La sete, il sonno è una prima prova poetica capace di cadenzare i mesi, gli anni con un ritmo poetico che riprende le pagine di un diario. Nella raccolta edita da Fara Editore, Alessandro Burrone suddivide il volume in quattro sezioni, intervallate da tre intermezzi.
Sarebbe riduttivo arginare la silloge a un processo di autoanalisi: infatti l’interrogarsi è necessariamente accompagnato dalla conoscenza, chiave di volta per discernere – e non carpire – il senso del cambiamento.
Dove l’istante diventa il totale
Ogni giorno diventa fondante per lo strutturarsi della nostra persona; la forma inevitabilmente muta, ammettendo delle variazioni – più o meno volute – sul tema. In tale circostanza il poeta deve anche assumere un ruolo di insegnante e critico secondo sensibilità.
Carl Gustav Jung sembra porsi un quesito simile nella prefazione all’edizione inglese dell’I Ching. Così viene ripresa l’affascinante questione relativa alle differenze fra pensiero occidentale e orientale. Burrone stesso si è specializzato nello studio della lingua e della cultura cinese, con particolare riguardo verso la produzione del sinologo Simon Leys.
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In quest’ottica il poeta non «pone ogni cura nel vagliare, pesare, scegliere, classificare, isolare [; piuttosto] racchiude ogni cosa fino al più minuto e assurdo particolare, perché l’istante osservato è il totale di tutti gli ingredienti». Quindi, come scrive l’autore nella raccolta:
La poesia è una forma debole
non fa previsioni analitiche
non cerca qualche cosa
di particolare, è un donarsi
quieto e quindi un cercare
quello che ancora non è
senza sapere se mai sarà.
Le combinazioni di una linea
Proprio come nell’I Ching, il pensiero di Burrone si stratifica nel corso dell’opera. Quella che può sembrare una semplice linea si spezza e da semplici linee si passa a una maggiore differenziazione e nascono combinazioni per raddoppiamento in nuova attesa di un terzo elemento. La concordanza del pensiero sembra così circoscritta, ma in realtà è proprio da tali convergenze che scaturiscono effetti sorprendenti.
Emerge la consapevolezza «come tutto ti precede. Ti prende / tirandoti dal collo». La silloge è un processo di espiazione dalla pigrizia del dolore. D’altronde lo stesso titolo si rifà a un passaggio di Due di Irène Némirovsky:
Certe ferite non sono meno dolorose nei momenti di immobilità. E lui di questo aveva bisogno. Dell’immobilità, della pigrizia mentale, della profonda stanchezza che allontana le inquietudini, i ricordi, le immagini moleste e lascia campo libero solo a desideri pacati ed essenziali: la sete, il sonno.
La gratitudine e la pazienza del poeta
Burrone cerca così una tensione, una via di fuga che possa tuttavia scaturire in un nuovo inizio partendo da sé. Fuggire dall’angosciosa visione del «dopo aver a lungo vissuto, / ti accorgerai di non aver vissuto / un giorno». Nonostante i dubbi e le perplessità attanaglino il poeta non vi è mai un rinnegamento delle proprie scelte. Questo sentimento però non si connota in orgoglio, ma in gratitudine.
Un ringraziamento rinnovato che diviene elogio. La scrittura di Burrone diventa a ragione un perpetuo dono. Per citare dei versi di Ada Negri cari all’autore: «è ineffabile certezza / che tutto fu giustizia, anche il dolore, / tutto fu bene, anche il mio male».
L’abisso diventa foriero di speculazioni. Eppure il poeta riesce nella difficile impresa di trasmettere l’angoscia della scoperta tramite atti o oggetti incredibilmente quotidiani. Un diario, come sopraccitato, che annota tanto con calibrato entusiasmo quanto con accentuati dubbi il proprio lento percorso verso il divenire. Un apprendistato poetico che si sostanzia in una ricca selezione di poesie.
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Nel sorprendente Solidarietà e altre prose inedite di André Gide edito da Via del Vento Edizioni si legge come sia da apprezzare la ricerca dell’autore nella propria opera, anche quand’essa si dilunga apparentemente. Si partecipa così alla «lentezza delle sue scoperte[, esigendo] dal lettore un po’ della pazienza che gli è servita per le sue ricerche». In questo senso proseguono anche le riflessioni di François Cheng, secondo cui:
Il poeta non è il turista che attende ansiosamente il momento propizio per scattare una foto alla montagna; sa che, se cerca l’incontro con la montagna per viverne la bellezza, finisce anche per diventare un interlocutore atteso.
«Perché essere qui è molto»
In La sete, il sonno si delinea chiaramente la paura dell’insuccesso, il terrore atavico del fallimento, del non poter proseguire nel proprio cammino. Spesso Burrone si pone delle domande e solitamente fornisce già al lettore delle risposte, frutto non solo di esperienze personali ma anche di profonde letture. La raccolta si pone anche una piccola enciclopedia di citazioni amate dall’autore. Tanto che il volume corredato da alcune note finali fornisce diverse chiavi di lettura.
In un continuo gioco di assonanze il verso si snoda gradualmente tratteggiando nelle immagini suggestive la sua espressione più sentita:
Perché, dimmi
non fare sul serio, nasconderti
nelle pagine di un diario
e non nelle pieghe del cielo,
del vento,
nel volto di una persona accanto
sospiro queste parole
lasciate come pietre
sul muro a secco di un vecchio orto
incolto, che le trovi un giorno
a sparpagliarle il vento o la mano
di un ragazzino distratto
passando
D’altronde La sete, il sonno (acquista) si configura come un’opera necessaria, passaggio obbligato – ma non scontato – di un percorso intellettuale sempre più maturo. Burrone si spoglia momentaneamente delle vesti dell’accademico per immergersi nelle acque più propriamente poetiche. Eppure porta con sé ancora il profumo di tutti i libri letti, studiati. Con queste premesse viene plasmata una silloge incredibilmente umana nella sua sconcertante sincerità.
Le ansie ancestrali trovano così un’interpretazione personale degna di nota. Tuttavia il messaggio della speranza e del rinnovo aleggia in tutte le pagine. L’autore sembra così ispirarsi ai versi della nona elegia duinese di Rainer Maria Rilke: «Ma perché essere qui è molto, perché sembra / che tutto ciò che è qui abbia bisogno di noi: questo fugace / che stranamente ci concerne». E proprio su queste note La sete, il sonno trova una delle sue massime espressioni:
Quando ho a noia il mondo,
mi nausea il destino e il mio
passo, e mi ascolto respirare
in silenzio, ricordami
che ignoro il fondo della strada
e della sera.
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