino, il romanzo è un atto di nostalgia per la Los Angeles in cui è cresciuto, ma che ora non esiste più. Un testamento, come recita la dedica di apertura, dedicato «a nessuno» se non a sé stesso. «Io scrivo quando un romanzo mi arriva», commenta l’autore, «quando sento del dolore, quando devo tirarlo fuori, liberarlo.»
Tra le pagine si mietono vittime, si consumano violenze e si versa molto sangue. Eppure, l’orrore risiede altrove, nell’asfissiante gioco di ruoli tra i personaggi. Le maschere cadono. Tutti sono protagonisti ed artefici di un incubo collettivo in cui le colpe s’intrecciano come gli eventi che li legano indissolubilmente l’uno all’altro. Ossessione e persecuzione risucchiano Bret e il lettore in una spirale sempre più profonda di paranoia. Il giovane protagonista, eccessivamente soggiogato dal potere della scrittura, inizierà irrimediabilmente a dubitare della propria capacità di distinguere tra realtà ed immaginazione.
E certe volte, quando mi sveglio da uno dei miei sogni su Robert o Matt o Ryan Vaughn o Thom o Susan, mi viene da ricordare che l’autunno del 1981 non è stato il sogno che nei decenni successivi mi è capitato di fingere che fosse. Ma mi sono sempre eclissato ogni volta che ho sentito il richiamo di quelle voci lontane, per andare a cercare il disco con la ragazza biondo platino in copertina, e alzare il volume, e suonarlo forte, chiudendo gli occhi e sdraiandomi ad ascoltare una canzone che parla di sogni.
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Le schegge di Ellis (acquista) parla a sé stesso: è una confessione, un inganno, un incubo, un diario ricolmo di paranoia. Le schegge, le shards del titolo, non sono altro che frammenti sparsi di un’esistenza che Bret prova ad assemblare. Sono indizi di un mistero senza soluzione, ricordi più o meno vividi, cocci di gioventù. «Non mi piacciono i libri in cui viene spiegato tutto. D’altronde, nella vita reale non c’è una risposta a tutto ciò che succede», suggerisce Ellis, «una storia deve poter respirare e mantenere i suoi segreti: è questo ciò che è in grado di renderla un’ossessione.»
Tra le pagine, l’autore si fa personaggio: smette di essere reale, rompe le regole del nostro mondo e si riflette nello specchio deformante della creazione letteraria. Il confine tra Bret scrittore e protagonista è gradualmente più indefinito ed il giuramento di verità iniziale non si rivela altro che un’ulteriore menzogna. Al termine di questa irresistibile avventura narrativa, Ellis abbandona il lettore ad un interrogativo che non trova risposta. Qual è dunque il senso finale, la storia o l’abilità creativa celata nell’artificio letterario?
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