William Shakespeare appartiene a quella categoria di autori cosiddetti “classici”, la cui fama e importanza sono date quasi per scontate. È difficile districarsi fra i numerosi meriti riconosciuti allo scrittore, che si è distinto in modo unico per il suo talento compositivo e linguistico in ambito poetico e teatrale. Il 23 aprile 1616 questo grande drammaturgo lasciava questo mondo per poi, in realtà, rimanervi per sempre grazie alle sue opere.
Ma per un neofita, che magari ha solamente sentito parlare di Shakespeare, quali sono le caratteristiche fondamentali da imparare? Come ci si innamora davvero di un autore così inflazionato? Evitiamo il solito Romeo e Giulietta, per quanto valido, per scegliere non senza difficoltà soltanto tre opere.
Per iniziare: i Sonetti
Di William Shakespeare come persona si sa davvero poco. C’è un intero periodo per il quale ci mancano totalmente notizie sul drammaturgo inglese, tanto che gli studiosi hanno soprannominato questi anni come Lost years, ovvero anni perduti. Eppure la forza della scrittura di questa personalità è talmente prorompente che, come accade anche per altri autori, la questione attorno all’identità passa in secondo piano.
Per comprendere la rivoluzione che William Shakespeare ha fatto della poesia, sono indispensabili i Sonetti. Certo, sono più di cento, e pensare di leggerli tutti è quantomeno ambizioso; rappresentano però una raccolta indispensabile della declinazione di un tema principale nell’opera di Shakespeare: l’amore. Il Bardo lo racconta in tutte le sue sfaccettature: non è mai ad esempio solo tra uomo e donna, ma fluido, incontaminato, profondo.
Un esempio celeberrimo è quello del famigerato Sonetto 20, dove l’oggetto dell’amore del poeta è un “sire-signora”:
Viso femmineo che Natura di sua man dipinse
hai tu, sire-signora della mia passione;
cuore gentil di donna, che però non conosce
la scaltra volubilità consona alle donne false;
occhi più puri dei loro, meno perfidi nel guardare,
che rendono prezioso l’oggetto su cui si posano;
uomo all’aspetto, che assommando ogni fascino,
ruba gli occhi agli uomini e avvince il cuore delle donne.
E per esser donna tu prima fosti creato,
finché Natura nel foggiarti non s’invaghì
e con un tocco in più ti sottrasse a me
dandoti un’aggiunta inutile al mio scopo;
ma poiché forma ti diede per soddisfar le donne,
sia loro il piacer dei sensi e mio il tuo amore.
Una doppia sessualità che, in un’epoca in cui la parola genderfluid è ormai all’ordine del giorno, risulta profondamente affascinante. I sonetti shakespeariani spaziano tuttavia anche tra altri temi, che non riguardano solo eros e amore, ma anche il trascorrere del tempo. Sono come un’enciclopedia dell’esistenza umana, ma in poesia.
Per proseguire: «Amleto»
Essere, o non essere, questo è il dilemma:
se sia più nobile nella mente soffrire
colpi di fionda e dardi d’oltraggiosa fortuna
o prender armi contro un mare d’affanni
e, opponendosi, por loro fine? Morire, dormire…
nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine
al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali
di cui è erede la carne: è una conclusione
da desiderarsi devotamente. Morire, dormire.
Dormire, forse sognare.
Chi non ha mai udito la memorabile frase che fa da incipit alla citazione? Amleto è un’opera profondamente radicata nella cultura mondiale: basti pensare che il classico Disney Il re leone è praticamente ispirato a questa tragedia di Shakespeare. Inoltre, lo scorso 21 aprile è uscito il film The Northman, sempre ispirato ad Amleto (acquista). La tragedia di William Shakespeare racconta del Principe di Danimarca e della sua vendetta per l’uccisione del padre da parte dello zio.
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L’eroe protagonista assaggerà la forza della follia, il dilemma dell’esistenza. È il dubbio il tema che pervade un’opera dalla forza straordinaria, che non può non coinvolgere il lettore. Probabilmente si penserà che sia meglio assistere a una rappresentazione a teatro, cosa senz’altro buona e giusta, oppure gustarsi i video della splendida versione di Vittorio Gassman, uno degli Amleto più bravi che il mondo abbia avuto. Ancora, gli attori britannici o in generale preparati a questo tipo di teatro ne regalano una versione unica. Proponiamo il monologo di Amleto recitato dall’attore scozzese David Tennat:
Tuttavia, la forza di William Shakespeare come drammaturgo sta sì nelle azioni, ma anche nella parola. Sicuramente l’originalità dell’Amleto consiste nella sua metateatralità (si mette infatti in scena un’opera teatrale dentro l’opera stessa), nel gioco tra realtà e finzione. La messa in scena ha una sua ragion d’essere se vista dal vivo; eppure, la forza della parola di Shakespeare esplode nella pagina attraverso monologhi indimenticabili per la loro profonda intensità. Con riferimenti alla filosofia e anche all’astronomia, che ritroviamo anche in Romeo e Giulietta o in Giulio Cesare.
Dubita che le stelle siano fuoco,
dubita che il sole si muova,
dubita che la Verità sia mentitrice,
ma non dubitare mai del mio amore.
Amleto è uno dei personaggi più complessi e meglio scritti, oltre che portati in scena. Esce fuori dalla pagina e sembra di conoscerlo, questo studente, filosofo e contemplativo roso dal dubbio, che non riesce ad agire subito nella sua vendetta, poiché il trauma lo rende meditativo fino all’ossessione (tanto che nel linguaggio comune noi ancora adesso usiamo l’espressione dubbio amletico). Pur essendo un principe, egli si cura poco del bene del suo Stato e vive la morte del padre solo dal punto di vista del trauma personale e del dilemma filosofico, che noi tutti conosciamo. Il dubbio sull’essere o non essere, agire o non agire, sulle conseguenze che l’esistenza stessa ha su di noi, è il fulcro della tragedia shakespeariana e il motivo per cui va letta e amata.
Innamorati di William Shakespeare: «Otello»
A dimostrazione di quanto profondamente sia radicato in noi il verbum di William Shakespeare, dall’ultima opera che consigliamo come ben sappiamo è stata addirittura tratta la nomenclatura di una sindrome. La sindrome di Otello rimanda alla gelosia ossessiva ed è sul dramma della gelosia che apparentemente si fonda tutta questa tragedia. In realtà, il nucleo tematico è anche la cattiveria del personaggio di Iago, uno dei cattivi più iconici della storia della letteratura, che convince Otello di essere stato tradito dalla moglie Desdemona. Nel suo assassinio finale, a opera del Moro, si esprime un’immagine di sangue e macabro furor che tinge tutta la tela delle tragedie shakesperiane.
Specie se pensiamo anche che il teatro elisabettiano deve moltissimo a quello di Seneca, che nelle sue tragedie di ispirazione greca vuole rielaborare i miti per denunciare la distruzione a cui porta l’incapacità dell’uomo di controllare le proprie emozioni. Da stoico, mette in scena il furor dando ai romani ciò che hanno sempre voluto, ovvero sangue e scene cruente (stiamo pur sempre parlando di un popolo che amava vedere divorate persone dai leoni e gladiatori uccidersi).
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Così William Shakespeare mostra il dramma della furia della gelosia attraverso un personaggio, a differenza di Amleto, meno complesso eppure più vero. Non a caso, è soprattutto l’opera lirica ad aver omaggiato questa tragedia più e più volte: esiste un Otello di Gioacchino Rossini, ma anche uno di Giuseppe Verdi. Poiché nella lirica più che mai i drammi personali sono fatti per essere posti al centro, le debolezze diventano motivo quasi di interesse e bellezza.
Piangere sopra un male passato è il mezzo più sicuro per attirarsi nuovi mali. Quando la fortuna toglie ciò che non può essere conservato, bisogna avere pazienza: essa muta in burla la sua offesa.
Il punto fondamentale per cui la parola di Shakespeare è straordinaria è quello di riuscire nella pagina a ricostruire quegli stessi sentimenti, senza che questi siano per forza supportati dalla presenza di attori. I veri attori sono nella mente del lettore che condivide con il Bardo la meravigliosa complessità dell’esistenza, ma da lui e con lui può imparare a meglio interpretarla.
In copertina:
Artwork by Luigi Mallozzi
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