Quando si parla di guerra, solitamente si cerca di distinguere subito i buoni dai cattivi. Impresa non facile, poiché anche chi dovrebbe fare del bene per gli altri in realtà conduce una guerra per i propri scopi. Dopotutto, come recitava un vecchio videogioco, «la guerra non cambia mai»: a farne le spese sono sempre i popoli oppressi, che si vedono privati dei propri diritti e dei propri beni.
L’anno scorso al Booker Prize ha trionfato Shehan Karunatilaka, secondo autore singalese nella storia dopo Michael Ondaatje a vincere il prestigioso premio letterario inglese, con Le sette lune di Maali Almeida (Fazi Editore, 2023), un romanzo che parlando della guerra civile dello Sri Lanka del 1989 riflette in maniera più universale sulla natura della guerra, le sue ragioni e le sue contraddizioni.
La trama di «Le sette lune di Maali Almeida»
Le sette lune di Maali Almeida è ambientato nel 1990 in piena guerra civile singalese. Ha per protagonista Malinda Albert Kabalana, conosciuto ai più come Maali Almeida, che si definisce con tre parole: «Fotografo. Giocatore d’azzardo. Puttana». Egli è un fotoreporter freelance a cui piace giocare d’azzardo, ma allo stesso tempo è anche un omosessuale che vive la sua sessualità in maniera clandestina. Il ragazzo si ritrova nell’aldilà senza ricordare per quale motivo, ma sapendo di avere addosso una sahariana, un paio di jeans sbiaditi, una scarpa sola, tre catenine e una macchina fotografica al collo.
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Il protagonista rivela di aver nascosto in una scatola sotto il letto delle fotografie risalenti al 1983, anno di inizio della guerra civile, «foto che faranno cadere governi. Che potrebbero interrompere guerre». Maali, però, ha sette lune – da qui il titolo del romanzo – ovvero una settimana di tempo per parlare dall’aldilà con gli amori della sua vita, ovvero Jaki e suo cugino DD, per rivelare loro dove trovare quelle foto e provare a fermare, così, il conflitto del proprio paese.
«Le sette lune di Maali Almeida»: conversare con i morti
Shehan Karunatilaka racconta la guerra del suo paese in maniera originale. L’originalità sta, ad esempio, nella narratologia, in quanto l’autore adotta una prospettiva in seconda persona, che evidenzia i dissidi interiori di Maali Almeida, pieni di sensi di colpa per le promesse mai mantenute nei confronti delle persone a cui vuole bene – sua madre Lakshmi e DD in particolare – e per aver indirettamente causato la situazione di conflitto civile in quanto, lavorando come fotoreporter freelance, ha fatto da facilitatore di operazioni in zona di guerra.
La scelta di questa seconda persona singolare si trova in perfetta sintonia con il titolo originale dell’edizione indiana del romanzo: Chats with the Dead, ovvero «Conversazioni con i morti». In un’intervista per «Harper’s Bazaar», Karunatilaka ha dichiarato di aver concepito il libro come una serie di interviste di Maali Almeida a dei fantasmi del passato dello Sri Lanka. In questo caso, però, sembra che le conversazioni con i morti siano realizzate anche dai lettori stessi, che confrontandosi con le anime di Maali Almeida e degli altri personaggi si ritrovano coinvolti direttamente nelle vicende narrate, riflettendo e indagando sulle stesse, arrivando a scoprire loro stessi le cause di una guerra che ha coinvolto direttamente o indirettamente sia Oriente che Occidente:
Hai sempre creduto che la voce nella tua testa appartenesse a qualcun altro. Quella che ti raccontava la storia della tua vita come se fosse già successa. Il narratore onnisciente che aggiungeva un commento fuori campo alla tua giornata.
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Le influenze letterarie di Shehan Karunatilaka
L’originalità delle Sette lune di Maali Almeida sta anche nella commistione di generi letterari. La mitologia induista e buddhista si fonda con il thriller, la satira politica, il romanzo di spionaggio e il realismo magico. Karunatilaka è stato accostato dalla critica ad autori come John Le Carré, Raymond Chandler, Gabriel Garcìa Màrquez e Salman Rushdie. Come ha ammesso in un’intervista rilasciata per il Booker Prize, l’autore nutre il debito più grande nei confronti di Kurt Vonnegut, che l’autore chiama “zio Kurt”:
Il disgusto che Vonnegut provava per l’umanità e le barbarie della storia era in sintonia con la disillusione che ho provato per la mia bella isola e gli stupidi miopi che l’hanno distrutta. E la sua abilità di vedere la tragedia attraverso le lenti dell’assurdo, di mescolare generi e modi, e di essere commovente e divertente nello spazio di una frase, è il punto più alto a cui tutti noi aspiriamo.
(Traduzione a cura dell’autore dell’articolo)
Come Vonnegut, Karunatilaka, che per scrivere Le sette lune di Maali Almeida si è ispirato ai romanzi dell’autore di Indianapolis Galapagos e Barbablù, mescola generi letterari differenti e lavora sull’assurdità delle situazioni raccontate per creare nella tragedia l’ironia giusta per farci riflettere sulle assurdità dei conflitti e sulle loro contraddizioni.
Di chi è la colpa nella guerra civile singalese?
Karunatilaka sottolinea fin dall’inizio l’assurdità della guerra civile singalese fra la maggioranza buddhista e la minoranza tamil, che ha causato molte morti, in particolare civili, e un gran numero di profughi. Ciò emerge nella nota al giornalista Andy McGowan, in cui il protagonista denuncia che alla fine, nonostante le diverse fazioni si facciano la guerra, si arriva sempre a sostenere la maggioranza buddhista in cambio di «una fetta di potere», ma in cui invita a «non cercare i buoni, perché non ce ne sono. Sono tutti avidi e arroganti, e nessuno può risolvere niente senza che girino soldi o si alzino pugni».
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Andando avanti col romanzo, la denuncia politica di Karunatilaka si fa sempre più feroce e dissacrante. Non solo le autorità singalesi contribuiscono a coprire i misfatti realizzati dalle attività locali, ma anche i paesi occidentali, in particolare i vecchi colonizzatori inglesi e gli americani, e le organizzazioni non governative si ritrovano coinvolte nel conflitto: invece di collaborare alla pace, essi contribuiscono ad alimentare ancora di più le ostilità.
Le contraddizioni del conflitto
Agli americani, però, l’autore riserva la più feroce delle critiche. Jaki ironizza, ad esempio, sul fatto che il Fondo per la Pace degli Stati Uniti abbia lo stesso budget di quello per la Guerra, mentre Maali fa la seguente riflessione, evidenziando come gli americani, da sempre professatisi campioni della pace e della diplomazia, siano, in realtà, i primi a causare conflitti per i propri interessi:
E poi, solo gli americani vincono il Pultizer. Gli americani, con la CIA che ha sostenuto il massacro in Indonesia; gli americani, che hanno una base navale a sud delle Maldive; gli americani, che hanno inviato squadre di istruttori per addestrare gli specialisti di interrogatori nel cosiddetto Palazzo, in questo cosiddetto paradiso.
Un’altra contraddizione riguarda, invece, l’aldilà stesso, dove Sena, ex capo del Janatha Vimukthi Peramuna, partito singalese di stampo comunista e marxista, afferma che le morti di innocenti degli incidenti che lui e il suo esercito di spiriti ha causato sono necessarie per cambiare le sorti del paese, dimostrandosi non molto diverso da quegli stessi ufficiali dell’esercito che professano la pace, quasi a sottolineare che pure il mondo ultraterreno è indifferente a quanto succede in Sri Lanka e anzi, accetta che muoiano tanti innocenti.
L’impossibilità di salvare lo Sri Lanka da se stesso
Vivendo nell’aldilà e osservando tutto con un certo distacco, Maali comincia a comprendere la verità sul conflitto. Ciò emerge soprattutto durante la sua conversazione con il Prete Morto, il quale dà la responsabilità di questo conflitto non solo ai vecchi colonizzatori – portoghesi, olandesi e inglesi – o «alle superpotenze che ci stanno fottendo adesso», ma anche ai singalesi stessi: «gli inglesi», afferma l’uomo, «ci hanno lasciato con una perla grezza, e noi abbiamo trascorso quarant’anni a riempire quest’ostrica di merda».
Maali, dunque, comprende una verità che ha sempre ignorato fin dall’inizio: che ad alimentare il conflitto non sono stati soltanto gli invasori esterni, ma anche gli stessi singalesi, che remissivi accettano di vivere in un paese lacerato da conflitti multietnici e religiosi e di farsi governare da autorità corrotte che, anche se il paese versa in condizioni pietose, prevede sempre «un budget per fornire a tutti i ministri, fino all’ultimo, tre auto di lusso».
«Tutti i combattenti nemici sono complici», comprende il protagonista, e chi viene a mandato a morire non fa altro che portare al potere re peggiori di quelli malvagi che, invece di fare gli interessi dei singalesi, fa quelli degli stranieri, facendo sprofondare il paese in una crisi senza via d’uscita se non quella di dimenticare tutto per poi sprofondare in un conflitto all’apparenza nuovo, ma mosso da vecchie dinamiche.
«Le sette lune di Maali Almeida»: civiltà che iniziano nel genocidio
Tenendo bene a mente la lezione di Kurt Vonnegut, con Le sette lune di Maali Almeida (acquista) Shehan Karunatilaka ben riesce con un’ironia e una satira sempre più feroce a raccontare l’assurdità della guerra civile in Sri Lanka, un conflitto finito nel 2009 dopo aver causato tante morti fra i civili. Il conflitto singalese non è tanto diverso da altri: ogni conflitto nasce soltanto per consolidare il potere di nuovi e vecchi oppressori; le promesse di pace non sono mai mantenute, e chi interviene dall’esterno lo fa soltanto per proprio tornaconto personale. A rimetterci è sempre l’oppresso, che accetta remissivamente il corso degli eventi, sperando in un cambiamento che, parafrasando Il Gattopardo, avviene affinché nulla cambi.
“Più che vedo, più me ne convinco”, continua la creatura. “La storia è fatta di gente con le navi e le armi che spazza via quelli che si sono dimenticati di inventarle. Ogni civiltà inizia con un genocidio. È la regola dell’universo. La legge immutabile della giungla: anche di questa, fatta di cemento. Lo si legge nel movimento delle stelle e nella danza di ogni atomo. Il ricco schiavizzerà il povero. Il forte schiaccerà il debole”.
Comolimenti per il commento .così articolato e così ricco di riferimenti letterari.