L’ossessione per il proprio corpo è la condanna del Ventunesimo secolo. Lo disprezziamo associandolo a difetti che suonano come condanne, lo idolatriamo fino a renderlo un tratto distintivo. Una cosa accomuna entrambi: il desiderio. Ed è sulla dinamica del desiderio che Eve vuole indagare, quando decide di incontrare Olivia.
L’esordio di Lillian Fishman, Servirsi (Edizioni e/o, 2022), si muove nel campo dell’intimità e della sessualità, del consenso e del potere all’interno della coppia. Una narrazione contemporanea che segue quanto romanzi come Atti di sottomissione di Megan Nolan hanno iniziato ad analizzare ma senza aggiungere soluzioni, approda in un vicolo cieco, in una narrazione incompleta poiché scevra di risposte nette.
Eve, personaggio principale e voce narrante, è fidanzata da anni con Romi, l’unica certezza nella sua fragile vita da quasi trentenne e ragazza queer. Il padre non ha mai accettato la sua eterosessualità, in adolescenza le dirà: «È troppo facile avere relazioni con qualcuno che è come te». A distanza di anni non fa che appesantirla, è un fantasma che dalla periferia si fa sentire solo per accertarsi se è ancora fidanzata con una ragazza, se ha cambiato lavoro. La chiama e si scontra con la dura realtà che è Eve: nessuna certezza sul suo futuro, lavorare in un bar le piace tanto quanto stare con Romi, una ragazza perfetta di cui può fidarsi ciecamente. Una donna che nonostante tutto sente di amare? Ma è “nonostante” che si ama?
Sarà forse questa vita incolore a spingerla verso il mondo virtuale. Eve non resiste alla tentazione di pubblicare online, senza ripensamenti o timori, le fotografie del suo corpo: «In quegli scatti si intravedeva qualcosa che andava oltre il desiderio, qualcosa di più duro e umiliante».
È quando decide di caricare uno di quegli scatti online che conosce Olivia, una ragazza gentile che timidamente le chiede di vedersi. La proposta che le farà durante il primo incontro è intrigante quanto subdola: «C’è un uomo con cui vado a letto, disse. Le tue foto ci sono piaciute, e abbiamo pensato che magari ti andava di incontrarci. Insieme».
Il gioco delle parti
Ma perché? Perché incontrare questa coppia se nella propria vita sessuale tutto procede senza intoppi o malcontenti?
Forse prima devo ottenere ciò che desidero e poi capirò perché l’ho desiderato – o se mi ha portato qualcosa di buono.
Dopo qualche esitazione, Eve decide di conoscere Nathan e da quel momento tutto quello che credeva di sapere rispetto ai propri desideri si dimostrerà essere la superficie di un abisso che è arrivato il momento di sondare. La avvolgono in un vortice ambiguo di erotismo e perversione in cui il sesso diventa uno strumento per confondersi, per misurarsi nel gioco delle parti.
Il desiderio agisce in loro riportando a galla le fragilità, oltre che i piaceri più viziosi. Eve dirà di Nathan che «sembrava pienamente in grado di riconoscere il nostro valore», interpreta i loro pensieri, precede e assolve ogni dubbio, conosce i loro desideri ancor prima di loro.
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Il corpo non è più una prigione
Partendo da queste premesse, l’esordio di Lillian Fishman guida i lettori nella personale scoperta che Eve fa della sessualità istintiva, la confessione di un piacere che ben conosceva ma che per la prima volta le offre la possibilità di trovare una risposta ai suoi quesiti sul potere, sulla vanità, sul possesso. Una narrazione indiretta che mira a essere un monologo, un invito alla personale interrogazione del lettore: riusciamo a soddisfare tutti i desideri che proviamo? Anche quelli che abbiamo paura di provare?
Eppure non potevo negare l’importanza della mia esperienza con loro. Era come se tutte le domande che mi stavano più a cuore, e dentro le quali mi sentivo sola come non mai – sesso, desiderio, genere, attenzione, intimità, vanità e potere – fossero disposte in bella mostra su un tavolo in mezzo a noi tre.
Se inizialmente era Olivia a incuriosire Eve, una donna remissiva e a disagio con se stessa, infine sarà Nathan a liberare il suo corpo. Eve gli sarà eternamente grata per la sua voracità, per il suo modo di fluttuare nel mondo riconoscendo alla sessualità uno spazio ben distinto dall’amore. Ogni corpo è un campo di battaglia, racconta una storia difficile da leggere sulla pelle, che si libera della propria prigione scontrandosi con l’altro. Il sesso è l’unica lente attraverso cui leggersi.
«Servirsi» di Lillian Fishman
Eve si abbandona al caos, accetta di sperimentare la sessualità, il dominio, fino ai confini dell’innamoramento, talvolta del consenso. Servirsi (acquista) si sofferma sulle contraddizioni, sull’inevitabile senso di impotenza ma non va mai oltre.
Consigliato a chi è alla ricerca di una storia in cui i personaggi sprofondano nel sesso spersonalizzante, senza assumere la forma di un harmony vagamente inquietante, tuttavia sconsiglio questo romanzo a chi ricerca un certo tipo di sperimentale narratività trasgressiva. Non ci sono risposte, non aggiunge nulla di nuovo a quanto finora è stato detto. C’è una sottile linea, ben delineata, che resta insuperata: Eve finisce per essere incapace di sfumare i bordi.
Pur avendo una relazione eterosessuale, Eve è sempre stata influenzata da un certo tipo di sessualità socialmente accettabile, l’intreccio di quei tre corpi sarà la porta verso il desiderio d’espressione, un modo per imparare a non avere timore dell’erotismo, snervante e indicibile. Eve comprende che, oltre la differenziazione e il riconoscimento del proprio piacere sessuale, c’è il desiderio assoluto, impellente e complesso, di smascherarsi e “scarnificarsi”, ossia di liberarsi della propria carnale mortalità.
«Il suo era il più grande servizio che mi fosse mai stato reso.»