Una riflessione sui misteri del linguaggio

«I segreti delle parole» di Noam Chomsky e Andrea Moro

8 minuti di lettura

Cosa si nasconde dietro le frasi che usiamo? Che mondo è quello del linguaggio? E i linguisti, chi sono? Noam Chomsky e Andrea Moro fanno luce su I segreti delle parole.

Una storia antica

Quella del linguaggio è una storia antica. Una favola a tratti già raccontata, che ci sembra di conoscere alla perfezione, a tratti un mistero incomprensibile, un’equazione senza soluzione. Una cosa è certa: quella del linguaggio è una storia che ci riguarda. Affolliamo le nostre giornate con le parole, ci arrampichiamo su saliscendi prosodici, scavalchiamo confini dialettali e ci perdiamo in labirinti sintattici senza uscita. Qualcuno l’ha guardato da lontano, con sospetto, altri si sono avvicinati e hanno provato a svelarne l’arcano mistero. Altri ancora si sono tuffati nell’oceano del linguaggio, ma anche un oceano a volte non è abbastanza. Si sono lasciati sommergere, scendendo sempre più giù. Sono i linguisti: se rivelano la loro professione le persone storcono il naso, ma non immaginano quante cose si nascondono proprio lì, dietro le parole che usiamo. 

Due linguisti illustri

E sono proprio due linguisti a dialogare in I segreti delle parole, pubblicato da La Nave di Teseo. Uno è la star della linguistica, l’uomo della Grammatica generativa, Noam Chomsky. L’altro è meno conosciuto dal grande pubblico, ma uno dei più noti per gli addetti del mestiere, Andrea Moro. Semanticista, Moro è professore ordinario di Linguistica generale alla Scuola Universitaria Superiore (IUSS) di Pavia e fondatore del Centro di ricerca in neuroscienze. Nel saggio illuminante che è I confini di Babele, Moro presenta un suo studio sull’autonomia cerebrale della sintassi. Tradotto: Andrea Moro si addentra nel mistero del linguaggio, osservando cosa succede nel cervello di chi parla. La linguistica è così, una scienza complessa che si basa spesso su domande simili a quelle dei bambini: che forma ha la grammatica? Qual è il suono del pensiero?  E il linguista, d’altronde, dell’infanzia ha conservato la capacità di meravigliarsi: «È importante imparare a stupirsi di fatti semplici» dice Chomsky al suo ex allievo in I segreti delle parole. Con lo stupore di un bambino, il linguista osserva le fluttuazioni della lingua – un organismo vivo –, analizza frammenti di enunciato, schegge di vetro colorato che compongono il mosaico del linguaggio, entra nella mente del parlante, dipana la matassa che lega la lingua alla cultura e agli stereotipi

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I segreti delle parole: storia individuale e storia collettiva.

Dove inizia la mia storia e dove quella degli altri? potremmo chiederci. Essendo tutti collegati, tutti al riparo sotto l’ombrello del mondo, esposti alle sue contraddizioni, evoluzioni e involuzioni, è inevitabile che la nostra storia personale sia investita da quella globale e che, di tanto in tanto, la nostra piccola vita lasci qualcosa nella storia collettiva. Di sicuro lo fa quella di Noam Chomsky. In I segreti delle parole (acquista), il linguista americano inizia raccontando di un mondo che non esiste più, e quella del linguaggio assume i contorni sfumati di una fiaba che si ascolta in silenzio, per non far svanire la magia.

Prima della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti erano un po’ come una piccola città di periferia. Se si voleva studiare fisica si andava in Germania, se si voleva studiare filosofia in Inghilterra o a Vienna, se si voleva diventare scrittori si andava in Francia.

Prosegue raccontando i progressi scientifici: in sottofondo si sentiva il brusio delle cose che stanno per cambiare, l’entusiasmo di chi crede di essere arrivato al Punto. Era il 1950, Chomsky era l’unico linguista strutturalista americano al MIT di Boston. Sì, c’era anche Jakobson, ma lui proveniva dalla tradizione strutturalista europea. Chomsky ricorda dei pomeriggi di studio con Eric Lenneberg, fondatore della moderna biologia del linguaggio nel 1967. La storia individuale e quella collettiva si allacciano di nuovo. I nomi che è possibile trovare in un manuale di storia della linguistica, nel discorso di Chomsky assumono un volto e una dimensione personale. Lenneberg è semplicemente Eric, il suo compagno di studio. Nel libro si parla della teoria della Grammatica generativa prima, del Programma Minimalista poi. Delle Lectures on Government and Binding – pietra miliare della materia – di acquisizione, movimenti, costruzioni complesse. Un piccolo viaggio nel mondo della linguistica, in edizione tascabile.

Non smettere di dubitare

In linguistica – e Chomsky lo scrive anche nella prefazione di I confini di Babele – «è importante coltivare la capacità di nutrire dubbi». La ricerca non è trovare risposte, ma non smettere mai di porsi delle domande. E il dialogo tra Moro e Chomsky è un flusso continuo di punti interrogativi, in cui l’alunno chiede e il maestro risponde. Delle volte, almeno. Perché in linguistica le risposte sembrano essere sempre troppo poche e un mentore ha la capacità di guardare negli occhi il suo studente per dirgli che non ha una risposta a quel quesito ma che si può sempre trovarla insieme.

Andrea Moro, durante il Festivaletteratura di Mantova di ormai qualche anno fa, paragonò la sintassi a uno di quei maglioni con le greche che ricordano le atmosfere natalizie nordiche. Il linguista, il sintatticista in questo caso, è colui che capovolge il maglione per guardare la trama dei fili, il loro intrecciarsi colorato. Perché il disegno che si vede non corrisponde a quello che sta sotto, nasce da una struttura più complicata. Chiudiamo il saggio di Moro e Chomsky con una domanda: riusciremo mai a scoprire i segreti delle parole? Forse no. L’importante è continuare a cercare. E non smettere di porsi domande.

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Maria Ducoli

22 anni, studio linguistica a Venezia, leggo, scrivo e cerco di sopravvivere alla giornata.

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