In dozzina al Premio Strega 2023, La Sibilla. Vita di Joyce Lussu di Silvia Ballestra fa riscoprire una figura dimenticata: Joyce Lussu. Il romanzo è stato proposto da Giuseppe Antonelli con la seguente motivazione:
Grazie a Silvia Ballestra, la straordinaria vita di Joyce Lussu rivive nelle pagine di un libro affascinante e imprevedibile com’era lei. Una sorta di valigia a doppio fondo, come quelle con cui superava i posti di blocco nazifascisti. C’è il romanzo di una vita e dentro una vita romanzesca; c’è la grande storia e dentro una grande storia d’amore: quella tra la sibilla Joyce ed Emilio Lussu; c’è la lingua agile del racconto e dentro le tante lingue parlate da una cittadina del mondo. Romanzo «di fame e di vita» e di fame di vita, vicenda di viaggi e di fughe (in questo senso, romanzo d’evasione), emozionante inno alla resistenza, all’indipendenza, alla libertà. Tutto questo è La Sibilla di Silvia Ballestra.
Joyce Lussu, la Sibilla dimenticata
Chi era Joyce Lussu? Non è facile rispondere a questa domanda, trovare il punto da cui partire. Ci prova Silvia Ballestra, che Joyce l’ha conosciuta davvero, fino ad instaurare un’amicizia. Quello che ne esce è una biografia dai tratti saggistici, frammenti di pensieri le conferiscono di tanto in tanto le sembianze di romanzo.
Laggiù, in una bella casa di campagna tra Porto San Giorgio e Fermo, vive una donna formidabile, saggia e generosa, ricchissima di pensieri, intuizioni, toni, bellezza, forza, argomenti, intelligenza. La mia Joyce, la mia sibilla.
Joyce Lussu era, innanzitutto, una bambina timida che aveva attraversato l’Europa con la famiglia, per sfuggire alla guerra. Cresciuta, ma comunque giovanissima, diventa una militante di Giustizia e Libertà. Sarà proprio grazie al partito che conoscerà quello che diventerà suo marito, Emilio Lussu, a cui deve consegnare un messaggio segreto. Questo il primo incontro, in pieno clima partigiano. Di ventidue anni più giovane di lui, Joyce lo definirà «il colpo di fulmine dei romanzi dell’Ottocento». Si perdono di vista, si ritrovano, sono entrambi parte attiva della Resistenza. Lui è un rivoluzionario ricercato dalla polizia di tutta Europa, lei diventa un’esperta di documenti falsi. Saranno proprio questi a portarla a legare con Nella ed Emanuele Modigliani. Nella cambierà il nome in Vera, in omaggio alla rivoluzionaria Vera Zasulic, impiccata dallo zar. Lei, di Joyce dirà: «Chi poteva sospettare nei suoi occhi grandi e chiari un pensiero recondito, sotto quell’aspetto nobile, elegante, signorile, un’agitatrice politica?»
Oltre alla politica, Joyce si occuperà della traduzione di poeti rivoluzionari del Terzo Mondo, tra cui Nazım Hikmet. Le sue scelte autoriali saranno innanzitutto scelte etiche e politiche. Degli scrittori che traduce vuole infatti sapere tutto: come hanno vissuto, il loro rapporto con il denaro, come si sono comportati con le donne e in generale, nella vita. Di una cosa Joyce è convinta: «un vero poeta non canta la rivoluzione, fa la rivoluzione cantando».
«La Sibilla» di Silvia Ballestra, una storia di politica e resistenza
«La donna che meno si è fatta ingabbiare dalla struttura di pensiero e non, del fare politica maschile», ha detto di Joyce Lussu la storica femminista Giancarla Codrignani. Joyce non è arrivata in Parlamento, in Senato o all’Assemblea Costituente perché non era iscritta a un partito di massa, come il Pci, ma ha sempre lavorato per partiti sì forti ma non capillari, come il Partito d’Azione. La politica che interessa a Joyce è quella che parte dal basso, pratica, concreta, effettiva, «la più difficile. Meno visibile, meno prestigiosa e non remunerativa». Durante il governo De Gasperi, Emilio Lussu diventa prima ministro per i rapporti con la Consulta Nazionale, poi senatore. Joyce non vuole fare la «moglie del ministro», prende le distanze dai salotti romani e non smette di far sentire la sua voce, di dare parole alle condizioni degli umili.
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Nel 1950 denuncia le condizioni delle scuole sarde, la denutrizione e il lavoro infantile, partecipa al Congresso delle donne del 1952. È, insomma, sempre in prima linea. Lontana sì dai palazzi di potere, ma vicina alle persone. Così, la sua politica si lega indissolubilmente alla sua letteratura, con una prosa e una poesia vissuta, che «anche quando è frutto di invenzione letteraria, testimonia condizioni umane vere e viste». Tra le sue opere, Il libro delle streghe, Fronti e frontiere, Streghe a fuoco, La nostra casa sull’Adriatico, in cui racconterà la vita di sua nonna.
Joyce Lussu prima di essere stata una politica, una scrittrice e una traduttrice è stata una partigiana, in tutti i sensi. Nella guerra e nella vita, perché essere partigiane significa in primis «di parte», prendere quindi una posizione e non lasciarla mai scappare. Impossibile non pensare alla storia di un’altra donna di parte, Teresa Vergalli, la cui autobiografia Una vita partigiana è stata pubblicata da Mondadori solo lo scorso marzo. «Se ci ripenso, non avevo paura. Forse perché, se vuoi una cosa, la paura devi per forza metterla da parte. Piuttosto, avevo speranza per un domani migliore. Era la speranza a darmi il coraggio, anche nelle situazioni peggiori». Avrebbero potuto essere le parole anche di Joyce Lussu.
La Sibilla madre
Joyce Lussu non ricorda solo Vergalli, ma anche Annie Ernaux nel suo usare la narrativa come mezzo per dare voce alle donne. Farà, infatti, un racconto del suo parto sincero e insolito per l’epoca, visto che era ancora considerato come un tabù. Per altro, si tratta di uno dei primi racconti di parto ospedalizzato, lontano quindi dalle camere domestiche e dalla presenza delle donne della famiglia e del paese strette intorno alla partoriente.
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Joyce non fa mistero nemmeno dell’aborto clandestino a cui deve sottoporsi «a causa della guerra e della povertà». Giovane, immaginava che fosse una bambina. «Stavo immobile, al buio, nel sangue dell’orrenda ferita, rifiutando di muovermi, di parlare, di mangiare; volevo distruggermi, insieme alla mia figlia mai nata». Disperata, provata non solo dall’interruzione volontaria di gravidanza ma anche dal periodo storico, dai rischi che con Emilio correva ogni giorno, meditava di prendere la pillola di cianuro che lei e il marito si portavano appresso per ogni evenienza, perché «nessuno sa quanto può resistere alla tortura, nessuno lo può dire, in anticipo». Quando confida il proprio pensiero al compagno di vita, questo getta in un fosso entrambe le pastiglie, per poi rimettersi in cammino. La Sibilla (acquista) di Silvia Ballestra ci propone, in breve, il ritratto di una donna che va avanti e non smette mai di combattere.
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