Un racconto ancora inedito

«Statue viventi» di Günter Grass

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«Statue viventi» di Günter Grass

Günter Grass non ha bisogno di presentazioni. Già Premio nobel per la letteratura nel 1999, oggi grazie a La nave di Teseo possiamo godere di un suo racconto inedito.

Statue viventi, concepito inizialmente come un capitolo della sua autobiografia, è stato recentemente riscoperto negli archivi personali dalla collaboratrice storica Hilke Ohsoling. Una storia conturbante che ha inizio con la suggestione provocata dalla statua di Uta di Naumburg, collocata nel coro occidentale del Duomo di Naumburg. Un ritratto tragico quello della margravia che si copre parzialmente il volto con la veste, risvoltata a destra. Sembra quasi si protegga dal marito violento al suo fianco, Ekkard II, condannandolo così perennemente al giudizio dei posteri. 

Con la sua sensibilità anche di pittore e scultore, Grass ne rimane talmente affascinato che, oltre le Statue viventi, gli dedicherà una serie di disegni. Così, da quel momento, comincia a intessere un dialogo continuo con lei e con le altre statue di Naumburg. Come Norbert Hanold rimane sconvolto e affascinato da Gradiva, così l’autore e protagonista Günter Grass rimane assorbito dalla storia di Uta: «e così lasciammo che quella pietra scolpita agisse su di noi, o quanto meno eravamo disposti a farlo.»

L’elaborazione dell’incontro tra mito e istinto

Francis Bacon sosteneva che «il problema principale, per l’artista, è riuscire a fare qualcosa che si vede con il proprio istinto». Dopo l’incontro con Uta, Grass è istintivamente chiamato a traslare la sua esperienza su carta, interiorizzando e reinterpretando il fascino non solo della storia, ma anche della donna. L’autore diventa inconsapevolmente ossessionato dalla sua silhouette e, come nel miglior Tabucchi, prima affoga e poi emerge dalle sue speculazioni tra uno stato a metà tra la coscienza e l’incoscienza.

In Statue viventi Grass non si limita a parlare di Uta in quanto tale, ma diventa simbolo, archetipo, di una tensione che va oltre la sensualità: siamo di fronte alla volontà di donare la vita. Grass è un odierno e già anziano Pigmalione che, consapevole delle sue fantasticherie, riconosce le bizzarrie delle sue speculazioni. 

Per riprendere la Gradiva di Jensen, è solo dopo che il mito diventa un vero e proprio incontro. Prima a Colonia e poi a Milano, fuori dai rispettivi duomi, Grass si trova dinanzi alla medesima artista di strada intenta ad assumere le fattezze di una statua gotica. La veste a coprire il volto, il mignolo insolitamente lungo e l’espressione inconfondibile fanno pensare subito alla statua di Naumburg. L’ideale artistico ha preso finalmente forma:

«Senza tempo», aveva detto la guida che accompagnava il nostro gruppo nel coro occidentale. «Quale prodotto artistico della sua epoca, di tutte le statue dei fondatori, Uta di Naumburg è quella più vicina a noi, come se appartenesse alla nostra società, come se si fosse emancipata dai vincoli della sua classe, e avesse davanti agli occhi un obiettivo preciso, anche se per noi solo sfocato.»

L’artista e la fantasia

Come gli amanti de La doppia vita di Veronica di Krzysztof Kieślowski, anche Grass aspetta Uta seduto a un ristorante di passaggio. Le vite errabonde dei due s’incontrano, dopo che lui le ha lasciato un biglietto fra le rose della sua ultima apparizione. Infatti, Uta ha preso le sembianze di Elisabetta d’Ungheria e, come statua vivente, cede rose ai passanti in cambio di qualche euro di fronte a una banca nazionale in Francoforte. 

Per la prima volta non scortata dal ribottante e aggressivo compagno, Grass vede finalmente oltre la statua e ne scorge tutti gli inevitabili difetti. I denti guasti, il viso solcato dalle rughe e il suo blaterare non fanno che disilludere l’artista. Ma Uta non è solo una persona: porta consapevolmente con sé l’aurea nobiliare del suo personaggio

Le storie fra passato e presente si intrecciano, rilevando punti di contatto fra le due e Grass non può fare altro che apprendere, registrare. I suoi disegni di dame, contenuti nell’edizione de La nave di Teseo, prendono forma e si affermano giudiziosamente, rispettando l’andamento della testimonianza. 

Il racconto in Statue viventi (acquista) assume le fattezze di un esperimento apotropaico, anche per scongiurare il declino di una società. Frasi premonitrici di un futuro nefasto anticipano il crollo della civiltà moderna, mentre il suo autore cerca un riparo della sua immaginazione fuori dal tempo.

Nonostante Grass viva quest’esperienza quasi fosse necessaria per il suo vigore artistico, non può fare a meno di pensare a un tradimento verso la moglie, tanto è il trasporto nell’avventura. Ma, per riprendere Freud in Il poeta e la fantasia, è qui che si trova una delle chiave di lettura:

Io sono convinto che il vero godimento dell’opera poetica provenga dalla liberazione delle tensioni della nostra psiche. Forse contribuisce non poco a tale esito il fatto che il poeta ci mette in condizione di gustare le nostre fantasie senza alcun rimprovero e senza vergogna.

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Lorenzo Gafforini

Classe 1996, è nato e vive a Brescia. Laureato in Giurisprudenza, negli anni i suoi contributi sono apparsi su riviste come Il primo amore, Flanerì, Frammenti Rivista, Magma Magazine, Niederngasse. Ha curato le pièces teatrali “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij Evtušenko (Lamantica Edizioni) e “Il boia di Brescia” di Hugo Ball (Fara Editore). Ha anche curato la raccolta di prose poetiche "Terra. Emblemi vegetali" di Luc Dietrich (Edizioni Grenelle). Le sue pubblicazioni più recenti sono: la raccolta poetica “Il dono non ricambiato” (Fara Editore), il racconto lungo “Millihelen” (Gattomerlino Edizioni) e il romanzo “Queste eterne domeniche” (Robin Edizioni). Partecipa a diversi progetti culturali, anche in ambito cinematografico.

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