Un personaggio dall’indubbio fascino tanto che il suo nome è entrato a far parte del linguaggio comune: Giacomo Casanova prima di essere un irreprensibile libertino è un «poeta della propria vita». Conosciuto principalmente solo per le sue proverbiali prove amorose, le furberie e inganni è spesso – anche se erroneamente – utilizzato come sinonimo del fittizio Don Giovanni. In realtà Casanova – oltre ad essere un personaggio reale, abbondantemente documentato – è anche scrittore, filosofo e intellettuale.
D’altronde il Settecento è un secolo di fermento culturale e il nostro eroe non ne è esente. Tuttavia, analizzando la sua opera monumentale si denota come non sempre gli scritti rendano onore al suo artefice. Autore di cinque romanzi, venti commedie e innumerevoli novelle e libelli, Casanova è personaggio particolarmente prolifico la cui opera, oggi, è per la maggior parte dimenticata. Si pensi solo all’eclettico romanzo fantastico-fantascientifico edito inizialmente in Francia nel 1788 dal titolo astruso e altisonante di Icosameron, ovvero Storia di Edoardo e di Elisabetta che passarono ottantun anni presso i Megamicri abitanti indigeni del Protocosmo nell’interno del nostro globo (riedito recentemente dalla Luni editrice).
«Storia della mia vita» e tutto ciò che ne consegue
L’unica opera del seduttore-filosofo veneziano che sopravvive viva e vegeta è sicuramente Storia della mia vita (acquista), dove vengono narrate tutte le sue avventure. Tuttavia, a differenza degli altri scritti, il testo ha avuto una gestazione piuttosto travagliata. Scritto tra il 1789 e il 1798, viene riscoperto e pubblicato solo nel 1825 in una versione censurata. I diritti dell’opera vengono acquisiti da Friedrich Arnold Brockhaus senza che essa venga resa nota nella sua versione integrale.
Dunque, persino gli scrittori di inizio Novecento si trovano costretti a godere di questa testimonianza unica nel suo genere solo tramite un’edizione edulcorata e incompleta. Eppure, la vita del Casanova ha un fascino tale che conquista le menti degli intellettuali più influenti, tanto che alcuni di essi decidono di dedicargli addirittura dei piccoli capolavori. Già nel 1918 lo scrittore austriaco Arthur Schnitzler dà alle stampe Il ritorno di Casanova, lucida riflessione sulla vecchiaia: infatti descrive un Casanova ormai cinquantatreenne – la medesima età di Schnitlzer al momento della stesura – sempre più disincantato nei suoi inganni. Sempre degli stessi anni è la spassosa commedia in versi – in italiano tradotta da Claudio Magris – Le sorelle ovvero Casanova a Spa.
Casanova secondo Stefan Zweig
Perciò, già in quegli anni la giovane intellighenzia mitteleuropea sta riscoprendo quest’uomo dimenticato, morto ingloriosamente in un castello sperduto in Boemia. In questa situazione specifica viene scritto il saggio biografico Casanova, dell’acclamato Stefan Zweig (pubblicato in Italia dalle Edizioni Medusa).
Oggi Zweig è principalmente noto per le sue novelle e il romanzo autobiografico Il mondo di ieri. Tuttavia, oltre ad essere un uomo dall’indubbia cultura, Zweig è anche particolarmente prolifico e i suoi studi e l’innata curiosità lo spingono ad approfondire una miriade di personaggi storici. Di lui si ricorda la biografia di Maria Antonietta, Magellano, Maria Stuarda, Freud, Mesmer ecc. L’elenco è davvero notevole. Fra le varie personalità, vengono analizzate anche quelle di romanzieri, fra cui Stendhal e Tolstoj. E proprio questi due contributi vanno a confluire nella raccolta Tre poeti della propria vita. E accanto a loro, senza troppa esitazione da parte di Zweig, figura il nome di Casanova che, come unica opera di rilievo, vanta solo le sue memorie.
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Questo semplice aneddoto basta per comprendere l’importanza e l’influenza che gli vengono conferiti. E se alla fine della sua esistenza si narra che Casanova, come ultime parole, abbia pronunciato «ho vissuto da filosofo», quest’opera lo riqualifica e riconferma allo stesso tempo. Personaggio controverso che – con il suo consueto stile – giunge addirittura ad affermare in conclusione alle proprie memorie: «sapevo che la gente mi giudicava un cattivo soggetto, ma non me ne importava niente. Se gli altri mi disprezzavano, mi consolavo pensando che non ero affatto da disprezzare.»
Una riflessione di André Gide: l’uomo e lo scrittore
Prendendo in prestito un aforisma di Wilde, che ben si adatta alle nostre esigenze, potremmo dire: «tutto il mio genio l’ho profuso nella vita, e nelle opere ho usato solo il mio talento». Lo stesso fa Casanova. Ma prendendo a suggerimento un’affermazione di André Gide, sempre sulla produzione di Wilde, possiamo compiere un ulteriore passo. Gide dedica un quadro stupendo alla figura all’amico; tuttavia, in introduzione al suo Gli ultimi anni di Oscar Wilde, dandy decaduto afferma – in maniera più o meno condivisibile –: «lodando lo scrittore, si sperò di giustificare l’uomo. Ma fu un equivoco: poiché bisogna riconoscere che Wilde non è un grande scrittore». Senz’altro una provocazione che serve poi per spiegare il talento naturale dello scrittore irlandese nell’essere un maestro della conversazione, ma che a noi serve per comprendere anche la portata di Casanova come scrittore.
Zweig più di una volta – nonostante fruisca di una versione censurata – afferma che Casanova è, tutto sommato, uno scrittore mediocre. Molti lettori, ancora oggi, non reputano le sue memorie particolarmente scorrevoli e ben scritte. Vi sono molte ripetizioni e i fatti non sempre si susseguono in maniera coerente. Anche confrontando le date riportate si notano delle discrepanze notevoli (d’altronde anche Shakespeare ne I due gentiluomini di Verona sottintende che tra Milano e Verona ci sia un tratto di mare!). Eppure, le avventure narrate dal Casanova e la sua storia travagliata, conclusasi con un epilogo del tutto indegno – o forse ancora più affasciante? – conquistano inevitabilmente il lettore. La sua sola figura permette le più ampie speculazioni filosofiche sull’uomo.
Casanova: una vita eccezionale
La vita di Casanova, dunque, è la reale testimonianza di una vita del tutto eccezionale, capace di conquistare il lettore. Ovviamente non sempre quello che testimonia è reale, vi sono inevitabilmente delle rivisitazioni degli eventi dettati sia da una distorsione della memoria sia da convenienza narrativa. Comunque sia, la maggior parte degli episodi appaiono veritieri – anche tramite un’attenta ricerca filologica nelle varie città. Poi, l’ammissione con cui l’autore della propria vita ammette la sua graduale e inevitabile decadenza è di una sincerità disarmante. Infatti, dopo una vita di bagordi e avventure, Casanova – ormai più che cinquantenne – si abbandona all’inedia: «Dicono che sia la vecchiaia a rendere l’uomo saggio; ma io non sono mai riuscito a comprendere come si possa amare l’effetto di una causa orribile».
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Totalmente dimenticato e nostalgico verso un’aristocrazia al tramonto, Casanova diventa più che altro un soggetto – o meglio, un oggetto – curioso da esporre agli amici. Perseguitato dai creditori, decide di accettare il ruolo di bibliotecario nel castello di Dux, in Boemia, offertogli dal conte di Waldstein. Qui muore, bistrattato dalla servitù e seppellito in un luogo non meglio precisato. Si narra che addirittura al momento della cerimonia funebre il prete storpiò il suo nome.
Filosofo della superficialità e magister artium eroticarum
Filosofo della superficialità, per Zweig Casanova è:
Leggero come una libellula, vuoto come una bolla di sapone e brillando solo per riflesso degli eventi, egli passa, rapida scintilla, attraverso il tempo: a malapena la si può afferrare e stringere anche solo una volta questa sua mutevole forma d’anima e ancor meno cavarne il nocciolo del carattere. Com’è veramente Casanova, buono o cattivo? Onesto o finto, un eroe o una canaglia? A seconda delle esigenze dell’ora: egli prende il colore delle circostanze, si trasforma con le trasformazioni.
Casanova è anche «homo eroticus anzi eroticissimus»; tuttavia la sua sfrenata volontà, la sua rincorsa verso il piacere, lo escludono dall’albo degli amanti immortali. Raramente nei suoi scritti emerge un amore sincero: la sua è una corsa forsennata verso la conquista, la soddisfazione dei propri istinti. Non sorprende, dunque, una delle sue affermazioni più celebri: «Già allora sentivo oscuramente che l’amore non era che una curiosità più o meno viva.»
Casanova è perciò diventato, più o meno coscientemente, sinonimo di tombeur de femmes. Eppure, il palco è da dividere con un’altra figura ingombrante dell’immaginario collettivo: il Don Giovanni, nato probabilmente dalla mente di Tirso de Molina.
Casanova e Don Giovanni: un confronto
Nonostante i due personaggi siano simili sotto certi punti di vista – soprattutto in relazione alla seduzione –, la natura è totalmente differente. Innanzitutto Don Giovanni è un hidalgo, radicato nella tradizione cattolica. Fra tutti troneggia in lui il sentimento dell’onore e del peccato: lo stesso seduttore di Siviglia, infatti, trae in inganno le fanciulle per il gusto di disonorarle.
Secondo l’interpretazione di Zweig, la donna addirittura viene vista come un nemico da smascherare e mostrare al pubblico nella sua natura. Don Giovanni non ha un godimento nell’atto sessuale o nella conquista, anzi; il suo maggiore piacere è conseguito al momento dell’umiliazione della propria vittima. Si tratta di un cacciatore, stimolato nel gioco soprattutto quando la preda si fa più inavvicinabile e a tratti irraggiungibile. In relazione a quest’aspetto, invece, Casanova è l’opposto. Definito dallo scrittore austriaco come «magister artium eroticarum», Casanova prova un piacere completo solo quando
ogni nervo e ogni vena della compagna è compartecipe (“quattro quinti del piacere sono sempre consistiti per me nel render felici le donne”), il piacere di lei deve corrispondere al suo piacere, proprio come altri desiderano che il loro amore sia corrisposto.
Il mito di Casanova
Allievo degli insegnamenti di Orazio, Casanova è un personaggio arricchito inevitabilmente dall’ambiguità delle sue gesta. Rappresentato degnamente anche nell’omonimo film di Fellini, il seduttore veneziano non è certo personaggio da imitare – anche in quanto inimitabile essendo un mito indissolubilmente legato al suo momento storico. Sicuramente, però, rimane una figura da analizzare e comprendere per la sua portata innovativa. La sua vita, a cavallo fra il neoclassicismo e il romanticismo, è sintomo di leggerezza, affabilità. Rifuggire a tutto ciò che ci è odioso per perseguire il proprio piacere? Forse una visione estrema, difficilmente attuabile. E poi, d’altronde,
è forse pensabile una filosofia del piacere senza egoismo, un modo di vita epicureo senza assoluta indifferenza sociale? Chi vuol vivere appassionatamente per se stesso, deve logicamente disinteressarsi in pieno del destino altrui.
Casanova è disposto a tutto, seppure ammantato da quel velo di signorilità che lo contraddistingue. Il suo, comunque sia, è un nome condannato all’immortalità. Esempio di come la vita possa essere vissuta e come possa dipanarsi nelle sue imprevedibili conseguenze.
Casanova, questo temerario incrocio di un uomo del Rinascimento e un moderno cavaliere d’industria, questo bastardo della furfanteria e del genio, questo essere mezzo poeta e mezzo avventuriero. E non ci si stanca mai di ricontemplarlo e riceverne diletto.
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